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Le convinzioni del presente e le verità del passato. Riflessioni sul Regno delle Due Sicilie (e sul Sud di oggi)

La stesura del presente contributo è stata ispirata dall'ascolto, su segnalazione di un amico, di una puntata del programma radiofonico La zanzara, in cui il conduttore Giuseppe Cruciani si permetteva di apostrofare pesantemente un ascoltatore, reo di aver definito “glorioso” il soppresso regno borbonico.

Ci sarebbe molto da dire sulle questioni di forma (la sirena d'ambulanza, la sfilza di “ma per piacere” e “non diciamo stupidaggini”, l'ostilità verso il dissenso e il rifiuto del confronto), ma certo che tali cadute di stile si commentino da sé, preferisco concentrami sulla sostanza.

Si può essere patrioti o campanilisti, si può amare l'Italia unita o rimpiangere quel che c'era prima; ciò che conta, a mio avviso, è conoscere i fatti e affermare in ogni caso la verità. Per quanto scomoda possa essere.
Perché è sempre scomodo riconoscere che la storia può aver avuto un altro corso rispetto a quello appreso sui banchi di scuola. E l'immagine che la storiografia ufficiale ci ha consegnato del Regno delle Due Sicilie è molto distante da quella che era nella realtà.

Oggi il Sud è l'emblema della mal'amministrazione; ma prima dello sbarco dei Mille il Regno delle Due Sicilie uno Stato efficiente e moderno, come lo stesso Cavour scriveva nelle sue lettere. Oggi il Sud è sinonimo di arretratezza; ma nel 1860 il regno borbonico rappresentava il terzo Paese più industrializzato in Europa dopo Regno Unito e Francia e molto più del regno sabaudo*. Oggi il Sud è lontano dai ritmi dell'innovazione; ma a metà dell'Ottocento inaugurò la prima ferrovia** sul suolo italiano nonché il primo battello a vapore. Oggi il Sud è una terra povera e con un'economia stagnante; ma prima dell'Unità le casse del Banco di Napoli custodivano 443 milioni di lire dell'epoca, mentre tutte quelle dei restanti Stati preunitari ne contenevano appena 180 milioni. Oggi il Sud riceve soldi e risorse dal resto del Paese; ma dopo la conquista sabauda fu l'amministrazione piemontese a depredare le casse di Napoli per rifondere gli alti costi della guerra. Oggi il Sud è patria della criminalità organizzata; ma nessuno ricorda più le violenze e i soprusi commessi dal nuovo esercito per sottomettere la popolazione. Oggi Napoli affonda tra i rifiuti; ma il primo Paese al mondo ad istituire la raccolta differenziata fu proprio il Regno di Napoli, negli anni venti dell'Ottocento.

Intermezzo necessario: non si vuole mettere in discussione l'Unità d'Italia in sé, quanto il modo in cui è stata fatta. Al netto della retorica risorgimentale, la presa del Regno delle Due Sicilie va osservata per quello che fu davvero: non una spinta di liberazione, ma una guerra di conquista.
Fatti e considerazioni sui quali la cultura italiana non si è mai soffermata a riflettere. Il silenzio che per centocinquant'anni ha coperto la realtà degli eventi non è stato sufficiente (per fortuna) a cancellarne le tracce.
Sui banchi di scuola nessuno di noi si è mai chiesto se le cose fossero andate davvero così come ce le stavano raccontando. Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi, l'impresa dei Mille. Marsala, Calatafimi, Gaeta. Torino capitale. E poi Porta Pia. E le due Guerre Mondiali. Eravamo troppo giovani, e troppo affascinati dal lato epico delle vicende per alimentare la curiosità del nostro senso critico. E anche se avessimo provato ad alzare la mano per quelle domande che nessuno dei nostri compagni si sarebbe sognato di fare, non avremmo avuto altra risposta che uno sguardo sbigottito e un rimbrotto in tutta fretta.
Altri tempi. 

