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Le malattie della medicina: il business dei malati immaginati

Ogni civiltà produce le sue malattie per Ivan Illich. "Il malato immaginato" è un saggio che descrive in profondità i rischi di una medicina senza limiti che trascura l’individualità del paziente e la morale scientifica (Einaudi, 2010).

Le malattie della medicina: il business dei malati immaginati

L’autore è Marco Bobbio, un primario di cardiologia che attraverso la storia clinica dei suoi pazienti e la narrazione dei contributi di alcuni pionieri della medicina è riuscito a fare una rapida diagnosi dello stato di salute della medicina di oggi, con l’indicazione delle "terapie sociali" possibili, bilanciando sapientemente le cattive notizie con le buone notizie.

 

E veniamo al nocciolo della questione: alcune industrie, per facilitare la vendita di un prodotto, preferiscono “portarsi avanti”: così, anni prima della vendita di un prodotto si comincia a creare un terreno favorevole al lancio commerciale del nuovo farmaco. Una volta che i dati delle ricerche cliniche dimostrano un certo grado di efficacia e tollerabilità e l’assenza di importanti effetti indesiderati, vengono organizzati congressi scientifici rivolti a specialisti, nei quali esperti ben selezionati (i famosi opinion leader) illustreranno il sapere della nuova scienza medica. “Quando il terreno è abbastanza fertile, è il momento di coinvolgere i medici di medicina generale, moltiplicare i siti Internet e informare la stampa divulgativa, alla quale verrà assegnato il compito di spiegare ai profani che un semplice disturbo molto diffuso è in realtà un problema serio”.

In questo modo un messaggio che viene ripetuto da più fonti diventa prima una realtà sociale e poi una realtà personale. E così semplici disturbi o piccole deviazioni della media biologica diventano importanti fattori di rischio: il livello di colesterolo nel sangue, la pressione arteriosa, la densità ossea, la regolarità dell’evacuazione intestinale, ecc.

Oltretutto si favoleggiano i vantaggi di molti interventi medici: nei pazienti con una ostruzione di un’arteria coronarica superiore al settanta per cento non c’è differenza di sopravvivenza a cinque anni tra chi ha subito un’angioplastica e chi si è affidato alla sola terapia medica. In altri casi non vengono divulgati gli aspetti negativi: “la metà delle persone che si sottopongono a chirurgia estetica, dopo alcuni anni confessa di non essere soddisfatta del risultato e che, se avesse saputo in anticipo a cosa sarebbe andata incontro, non si sarebbe sottoposta all’intervento”.

In realtà “la progressiva specializzazione della medicina fa perdere la visione d’insieme del paziente e l’esasperazione delle competenze fa sì che un certo medico sia il solo specialista in grado di poter fornire precise indicazioni sui vantaggi di un determinato trattamento". Lo specialista però non può essere obiettivo: in qualche modo tirerà l’acqua al suo mulino e non sarà in grado di garantire al paziente tutte le informazioni necessarie per esprimere un consenso realmente informato. Inoltre “Le ricerche cliniche sono prevalentemente finanziate, organizzate e condotte da o per conto delle industrie, che si sono in tal modo appropriate dello strumento chiave per decidere cosa è “evidence” e cosa no”. Perciò ogni ricercatore è condizionato in modo conscio o inconscio dai relativi vantaggi economici o di fama (più o meno immediati).

A volte si agisce con superficialità metodologica e si evita la fatica di ricercare le notizie riguardanti le complicazioni o altre cose spiacevoli. E, dopotutto, alla fine di ogni conteggio più o meno scientifico, sostiene Bradford Hill, pioniere dell’epidemiologia, una ricerca “dimostra ciò che si può ottenere con una medicina somministrata sotto stretto controllo medico. Ma gli stessi risultati non potranno essere osservati invariabilmente o necessariamente quando lo stesso farmaco diventerà di uso comune”.

Quindi occorrono degli accorgimenti per ridurre questa auto-referenzialità: agli incontri di equipe non devono esserci soltanto alcuni specialisti, “ma anche esperti di discipline affini che possano apportare il loro contributo per soluzioni di tipo alternativo. Solo dal confronto di differenti punti di vista si può creare un’opinione condivisa”. Ogni paziente dovrebbe consultare almeno un secondo specialista e in molti casi anche un terzo. Anche i medici sono esseri umani e possono sbagliare. Però la cosa più importante è riuscire ad imparare dai propri errori (Atul Gawande, www.gawande.com, Con cura, 2008).

