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Le primarie del centrosinistra: le regole, i principi, gli errori

Il PD e SEL hanno deciso di scegliere insieme i loro candidati al Parlamento, per le prossime elezioni politiche con il metodo delle primarie, che si terranno nella maggior parte delle regioni il 29 dicembre e il 30 dicembre nelle altre. Un appuntamento comune, in cui ciascuno voterà i suoi, ma potrà farlo negli stessi luoghi e negli stessi giorni.

Si tratta di una innovazione significativa della procedura per le candidature al parlamento, che valorizza il ruolo degli iscritti e dei simpatizzanti di un partito nella scelta dei candidati, mentre si profila una nuova concezione dell’alleanza tra i partiti, come fatto politico che coinvolge non solo i vertici, ma anche la base dei partiti. Una procedura che consente agli iscritti e ai simpatizzanti di due partiti alleati, di controllare i soggetti che aspirano alla candidatura, le loro capacita, le loro esperienze, ma anche di decidere, scegliere e lavorare insieme.

Per questo le primarie per i candidati al parlamento rappresentano un ulteriore tappa del processo partecipativo della gente alla politica e del rinnovamento dei partiti, ma anche l’inizio del protagonismo della base nella realizzazione della alleanza tra i partiti. Il tutto in un quadro di regole, approvate all’unanimità dalla direzione del PD, che individuano la platea degli elettori e i criteri di formazione delle liste elettorali.

Gli elettori. Un sistema elettorale democratico, che sceglie i candidati al Parlamento, tende a costituire una platea dei votanti, la più ampia possibile, che non si esaurisce nell’ambito del partito, ma coinvolge in via tendenziale tutti i cittadini, in ragione del loro status di destinatari finali della funzione parlamentare e del loro apporto al finanziamento della politica.

Ma se è giusto estendere il diritto di voto anche ai non iscritti, è anche vero che la scelta dei candidati di un partito al Parlamento deve essere fatta da chi condivide il programma di quel partito e le sue alleanze. Non si può consentire la intrusione di gente di partiti avversari, perché potrebbe dar luogo a forme di condizionamento indebite. In questo quadro appare estremamente giusto consentire l’esercizio del voto non solo agli iscritti ma anche ai soggetti che hanno sottoscritto il programma della coalizione. Per i soggetti che non hanno potuto, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, sottoscrivere la carta d’intenti, si pone il problema di consentire ad essi di partecipare al voto.

Il problema è stato risolto consentendo il voto a coloro che dichiarano di votare il partito democratico. Tutto ciò è stato definito sulla base di un rapporto equilibrato tra l’esigenza di allargare il più possibile la platea dei votanti e l’esigenza preservare la competizione da ingerenze esterne.

I candidati. Tutti gli iscritti hanno diritto a candidarsi. Non potranno candidarsi, salvo deroghe, gli europarlamentari, i sindaci di città superiori a 5000 abitanti, assessori e consiglieri regionali. Si vuole evitare il doppio incarico ,e affermare l’esigenza che ciascuno completi il mandato che gli è stato affidato dal popolo senza interruzioni. I candidati, per maturare il diritto a misurarsi con le primarie, dovranno raccogliere firme per il 5% degli iscritti su base provinciale. Sono esentati dalla raccolta delle firme, i soggetti scelti dalla direzione provinciale, tra personalità della società civile, nei limiti della una quota del 5% degli iscritti e i parlamentari uscenti.

L’obiettivo è impedire che il voto sia guidato da comitati o fantomatiche assemblee e che le liste elettorali si formino con l’intermediazione degli apparati di partito. Se nella scelta dei candidati c’è un’invasione autoritaria degli apparati di partito, è lì che bisogna intervenire. Il sistema della raccolta delle firme per candidarsi alle primarie va in questa direzione e cosi anche il riferimento alla società civile per il pescaggio degli esentati.

Le incrostazioni dei big politici, nel rinnovo della classe dirigente, dovranno comunque misurarsi con le primarie, i soggetti che hanno ottenuto la deroga. Non saranno esentati dalla competizione quelli che hanno ottenuto la deroga, quelli che hanno ricoperto cariche apicali: capigruppo, ministri, presidenti di commissioni parlamentari. Vale il principio per il quale un politico non deve mai sottrarsi alla scelta degli iscritti e il partito non deve mai consentire tale sottrazione.