Ma la retorica era necessaria. Per cinquant'anni è stata il collante della nazione.
L'Italia è un Paese geneticamente diviso. Non basta sventolare un bandierone in occasione dei Mondiali per essere una nazione. Nazione è condivisione: di valori, tradizioni, di miti e leggende, di un sentire comune. Per unire un popolo non basta annullare i confini, ma è necessario riconciliare le menti e i cuori. Affinché tutti, da ovunque provengano, si sentano parte di questo sentire comune. Era questo ciò che Massimo D'Azeglio intendeva: “L'Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”.
Una divisione che i governi del dopoguerra hanno scrupolosamente celato sotto le spoglie delle uniche due correnti in grado di surrogare il nostro (non) sentire comune: l'atlantismo e l'europeismo. Negli anni, il benessere della ricostruzione e la contrapposizione dei blocchi hanno favorito l'adagiamento del pensiero collettivo su questo letto di convenienti certezze. Una comodità fondata sulle bugie (prima fra tutte, che la Seconda Guerra Mondiale significò la vittoria sul fascismo, e non sull'Italia, relegata a potenza di terzo rango) che per oltre mezzo secolo ci ha esonerato dalla necessità di forgiare una coscienza nazionale.
Così, ora che i tempi delle comode bugie sono finiti, ci ritroviamo a fare i conti con la storia. La nostra storia. Senza esserne preparati. Col risultato di passare da un estremo all'altro. Finita l'apologetica, domina l'invettiva.
Lo vediamo con i nostri occhi. In occasione dei centocinquant'anni, accantonata la retorica scolastica, ad aver voce sono stati soprattutto i particolarismi locali, che a colpi di controstoria hanno abbattuto una dopo l'altra le certezze di quella che è la (nostra) storia: l'Italia non si doveva fare, l'Unità è il frutto degli interessi delle potenze straniere, Cavour non la voleva, Garibaldi era solo un avventuriero e i mille erano perlopiù avanzi di galera.


E l'Unità d'Italia, da culla delle nostre origini, è passata ad essere la radice di tutti i mali che qua e là affliggono la penisola.
Goethe diceva che scrivere la storia è un modo per sbarazzarsi del passato. L'Italia è stata fatta anche così: cancellando la memoria di ciò che c'era prima. Questo è l'errore di Cruciani.
Indro Montanelli, dal canto suo, insegnava che un popolo che ignora il proprio passato non può conoscerà mai il proprio presente. Questo è l'errore di tutti noi, unitaristi e secessionisti.
Non c'è di che stupirsi. Di fronte allo sgretolamento della coscienza nazionale, radicamento sul territorio vuol dire consenso elettorale. Lega Nord a parte,vari movimenti sparsi qua e là per il Belpaese cavalcano l'onta dell'identità locale per farne strumento di pressione sul potere centrale. Abusando della buona fede (e delle tasse) dei propri cittadini. 

La storia d'Italia è fatta di momenti gloriosi. Ma anche di episodi oscuri. Per troppo tempo abbiamo sonnecchiato sugli allori dei primi, per poi svegliarci bruscamente sul letto di spine dei secondi. Personalmente, rifiuto l'idea che debba esserci una storia di regime, da un lato, e una controstoria dall'alto. La storia è solo una, e va raccontata e approfondita in tutti i suoi aspetti. Esaltando le gesta se opportuno, ma condannando la disumanità quando necessario.
L'Italia non è sbagliata in sé. Centocinquant'anni fa era il sogno di quanti, anche e soprattutto fuori dal Piemonte, agognavano uno stato liberale che prendesse il posto degli staterelli asserviti alle potenze straniere. Con l'unificazione, l'Italia conquistò le due libertà di cui aveva bisogno: quella interna tutelata dallo Stato e quella esterna dagli stranieri, entrambe garantite dall'unità nazionale. Altro discorso è riconoscere che le politiche e le misure repressive, tese ad imporre l'unificazione a tutti i costi, non hanno fatto che esasperare le divisioni socioculturali preesistenti fino a condurci al melting pot attuale. Oltre a trasformare il Sud da regione più ricca del Mediterraneo, quale era stato dai tempi della Magna Grecia, a sinonimo di degrado e arretratezza qual è oggi.
È troppo facile puntare il dito contro qualcuno ignorando le colpe di chi ha contribuito a renderlo ciò che è, come fa la Lega. E troppo facile è confondere le verità della storia con i proclami della retorica (o con l'opinionismo da bar), come fa Cruciani.
Un Paese che nega le tragedie passato non saprà mai trovare risposta a quelle del presente. Soprattutto quando le seconde sono diretta conseguenza delle prime. Pensiamo alla Germania, che da sessant'anni fa i conti con i ricordi incancellabili di Auschwitz, che per quaranta è stata divisa in due e che da venti si è caricata sulle spalle il fardello dell'Est, nella speranza di trasferirgli la stessa vitalità dell'Ovest.
In questo senso, la lezione tedesca avrebbe molto da insegnarci.

Le convinzioni, più delle bugie, scriveva Friedrich Nietzsche, sono nemiche pericolose della verità.
Le opinioni possono essere cambiate, ma non i fatti del passato da cui proveniamo. E quando si abbandonano le convinzioni del presente per ascoltare la verità dei fatti del passato, allora inizia davvero la Storia, e con essa il lungo cammino verso un sentire comune.
Il primo passo è restituire al Sud la dignità da troppo tempo negata. Italiani o borbonici, è compito di tutti. 

