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Le “New Conversations – Vicenza Jazz” hanno ricordato i 100 anni dalla nascita di Charles Mingus (2 aprile 1922 – 5 gennaio 1979)

I concerti del quintetto di David Murray e del trio De Vito – Hersch – Rava

 

Nutrito come sempre, il cartellone di Vicenza Jazz, un festival giunto alla XXVI^ edizione, artisticamente diretto con professionalità dal musicista Riccardo Brazzale, ha proposto tanta buona musica, con alcune produzioni originali accanto ad omaggi al repertorio del celebre contrabbassista/compositore.

Ho assistito a due appuntamenti, decisamente diversi l’uno dall’altro.

Un clima infuocato ha caratterizzato l’esibizione del quintetto del sassofonista tenore David Murray (Oakland, 19 febbraio 1955), ricordato nella storia per aver fondato nel 1976 il World Saxophone Quartet, assieme a Oliver Lake, Hamiet Bluiett e Julius Hemphill.

In scaletta accanto a due composizioni mingusiane riarrangiate con gusto – Pithecanthropus erectus e Sue’s Changes, dedicata alla moglie Sue Graham – hanno trovato spazio brani originali del leader e del contrabbassista Brad Jones, il quale, assieme al batterista Hamid Drake completa il trio attuale di Murray.

Ad interagire negli assolo principali con il leader, un concentrato Shabaka Hutchings, clarinettista e sassofonista tenore, nato a Londra nel 1984, ma cresciuto nelle isole Barbados. Nel brano di apertura della serata, in un teatro Comunale quasi al completo, è da menzionare un assolo del pianista cubano Aruan Ortiz ( Santiago de Cuba, 1973 ), caratterizzato dall’uso di dissonanze percuotendo il centro della tastiera, ossessivamente sulla stessa ottava. Nel secondo pezzo, spicca un singolare accompagnamento di Hamid Drake (Monroe, 3 agosto 1955) sull’Hi-Hat contemporaneamente a colpi sui bordi di tutti i tamburi. Drake percuote con vigore, ma è capace di sfumare dinamicamente, giungendo ad una delicatezza di volume che dà respiro alla composizione.

Una ballad lenta di Brad Jones ( New York, 20 maggio 1963 ), che usa l’archetto, mentre Drake inizia con le spazzole fruscianti prima di impugnare le bacchette, prelude ad una partenza furibonda, che ricorda l’epoca storica del Free Jazz, per Pithecanthropus erectus. Ad un certo punto Shabaka suona dolcemente un piccolo flauto, assecondato da improvvisazioni individuali dei partners, per poi passare al sax tenore. Murray si ritaglia un caldo assolo al clarinetto basso.

Il penultimo brano, Switchin’ in the Kitchen è dedicato dal leader alla moglie. L’andamento, tra il latino e il samba, sfocia in un cantabile di facile presa. Allora, per spezzare l’atmosfera, Murray si fa irruento, emettendo i suoi caratteristici squittii che precedono l’assolo finale di Shabaka e la riproposizione del tema secondo la struttura AABA + Coda.

Il brano conclusivo è una ballad che si evolve in un medium Swing, Sue’s Changes, nella quale David Murray in un lungo fraseggio in solitudine dà prova di una padronanza encomiabile della respirazione circolare.

Applausi, grida, fanno rientrare il quntetto, che esegue un omaggio ad uno degli ispiratori del leader, Albert Ayler. Flowers for Albert è una specie di ninna nanna, facilmente cantabile e infatti Murray inizialmente usa la voce. Dopo un solo di pianoforte, che Drake accompagna in uno stile latino, c’è un assolo di contrabbasso, uno di batteria, lungo e applauditissimo, ed il tema finale.

Il Teatro Olimpico ha ospitato l’esibizione della cantante Maria Pia De Vito ( Napoli, 17 agosto 1960 ), la quale ha voluto accanto a sé il pianista Fred Hersch (Cincinnati, 21 ottobre 1955) e il trombettista Enrico Rava ( Trieste, 20 agosto 1939 ), probabilmente contando sul loro affiatamento (i due musicisti suonano assieme dal 2021).

E’ stato un concerto rilassante e piacevole, ma senza picchi.

11 brani in 89 minuti, aperti e chiusi da due canzoni assai interpretate della musica popolare brasiliana. Tra di loro, standards americani e composizioni originali di Fred Hersch, due brani di Thelonious Monk, il secondo dei quali, scelto come bis. E’ resa in maniera drammatica la canzone di apertura, Retrato em branco e preto, musica di Antonio Carlos Jobim, testo di Chico Buarque de Hollanda. Momenti accorati di pianoforte e voce si alternano con assolo di flicorno e piano. Rava non suonerà mai la tromba. Probabilmente l’età non glielo consente più. Comunque in questo caso il flicorno è funzionale all’atmosfera.

L’altro classico brasiliano ascoltato è Corcovado, parole e musica di Jobim, testo inglese, scritto in un secondo momento dal critico musicale canadese Gene Lees (1928 – 2010). Plurinterpretato, tra gli altri, oltre che dall’autore, da Gal Costa, Joao Gilberto, Frank Sinatra.

Maria Pia ha insistito molto con lo Scat in I’m getting sentimental over you, uno standard di George Bassman, testo di Ned Washington e in How high the moon, musica di Morgan Lewis, testo di Nancy Hamilton e nel parkeriano My little suede shoes, un AABA afrocubano.

Convincenti le versioni di due capolavori di Thelonious Monk : Monk’s Mood e Misterioso, che ha concluso la serata, proposta in maniera gradevolmente sospesa.

Classicheggianti gli originali di Fred Hersch, da Child Song, vocalizzato da Maria Pia a Stars, per il quale Norma Winstone ha scritto un commovente testo.

Il pubblico applaude, non sempre convinto. Alcuni spettatori dormono placidamente confermando come la buona musica è capace di rilassare.

Puntuali gli interventi di Rava, mentre Maria Pia è preferibile quando utilizza lo Scat in maniera più o meno percussiva. Lascia invece a desiderare la sua pronuncia portoghese-brasileira.

Vicenza Jazz si appresta all’appendice estiva dal 14 al 17 luglio: 4 concerti, tutti alle 21, nel complesso monumentale di S.Corona.

Il 14 il geologo Mario Tozzi narrerà “Mediterraneo, le radici di un mito”, affiancato da Enzo Favata al sax soprano e live electronics. Il 15 Cross Currents trio : Dave Holland, contrabbasso; Zakir Hussein, tabla e percussioni; Chris Potter, sax tenore. Il 16 Kurt Elling, voce e Charlie Hunter, chitarra in Superblue, un quartetto completato da DJ Harrison, tastiere e Corey Fanville, batteria. Il 17 conclusione con il trio del pianista newyorkese di origini Tamil, Vijav Iyer; Linda May Han Oh, contrabbasso e Tyshawn Sorey, batteria.

 

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