Del resto, come afferma Howard Brody, medico e filosofo, utilizzare forme di potere autoritarie in medicina “produce più danni che vantaggi sia ai medici, sia ai pazienti. È necessario imparare a esercitare il nostro potere terapeutico e carismatico con timore, autocontrollo e umiltà”. Per Bobbio, quando l’arroganza della medicina antepone “i valori della scienza a quelli della persona. Il paziente, il suo vissuto, il suo ambiente, le sue preferenze, e la sua unicità scompaiono e vengono svalutate”. Purtroppo “Uno dei limiti della medicina moderna è che esiste e ha un senso solo ciò che può essere misurato. In realtà la vita di ognuno di noi dipende da vari fattori e da una personale scala di valori (la paura, la speranza, il desiderio di vivere a lungo, l’angoscia e le sofferenze) che non potranno mai essere resi oggettivi poiché fanno parte della profondità e unicità della persona umana".

In Nemesi medica lo storico Ivan Illich aveva posto questo problema in modo magistrale e anche la fisiologa Lynn Payer criticava aspramente la superficialità di una medicina che trascura l’irripetibile singolarità degli esseri umani. Ma “è davvero un grande affare economico riuscire a convincere persone sostanzialmente sane che sono poco malate o persone poco malate che sono gravi” (Medicine and Culture, 1988; Disease Mongers).

Comunque bisognerebbe sempre ascoltare il buon senso e porsi la semplice domanda suggerita dal cardiologo Ron Waksman: “Il nuovo è necessariamente meglio?”. Infatti, anche se è più facile assumere un farmaco, molte ricerche mediche dimostrano che è molto meglio adottare stili di vita più salutari, con una dieta adeguata e la giusta attività fisica (i sedentari che migliorano le proprie performance fisiche dimezzano il rischio di avere un infarto).

In conclusione: “non esiste una malattia che ce l’hai o non ce l’haiesclusa forse la morte improvvisa e la rabbia. Per tutte le altre malattie puoi essere un po’ o molto ammalato” sostiene Geoffrey Rose, pioniere dell’epidemiologia. E “non esiste una soluzione che offra solo benefici e una che provochi solo complicazioni”. Facciamo quindi attenzione a non confondere la salute, la bellezza o l’assistenza medica con la felicità: oggi si prolunga la durata della vita, ma si vivono gli ultimi anni della vita in preda a malattie degenerative e invalidanti più o meno dolorose e sopportabili.

Infine c’è da dire che è sempre molto difficile comunicare ai familiari o al paziente che “c’è un momento nel quale le risorse della medicina si esauriscono e si deve affrontare il distacco”. La nostra società nel suo complesso dimentica che, malgrado le miracolose promesse della medicina, la morte resta l’inevitabile conclusione della vita. La morte è spesso imprevedibile, arbitraria e ingiusta. Inutile e pericoloso dimenticarlo. È necessario capire che numerosi interventi medici hanno già regalato a tutti noi innumerevoli anni di vita.

Troppo spesso dimentichiamo tutto questo e purtroppo si avvia una follia a due “nella quale il medico vuol credere di sapere di più di quanto sappia, perché questo fa piacere e perché la conoscenza è potere, e perché al paziente conviene l’idea che il medico lo potrà curare e salvare dalla morte” (Tomamichel). L’uomo dei miracoli è morto duemila anni fa e così prima o poi l’aggressività mentale si scatena e degenera in pericolose guerre psicologiche personali e sociali alla ricerca di qualcuno a cui farla pagare.

 

Note - Google è un ottimo strumento per reperire informazioni sulle malattie rare e quelle con sintomi molto particolari o quasi unici. Esiste un sistema diagnostico computerizzato, GIDEON (www.gideononline.com), che permette di valutare la probabilità di un certo numero di malattie infettive esaminando i dati di ogni nazione del pianeta.

La febbre è causata soprattutto dalle infezioni, ma anche dai coaguli di sangue, da alcuni tumori e da alcune malattie dei tessuti connettivi (articolazioni, vasi sanguigni, pelle e muscoli). In genere l’aumento degli eosinofili è il segno della presenza di una malattia parassitaria.

Esiste un centro studi italiano che si occupa della valutazione dell’efficacia dell’assistenza sanitaria: www.ceveas.it, www.partecipasalute.it. C’è un giornale on-line ideato per aggiornare i medici di famiglia, www.tempomedico.it. E c’è una rivista specializzata nella valutazione dei farmaci: www.dialogosuifarmaci.it.

E ricordati che ogni sistema di sapere produce i suoi limiti, perché “Grigia è, mio caro amico, ogni teoria, verde l’albero d’oro della vita” (Goethe, Faust).

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