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La vita umana e il profitto

Da alcuni anni, nel mondo del lavoro, è in atto una escalation della prevaricazione padronale, che procede incessante, veloce, progressiva, devastante e colpisce diritti sempre più importanti. Non solo diritti sociali ma anche il diritto alla vita, coinvolge sempre più persone, non solo persone interne al rapporto di lavoro, ma anche esterne, e si macchia di responsabilità sempre più gravi, ieri colpose, oggi anche dolose.

 

In questo scenario si colloca l’inquinamento di Taranto, che non è una disgrazia discesa dal cielo, colpa del destino cinico e baro, ma una disgrazia coscientemente voluta, per alleggerire i bilanci dai costi ecologici, in nome del dio profitto. Una divinità crudele ed implacabile, che non si ferma di fronte a niente, che giustifica tutto, la violazione colposa delle norme di sicurezza, ma anche quella dolosa, la morte degli operai, oltre quella di un’intera città.

 A completare il quadro, la ciliegina sulla torta: ci sono responsabilità, ci sono colpevoli, ci sono vittime, ci sono carnefici, ma tutto viene scaricato, attraverso mass-media compiacenti e nel silenzio colpevole della sinistra, sulle spalle dei lavoratori e degli ambientalisti. Al punto che la diossina di Taranto, non appare come il prodotto della violazione dolosa degli in industriali, della superficialità dei controlli politici, ma della testardaggine degli ambientalisti e degli operai, colpevoli di aver evidenziato il conflitto salute-lavoro mentre era superabile. Appunto! Superabile, ma non superato.

E’ mancata ieri la volontà di coniugare salute e lavoro, e manca ancora oggi. In questa situazione cosi ingarbugliata, esistono poche cose certe: ieri la violazione reiterata delle norme ambientali e i fatti corruttivi connessi, oggi, un investimento dell’impresa minimo rispetto ai bisogni, l’inesistenza di un piano aziendale di risanamento ambientale, la presentazione di ricorsi contro i provvedimenti dei magistrati. Insomma la strategia della riduzione al minimo del danno aziendale, accompagnata dall’indisponibilità politica e societaria a cambiare rotta. Un cambiamento che si misura in termini di minore diossina, ma soprattutto di minori morti e di minori malattie.

Dunque, sevono soldi, bonifica e nuovi criteri di controllo, ma i soldi sono insufficienti, manca un piano di bonifica, mancano nuovi criteri del controllo politico. Ma gli impianti non si possono fermare, perché si ferma l’intero stabilimento e con esso tutte le fabbriche siderurgiche del gruppo Riva. Senza l’Ilva viene meno un settore e con esso le industrie collegate e quindi la prospettiva per le generazioni future.

Ma quale prospettiva, quella di lavorare con un minor tasso di inquinamento, secondo gli standard europei, con dieci morti all’anno anziché cento? Possono le istituzioni politiche italiane ed europee, garantire l’abbattimento integrale del tasso di mortalità e di morbilità? Perché questo è il nocciolo del problema, la salute di tutti e non prescrizioni normative per più bassi tassi di diossina, giacché a nulla vale un minor tasso di inquinamento, se esso non scongiura morti e malattie.

 E che cosa succede se non va in porto il risanamento? Quale prospettiva alternativa realizzabile il Governo propone alle future generazioni? E’ certo difficile considerare seria e praticabile un’alternativa produttiva in assenza di una politica industriale, in assenza dei criteri per la sua costruzione, in assenza delle coordinate che rendono indispensabile un settore, e superfluo un altro, che gli assegna un ruolo diretto o strumentale rispetto ad altri settori, insomma, che lo collochi al posto giusto nella geografia industriale.

Eppure Taranto può essere l’occasione per il risanamento competitivo della siderurgia, per una bonifica che costituisca il trampolino di lancio della nostra siderurgia, accompagnata dal lancio della green economy. Immaginate un accordo di programma tra impresa, istituzioni e consorzio di imprese ecologiche per il risanamento dell’llva e di Taranto in termini di avanguardia. Ciò allargando il raggio di azione della bonifica, fino alla costruzione di una città ecologica in cui operano il risparmio energetico le fonti rinnovabili, le tecnologie ecologiche nell’industria come nell’agricoltura. Insomma Taranto può essere l’occasione per costruire un laboratorio per innovazioni di processo e di prodotto, coerente con l’ambiente, la cui salubrità viene misurata da più bassi tassi di malattie e mortalità per inquinamento.

 Questo è quello che avremmo voluto sentire al meeting di Rimini. Invece, abbiano sentito un attacco agli ambientalisti agli operai colpevoli di aver evidenziato ieri e oggi e a ragione, un contrasto tra salute e lavoro. Quello che è successo ieri lo hanno detto magistrati, che indagano su un’ipotesi di disastro doloso. Quello che succede oggi, è sotto i nostri occhi. Esiste la tecnologia per bonificare gli impianti siderurgici, basta cacciare i quattrini e mettere a norma gli impianti. Se l’impresa investe in misura adeguata per mettere a norma gli impianti e se la politica promuove l’accordo di programma sopradetto, il problema può essere risolto. 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.168) 23 agosto 2012 17:22

    Cosa vuole: è la regola del capitalismo. Questo autentico mostro non lo si può accettare soltanto in parte, ma in toto. E’ una questione di scelte. Una volta fatte, poi se ne debbono accettare tutte le conseguenze. E, badi bene: questo non è che l’inizio! Il "bello" deve ancora venire!

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