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La strada per Palazzo Chigi non è così spianata

Ieri s'è ragionato sul centrodestra, con «l'autopsia» di ciò che ne rimane. Oggi allarghiamo lo sguardo ai vincitori, o presunti tali. Le parole di Vendola alla festa della vittoria a Milano non avrebbero aiutato Pisapia in campagna elettorale, che oggi bacchetta il suo leader («a Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non conosce dovrebbe ascoltare più che parlare») e fa sperare di saper contenere l'influenza dei partiti che lo hanno sostenuto. Milano ha molte più possibilità di Napoli di cadere in piedi da questo esito elettorale. Pisapia non farà disastri, i milanesi dovranno sorbirsi qualche iniziativa radical chic, magari riuscirà persino a ridurre sprechi e privilegi all'interno dell'amministrazione, ma tutto - proprio tutto - dipenderà davvero dalla forza che dimostrerà il sindaco nell'arginare l'influenza mefitica dei partiti che l'hanno sostenuto (la bramosia di potere del Pd e gli istinti vetero-comunisti di Sel). Quanto a Napoli, non resta che San Gennaro.

Sui vincitori l'analisi più interessante è come spesso capita quella di Luca Ricolfi, su La Stampa, che per certi versi completa quella di Mannheimer. Per il sondaggista di Porta a Porta e del Corriere, si è registrata una massiccia «mobilitazione» dell'elettorato di sinistra più antiberlusconiano, a fronte di una vistosa «smobilitazione» dell'elettorato di centrodestra. Da una parte, ha giocato l'entusiasmo per una vittoria percepita come a portata di mano, e capace di assestare la spallata definitiva a Berlusconi. Il quale concentrando si di sé l'attenzione avrebbe mobilitato molto più la parte avversa che la propria. Insomma, l'odore del sangue politico di Berlusconi ha portato alle urne molti elettori di sinistra come non se ne vedevano dai tempi del grande inganno veltroniano. Dall'altra, la delusione per le promesse non mantenute e una politica sempre più distante dai problemi reali ("se tanto non cambia nulla, che ci vado a fare a votare?"), e l'autentico disgusto per la rissa nel fango degli ultimi dodici mesi, hanno tenuto lontano dalle urne molti elettori. Non una cattivissima notizia per il centrodestra, dunque, nel senso che secondo Mannheimer pare di capire che non ci siano stati consistenti flussi di elettorato dal centrodestra al centrosinistra. Ma potrebbero esserci in futuro se Berlusconi e Bossi continueranno con questo copione.

Per Ricolfi, se lo sconfitto è certo (Berlusconi), il vincitore «nascosto» delle elezioni è il «partito di Santoro» (grazie ai soldi dei contribuenti, aggiungerei): «Berlusconi ha perso, ma solo il partito di Santoro ha vinto. Questa è certamente una buona notizia per i molti nemici di Berlusconi, ma non è detto che lo sia per il centrosinistra».


In effetti, nessuno dei profili dei candidati premiati dagli elettori (Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli e Zedda a Cagliari), anche se per alcuni aspetti molto diversi tra di loro, sembra coincidere con quello di un ipotetico candidato premier del Pd. Se oggi Bersani è più forte nel suo partito, alla luce di questi risultati elettorali ed essendo ormai irrinunciabili le primarie di coalizione, sembrano rafforzate le possibilità che a guidare il centrosinistra alle prossime elezioni politiche sia Nichi Vendola. E infatti si è subito riaperta a sinistra la disputa tra primarie subito (Vendola) e primarie dopo (Bersani). Oltre ai ringraziamenti ai «fratelli» rom e musulmani per la vittoria a Milano, ieri Vendola ha fatto parlare di sé per la decisione assunta in Puglia, da governatore, di alzare l'addizionale Irpef per coprire il buco nella sanità pugliese. Le imprese pugliesi già pagano la percentuale massima dell'Irap consentita, ora Vendola ha aumentato l'addizionale Irpef del 30% per i redditi bassi e di oltre il 50 per quelli medio-alti. «Fratelli rom, sorelle tasse», sembra su misura il titolo del Giornale.

Ma il punto è che quello definito da Ricolfi «il partito di Santoro» non è che il partito dell'antiberlusconismo più viscerale, che come conferma Mannheimer sarebbe tornato a mobilitarsi in queste elezioni. Ma se l'antiberlusconismo - giudiziariamente, mediaticamente e ora elettoralmente - ha assestato duri colpi al centrodestra, facendo intravedere più volte il momento dell'uscita di scena di Berlusconi, ha tuttavia reso quasi impossibile in questi anni la formazione di una credibile alternativa di governo a sinistra. Fino ad oggi le forze della cosiddetta sinistra riformista non sono riuscite a governare con la sinistra radicale e giustizialista. A fronte di qualche di exploit elettorale - per cui a sentire un certo giornalismo "impegnato" gli italiani si sarebbero magicamente trasformati da rimbecilliti dal Cavaliere a protagonisti di una riscossa civile - zero capacità di governo. Le uniche due esperienze di governo, quelle guidate da Prodi, sono malamente naufragate, regalando una vera e propria resurrezione politica a Berlusconi.

C'è un "non detto" nel centrosinistra, un dato per scontato che invece potrebbe rivelarsi un calcolo sbagliato: si illudono che fatto fuori Berlusconi, il centrodestra cadrà nel marasma più totale e avranno gioco facile nel conquistare Palazzo Chigi. Può darsi, ma come osserva Ricolfi, non fanno i conti con un «confronto fra una destra e una sinistra entrambe deberlusconizzate», dove prima o poi lo scontro non sarà più fra berlusconiani e anti-berlusconiani. E allora, se il centrodestra saprà conservare un minimo di compattezza e di coerenza ideale e programmatica, e non getterà alle ortiche questi 20 mesi circa di governo che restano, potrebbero accorgersi che Berlusconi non era poi così insostituibile ed era in realtà l'ultimo dei loro problemi sulla strada per Palazzo Chigi.

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