* Va comunque sottolineato che il rapporto tra il numero di telai meccanici prodotto dalle industrie inglesi e quelle del regno borbonico era di 100 a 1. Ad ogni modo, il Sud godeva di un progresso industriale avanzato per l'epoca.
** Si trattava della ferrovia Napoli-Portici, il cui utilizzo era però appannaggio solo del Re e di alcuni notabili.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.12) 15 luglio 2011 19:36

    Quando l’ideologia si mette a scrivere di storia il risultato è il ridicolo e mai gli ideologi si rendono conto della loro ridicolaggine. Il marxsismo ha offerto un florilegio di ridicolaggini spacciate per storia, ma il leghismo non è secondo a nessuno in proposito. Tra leghismo del nord e leghismo del sud è difficile stabilire chi dei due è più ridicolo. Un solo esempio : "La guerra di concquista" un mantra ripetuto ossessivamente dai leghisti meridionali. Dimenticano che Garibaldi giunse in Sicilia con 1050 soldati (molti dei quali erano meridionali fuoriusciti), mentre procedeva alla concquista dell’isola ne arrivarono dal nord altri mille, ma quando sbarcò in Calabria erano diventati 24.000 e intere aree del Mezzogiorno si liberarono da sole dei borbonici (il catanese, la Basilicata). Sul Volturno i garibaldini erano 30.000, tutti del Nord? no l’80% erano meridionali (in particolare siciliani) che erano stufi dell’abominio borbonico.
     Tutto questo "revisionismo storico" non ha nulla a che vedere con i problemi irrisolti che l’Italia si porta dietro (sempre aggiornandoli) dall’unità ! e che in verità sono il risultato di 3 secoli e mezzo di dominazioni straniere del territorio italiano.

  • Di (---.---.---.151) 16 luglio 2011 15:01

    per l’anonimo che ha commentato prima

    L’esercito borbonico non fu sconfitto sul campo di battaglia. In sicilia si ritirò nonostante la supremazia. Leggiti la storia dei generali Lanza e Landi e della loro corruzione.
    Il regno delle Due Sicilie aveva la marina migliore, come fecero ad arrivare in Sicilia questi Mille?
    Garibaldi promise ai siciliani le terre e l’indipendenza che già volevano da anni, prese consensi.
    Le stesse false promesse furono fatte in tutto il sud per questo diversi paesi scacciarono i borbone. Sul Volturno c’erano 20 mila uomini , e non 30 mila.
    Te lo ripeto i siciliani, ignoranti , credevano che Garibaldi gli desse l’INDIPENDENZA.
    Il ridicolo sei tu, perchè non conosci la storia e immagino che tu non sappia che IL FIGLIO DI GARIBALDI combattè con I BRIGANTI! Garibaldi stesso si dimise dal parlamento perchè CAPI L’INGIUSTIZIA DEI SAVOIA! Prima dell’Unità al sud non c’era DISOCCUPAZIONE....perchè l’emigrazione è iniziata dopo il 1861?
    Il tuo commento è ridicolo e stupido.

    • Di (---.---.---.123) 16 luglio 2011 18:06

      la risposta ai tuoi quesiti è semplice, non può essere il "tradimento" di uno o due generali a determinare il crollo di un regno, evidentemente la borghesia meridionale non ne poteva più dei borboni. Ma a te una cosa del genere non viene neanche in mente perché contraddice le tue teorie leghiste e quindi va ignorata o negata.

    • Di (---.---.---.53) 17 luglio 2011 22:55

      Non sono leghista, ma ho diritto a replicare quando vedo ignoranti.
      A Catalafimi, c’erano i Cacciatori del Real Esercito dotati di fucili Miniè, su wikipedia in inglese dice anche da chi furono usati (Used by Kingdom of the Two Sicilies) . Quella battaglia la si vinceva anche senza un Comandante, ma ci volle un COmandante corrotto per farli ritirare.
      Le battaglie le fanno gli eserciti, e Landi si ritirò illogicamente invece di massacrare gli invasori.
      Lanza completò l’opera.Una parte della borghesia, era contro il re.
      Se i generali avessero fatto il loro lavoro, la storia sarebbe andata diversamente.
      Resta il fatto, questo dovresti ammetterlo per onestà ( ma dubito che tu lo faccia) che senza tutto quello oggi il fenomeno mafioso non sarebbe a questi livelli.
      Te lo ripeto, il figlio di garibaldi combattè con i BRIGANTI....ho detto tutto.

    • Di (---.---.---.123) 17 luglio 2011 23:10

      Bravo sei proprio colto, adesso fai pure la citazione inglese!!!
       Parafrasando Paolo, mai discutere con un leghista, prima ti trascina al suo livello e poi ti batte per l’esperienza, ciao!

