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Le donne cecene: una lunga strada verso la libertà

La Cecenia è una piccola regione a sud della Russia, non tanto lontana dal nostro Paese, come potrebbe sembrare per i racconti che ne sentiamo. Non è tanto distante da noi, ma la condizione della vita della donna è ancora caratterizzata da regole antichissime e rigidissime, all’interno delle quali deve scorrere tutta la vita pubblica e privata. Un interessante reportage è stato pubblicato da una giornalista russa, Marina Akhmedova, sulla rivista Internazionale, con il quale è stato mostrato un incredibile ritratto della condizione femminile in Cecenia.

La vita familiare si snoda tra delicati equilibri che vanno dalla tradizione alla necessità. I matrimoni delle ragazze sono ancor oggi decisi dalle famiglie senza alcun tipo di considerazione per i desideri degli sposi e se la sposa non è contenta della sua nuova condizione può solo rassegnarsi nella convinzione che così deve essere, così è stato per tutte le donne della sua famiglia. Tutto il lavoro materiale all’interno della casa pesa sulle spalle delle donne, in particolare di quelle giovani. Col passare del tempo e l’avanzare dell’età la donna acquisisce un nuovo ruolo nella famiglia e guadagna grande rispetto, anche più degli uomini. Su di lei grava la responsabilità dell’equilibrio della famiglia e della pace domestica.

Alle giovani spose, invece, non è concesso altro che adeguarsi alle scelte delle famiglie, quando non addirittura subire il rapimento a scopo di matrimonio. Benché nessuno costringa la ragazza rapita a rimanere nella famiglia del suo rapitore, tuttavia solitamente la scelta della sposa forzata rimane quella di accettare la propria condizione, di non tornare dalla propria famiglia, in quanto sarebbe considerata “sporca” e la sua famiglia non l’accoglierebbe di nuovo. Così la ragazza resta col proprio rapitore.

La vita della donna è dura sotto molti altri profili, per noi inimmaginabili, primo fra tutti il tradizionale divieto di manifestare il proprio attaccamento affettivo ai familiari, anche ai propri figli. La moglie non deve chiamare per nome il proprio marito, la consuetudine familiare le permetterà di utilizzare dei nomignoli solo in casa, non può toccare i propri bambini nemmeno per consolarne il pianto o soccorrerli per una caduta. È raro ancor oggi vedere una mamma che tiene per mano il proprio bambino, con le nuove generazioni alcuni divieti si vanno progressivamente ammorbidendo, come l’abbigliamento e il trucco del viso, tuttavia è ancora il comportamento tradizionale che viene maggiormente apprezzato nella famiglia e nella società. Così ogni emozione deve restare controllata, non si vedranno né manifestazioni di dolore né di gioia, il tutto anche durante le atrocità e le uccisioni che la guerra ha portato sotto gli occhi di tutti. Tenere per sé il dolore di vedere uccidere i propri cari o l’angoscia di assistere ad azioni di guerra è un pericolo anche per la salute: le emozioni così lungamente represse provocano l'aumento delle morti per infarto.

Tuttavia è proprio la guerra che ha cominciato a portare grandi e progressivi cambiamenti nelle usanze e nei rapporti. Una donna non può mai lavorare, secondo la tradizione, perché porterebbe disonore al marito, giudicato incapace di mantenerla. Ma tante sono le vedove di guerra che sono state costrette a trovare un’occupazione per mantenere se stesse e i propri figli, riuscendo a farli studiare e guadagnandosi il rispetto dei vicini di casa.

Molti uomini hanno dovuto cercare occupazioni lontano da casa, in altri contesti sociali, per fronteggiare la diffusa disoccupazione. Questi uomini tornano cambiati, diversi e con l’andare del tempo cambiano anche gli equilibri all’interno delle famiglie. Tra le mura di casa la donna può guadagnare considerazione e ottenere forme di compensazione sociale e, se pure formalmente continua a non avere rilevanza, tuttavia il marito la tiene in considerazione. Anche se socialmente e pubblicamente le cose non sono ancora cambiate. Se il marito picchia la moglie o la tratta male, questa può decidere se vivere col marito o meno, ma non potrà denunciarlo per non umiliarlo pubblicamente, il rispetto pubblico di un uomo passa attraverso il rispetto pubblico di sua moglie. Le stesse autorità vengono a conoscenza di qualche fatto violento solo dopo il ricovero in ospedale per qualche ferita e la comunicazione da parte dell’ospedale.

Così come per gli obblighi ufficiosi richiesti alle donne in materia di abbigliamento. Il capo di Stato ceceno Kadyrov sta da tempo mettendo in atto una politica di “convincimento”, nel totale disinteresse della Russia, per convincere le donne cecene a vestire in maniera consona ai dettami islamici, col velo o col capo coperto, con gonne e maniche lunghe. Sono arrivate notizie di provvedimenti pubblici, attraverso Human Rights Watch, in base ai quali nel centro della capitale Grozny funzionari pubblici hanno colpito con proiettili di vernice donne non adeguatamente coperte secondo i dettami del capo di Stato. Il tutto in palese violazione della libertà personale di autodeterminazione e di professione religiosa. Questo non è un retaggio culturale della società cecena, è vero, ma un abuso politico, tuttavia dà un segno su quanta strada ci sia ancora da fare a difesa della libertà personale e in particolare di quella femminile.

 

Delia Dorsa per "Segnali di fumo - il magazine sui Diritti Umani"

Questo articolo è stato pubblicato qui

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