Le primarie non sono mai un’operazione inutile e ripetitiva, specie se intervengono dopo la deroga, o riguardano i big del partito. Vi è sempre la necessita di una verifica che serve a definire la loro posizione nel gradimento degli iscritti, anche sulla base del numero dei voti conseguiti alle primarie. Le primarie sono anche un modo per una valutazione del loro operato, come ministri come capigruppo o presidenti commissioni parlamentari. In ogni caso saltare le primarie ed infilarsi nel borsino del segretario rappresenterebbe uno smacco per gli stessi candidati, se non altro perché ciò rivelerebbe, la loro paura di affrontare il giudizio degli iscritti.

Il rapporto tra politica e società civile. Nel calcio tutti i tifosi diventano allenatori. Questa è una regola che non può valere in politica. La politica è una materia complessa ed importante, richiede passione, studio, sacrifici, tempo ed esperienza. Le scelte politiche sono una cosa seria e non un giochino da bar sport. Per questo la candidatura al Parlamento è l’esito finale di un processo le cui tappe sono l’interessamento e la passione per la politica, il lavoro, la formazione e l’esperienza. Occorre superare la convinzione piuttosto diffusa che la politica sia una cosa semplice, fattibile anche da candidati senza formazione ed esperienza politica. Non basta un buon curriculum professionale per ricoprire cariche politiche. Non tutte le persone capaci possono essere dirigenti politici. Un soggetto può essere un bravo imprenditore, un bravo ingegnere, un bravo avvocato e un politico scarso.

Ma la classe dirigente di un partito viene individuata sulla base degli interessi che quel partito vuol rappresentare. La direzione centrale ha privilegiato, tra le categorie da rappresentare, il femminismo e la società civile. E’ prevista infatti una doppia preferenza uomo/donna, con l’obbligo di garantire il 33% della presenza femminile nelle liste. Il borsino del segretario per la esenzione dalla candidatura e della direzione provincia del partito per le esenzione dalla raccolte delle firme fanno riferimento alla società civile. E ciò in considerazione dell’esigenza di inserire persone competenti, che troverebbero difficoltà a conquistare voti in seno al partito. Queste persone provengono, per la gran parte, dalla società civile.

Nella rappresentanza delle categorie restano in ombra gli operai e la piccola impresa e ciò contrasta con l’esigenza di rilancio della centralità del lavoro operaio e della piccola impresa nell’attività del partito. Ma non basta la rappresentanza delle categorie, ci vuole anche la capacita di governo e qui entra in campo il peso della formazione e della esperienza politica, nella formazione delle liste elettorali.

L’esperienza e la formazione evocano il ruolo preponderante ed invasivo degli apparati di partito e l’esigenza di un loro ridimensionamento per un effettivo rinnovamento della classe dirigente. Ma la società civile come serbatoio da cui attingere i nuovi dirigenti, non ha dato buoni frutti. Basta considera il livello basso dell’attuale dirigenza politica, proveniente per di più dalla società civile.

Per questo l’esigenza di un rapporto equilibrato tra esigenza di professionalità politica e la necessità di un ricambio della classe dirigente attraverso la società civile, richiede che i prescelti abbiano, se non esperienza, comunque conoscenza della politica. La definizione di tale rapporto, si realizza graduando l’ingresso della società civile nelle cariche politiche in relazione alla complessità e all’importanza delle stesse.

Se è plausibile candidare, presso qualche piccolo ente locale, un giovane, che non abbia mai frequentato  le sezioni del partito, o ricoperto cariche all’interno dello stesso. Non è plausibile candidare quello stesso giovane alla regione o  al parlamento. 

Le intermediazione degli apparati. I candidati di diritto sono quelli esentati dalla primarie e scelti dal segretario tra i provenienti dalla società civile nella misura massima del 10% degli candidati. I capilista saranno scelti d’intesa tra la direzione nazionale e le unioni regionali. Quando il partito utilizza il borsino e la facoltà di scegliere i capilista, il partito nomina gli eletti. Un residuo del porcellum che alberga nel quadro normativo delle primarie.

 

 

 

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.165) 24 dicembre 2012 10:24

    Ho l’impressione che siete proprio alla frutta.