    • Di (---.---.---.64) 18 luglio 2011 16:56

      A scuola ti hanno imparato a leggere? Ho scritto di non essere leghista ma sono contrario alle menzogne scritte da coglioni come te.
      Tu non puoi discutere con me perchè non hai argomenti, non perchè sono leghista.
      Trascinarti al mio livello? Ne devi fare di strada , ed è tutta il salita per uno scaldasedia come te. Per ora sei al livello di Cruciani...pensa te

    • Di (---.---.---.199) 18 luglio 2011 17:17

      Uomo colto che fai le citazioni in inglese, a scuola non ti hanno insegnato che "ti hanno imparato" è errato? forse sei stato tratto in inganno dalla foga e ti è venuto il dialetto leghista ?? infatti in napoletano si dice "nun t’anne mparate" (con le e mute).

    • Di (---.---.---.213) 19 luglio 2011 12:59

      Hai argomenti con i quali confrontarti? Non mi pare, da perfetto ignorante ti appelli all’italiano.
      Ho commesso un errore, hai ben capito il perchè.
      Dialetto leghista? Sei sempre più asino ahah, il Napoletano è una LINGUA parlata da 11 milioni di persone nel mondo e riconosciuta dall’UNESCO.
      Io non ho scritto nulla riguardo ai tuoi errori (ad esempio hai scritto "concquista" oppure " marxsismo " )......tu invece da perfetto ignorante vai a sindacare la forma anzichè il contenuto. asino. In lingua napoletana sai come si dice , per cui puoi ben capire che la fretta fa brutti scherzi (succede ai poliglotti eheh).
      Non ho ancora letto critiche sul contenuto.....tipico degli ignoranti che parlano a sproposito.
      Chissà magari in questi giorni stai preparando la controffensiva? ahah
      Siii daiii voglio essere smentito..........parlami della povertà del Regno, vediamo quanto ne sai.
      Hai scritto una frase in napoletano, chissà se sei di Napoli. Spero di no, poichè significherebbe che non ti sei mai guardato intorno.
      Quando qualcuno va contro Berlusconi è comunista, quando si scrive che sotto i Borbone si stava meglio si viene etichettato come Borbonico o leghista; ahah, comportamento tipico del mafiolo che sta al governo, bravo.

      PS trova altri errori sulla forma , ci conto.

  • Di (---.---.---.151) 16 luglio 2011 15:04

    Sull’esercito borbonico mi spiego meglio; aveva la forza per schiacciare i garibaldini in Sicilia, ma quel venduto di Lanza con più di 20 mila uomini si ritirò invece di combattere (perchè CORROTTO), dando il tempo ai Mille di organizzare e prendere i siciliani al seguito.
    Al livello di ignoranza....sei allo stesso livello di Cruciani....ed è davvero desolante.

  • Di paolo (---.---.---.81) 17 luglio 2011 12:09

    Bel siparietto di ricostruzioni storiche . Non vorrei che proprio gli argomenti addotti evidenziassero le differenze " antropologiche " ( termine mutuato) tra nord e sud . Sapere che Lanza ecc. erano dei fac simile di Scilipoti non è una notizia che tranquillizza.


    Sono pienamente d’accordo con l’idea di fondo dell’articolista che l’Italia in quanto nazione non esiste , cosi’ come non esiste il " popolo " italiano e con la inevitabile e spiacevole conseguenza che non esiste neanche il " cittadino " italiano . Siamo un’accozzaglia che sta in piedi come risultante di contro spinte , di egoismi personali e di un’idea comune : come fregare il prossimo il più in fretta possibile. Chi non si riconosce in questa descrizione , come il sottoscritto , in questo paese ci vive male e rimpiange quando poteva andarsene e non lo ha fatto.Ormai è tardi.
  • Di Luca Troiano (---.---.---.148) 17 luglio 2011 12:19

    "L’Italia è un Paese che sta in piedi perché non sa da che parte cadere,,

    (Roberto Gervaso)
  • Di (---.---.---.123) 17 luglio 2011 18:35

    Checché voi ne pensiate l?Italia sta in piedi perché l’italiano non è un tedesco, né un francese, né un olandese né un russo né un nordafricano, né uno slavo del sud, né un cinese, né un americano, ............. né nessun altro, ma è un italiano che ha dietro di se una storia gloriosa, ma anche tormentata. Che negli ultimi secoli (grazie anche alla chiesa cattolica) ha avuto delle esperienze drammatiche.
     Se riuscissimo a risolvere alcune questioni che ci portiamo dietro da alcuni secoli (Questione meridionale, q. mafiosa, antipolitica, corruzione) potremmo ridiventare quello che per due volte nella storia del pianeta siamo stati : L’AVANGUARDIA DELL’ UMANITA’

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