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La tragedia di Genova e i due livelli del fallimento italiano

La tragedia di Genova ha riproposto con violenza i nodi pluridecennali dello sviluppo italiano, dalla gestione e trasparenza delle concessioni autostradali e di grandi opere infrastrutturali, e preliminarmente alle scelte del decisore politico su quali opere sviluppare. Al netto dell’ormai abituale sciacallaggio su queste tragedie, due nodi appaiono da sciogliere.

La scelta delle opere pertiene ovviamente al decisore politico, ed a nessun altro. Ma se a fronte di decisioni di localizzazione e sviluppo si incappa nelle immancabili resistenze locali, non si va da nessuna parte. Sia chiaro: alcune scelte di opere infrastrutturali possono essere demenziali e dettate da interessi che poco e nulla hanno a che vedere con l’aumento di benessere sociale, ed in Italia questo è spesso accaduto, unitamente ad analisi costi benefici (dove parliamo di dimensione sociale, non solo finanziaria) spesso assenti o fortemente carenti. Ma se lo scontro si sposta su dimensioni di differente modello di sviluppo, ad esempio quello romantico ed autoctono basato su suggestioni di autoproduzione ed autoconsumo da parte di comunità locali su dimensioni quasi bucoliche, il discorso muore sul nascere. E da qui origina lo stallo.

A valle, cioè dopo aver deciso quali opere realizzare, c’è il problema della trasparenza delle concessioni, che in Italia scandalosamente non esiste. Questo è inaccettabile, in un paese democratico o sedicente tale. E se non vogliamo buttarla sul romantico concetto di democrazia, parliamo di “venale” tutela dei contribuenti.

Ma è importante essere consapevoli che il fallimento italiano ha esattamente due livelli: a monte, quello delle decisioni politiche sulle grandi opere e sul modello di sviluppo; a valle, quello della realizzazione in regime di concessione, dove il concetto di mercato non ha diritto di accesso e dove le oligarchizzazioni secretate sono la norma.

Oggi al governo abbiamo due forze di orientamento molto differente, sul tema: per semplificare all’eccesso, una appare favorevole ai grandi investimenti infrastrutturali di ammodernamento e sviluppo; l’altra ha profonde radici no-global ed anti-sviluppo. Questo conflitto è destinato a riesplodere, quando lo shock per la tragedia sarà stato riassorbito ma resteranno le polemiche da social e gli sciacalli di Pavlov che dispongono solo di un martello e vedono ogni problema come un austero chiodo, spesso denunciando i propri evidenti disturbi del comportamento.

Sono passate solo poche ore ma la dimensione grottesca e deforme del populismo (soluzioni semplici a problemi complessi) sta già emergendo, e troverà fertile terreno. Il tragico teatrino di questo disgraziato paese si nutrirà per molto tempo anche di questo, producendo gravi danni anche alla nostra già compromessa credibilità come comunità nazionale, prima che come debitore.

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