    Un articolo sconclusionato che cerca di mettere insieme cose contraddittorie, un gioco di ossimori tipico del politichese.

    So che l’autore non ha l’abitudine a rispondere a chi interviene sui suoi articoli, sia con durezza (come me) che in maniera morbida, ma ci provo lo stesso a fare una domanda: mi spiegheresti egregio Pignata qual’è per te il ruolo di un partito (di sinistra) e per quale motivo ci si dovrebbe tesserare a un tale partito?

  • Di (---.---.---.147) 25 dicembre 2012 12:15

    Tutti questi arzigogoli dovrebbero servire a selezionare candidati al parlamento (sorvoliamo sul locale in quanto non necessari nell’economia del discorso in questione) e conseguentemente i dirigenti nazionali che da questo complesso meccanismo riceverebbero la prima legittimazione, la seconda sarebbe l’elezione al parlamento.

    Un notabile locale, dei quali sono pieni i partiti nessuno escluso neanche i grillini, come hanno già dimostrato le cosiddette "parlamentarie", altro non dovrebbe fare - per preparare il suo rinnovo o la sua nuova candidatura - che costrursi una buona rete clientelare di iscritti e simpatizzanti da mobilitare al momento opportuno. Il sistema organizzato dal PD per le primarie (scimmiottature americane) si presta mirabilmente alla penetrazione di avventurieri della politica che abbiano risorse personali da impegnare per costruirsi una prima rete clientelare (prima candidatura) o un suo successivo rafforzamento per il rinnovo. E il bello è che a questo punto il ruolo di filtro del partito verso personaggi di tale fattta sarebbe del tutto neutralizzato.

    Facciamo un esempio, attingo alla mia memoria. Intorno alla metà degli anni ottanta il fratello di Ernesto Bardellino (quello che sconfisse Cutolo), che era già sindaco di San Cipriano d’Aversa (che insieme a Casal di Principe e Casapesenna, tre comuni uno attaccato all’altro che rappresentano il cuore della camorra dei casalesi), decise di tentare la scalata al parlamento. Pose alla direzione provinciale del PSI, del quale faceva parte, la sua candidatura alla camera. Per un legittimo timore di essere ammazzati (all’epoca si scherzava poco) i dirigenti provinciali del PSI accolsero positivamente la richiesta. La cosa fece scandalo nel PSI e dovette intervenire l’allora presidente della repubblica Sandro Pertini per costringere Craxi a recarsi a Caserta e respingere la candidatura del fratello del capo della camorra campana Ernesto Bardellino al parlamento italiano.

    Trasportiamo il caso a oggi, nessuna difficoltà a raccogliere le firme necessarie, altrettanto a trovare migliaia di simpatizzanti del PD che si rechino alle primarie per sostenere Bardellino. Risultato: una candidatura con tutti i crismi democratici.

    Certo nel caso clamoroso di uno come Bardellino probabilmente Bersani troverebbe il coraggio di venire a Caserta e cambiare le carte in tavola. Ma se il nome non fosse poi così clamoroso e i casi fossero tanti al Sud come al Nord ... ??!!

    La mia impressione è che il gruppo dirigente del PD - che proprio grazie alle primarie è riuscito a superare indenne il giudizio sul suo comportamento in questi ultimi venti anni, può sfuggire ad una legittima lotta politica democratica inerna e riprodursi indefinitivamente.

    Si perché credo che questo sia il vero nodo della questione. L’assenza di competizione democratica interna al PD (e peggio ancora nei partiti personali, vedi in proposito l’ultimo arrivato, M5s) impedisce il naturale ricambio delle varie dirigenze e relative linee politiche.

    Chissà quando arriverà il momento di dare pratica attuazione al principio costituzionale sul ruolo e sulla vita interna dei partiti che dev’essere democratica (come avviene nei partiti dei paesi dell’Europa occidentale).

    Tutto questo naturalmente all’autore dell’articolo non interessa, a lui preme propagandare la grande democraticità del PD, dei suoi iscritti e simpatizzanti (tra i quali ci sono anch’io), riflessioni, dubbi, possibili alternative, perplessità, ecc. ... gli sono estranee

  • Di (---.---.---.147) 25 dicembre 2012 12:16

    aaaaaaa aaaaa aaaaa

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