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La prima recita dell’opera Turandot, in programma il 30 agosto, è saltata per uno sciopero

La Fondazione Teatro La Fenice ha comunicato che la prima di Turandot è saltata a seguito della programmazione di uno sciopero delle principali sigle sindacali

 

Non ci è dato sapere i motivi (gravi?) che hanno bloccato la messa in scena della prima dell’opera.

Non ci stupiamo affatto, memori di altre cancellazioni accadute in passato. Le ulteriori quattro repliche in programma – il 3, 8, 14 e 18 settembre alle ore 19 - si svolgeranno, comunque, regolarmente.

La ricca programmazione della stagione “Lirica e balletto” della Fondazione veneziana riprende con l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini (Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924),con il quale si concludono le celebrazioni dedicate al compositore nell’anno del centenario della scomparsa.

Il dramma lirico in tre atti di Giuseppe Adami e Renato Simoni, dalla fiaba teatrale omonima di Carlo Gozzi, sarà proposto nell’allestimento con la regia di Cecilia Ligorio, le scene di Alessia Colosso, i costumi di Simone Valsecchi e il light design di Fabio Barettin. Alla testa dell’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice l’autorevole direzione di Francesco Ivan Ciampa.

Il libretto, firmato dai poeti Giuseppe Adami e Renato Simoni, si basa sulla Turandotte del veneziano Carlo Gozzi (1720 - 1806), la tragicommedia, tra le dieci «fiabe drammatiche» rappresentate a Venezia tra il 1761 e il 1765, che rappresentava un capitolo dell’aperta polemica tra il nobile scrittore ‘reazionario’ e Carlo Goldoni.

All’universo realistico, borghese e sostanzialmente illuminista dell’avvocato suo concittadino, il conte Gozzi volle opporre il mondo improbabile e ardito della fiaba e della Commedia dell’Arte, rischiarato dal bagliore dei simboli e della poesia.

Il lavoro di Giacomo Puccini con i due librettisti si avviò nella primavera del 1920: in quattro anni di lavoro durissimo, Puccini portò a termine quasi completamente la vicenda ambientata «A Pekino al tempo delle favole», dove il principe Calaf, innamorato dell’algida principessa cinese Turandot, riesce a risolvere i tre enigmi cui ella sottoponeva gli incauti aspiranti alla sua mano (le cui soluzioni erano notoriamente speranza, sangue, Turandot).

La morte però colse Puccini mentre stava componendo l’atto terzo e aveva ultimato tutta la scena della morte di Liù, che per amore di Calaf si dà la morte.

L’opera andò in scena il 25 aprile 1926, diretta da Arturo Toscanini, con il finale approntato dal compositore Franco Alfano. È noto l’episodio che vide, alla prima, Toscanini posare la bacchetta, proprio dopo l’ultima scena di pugno del Maestro, e giustificare al pubblico la scelta di non proseguire declamando: «Qui finisce l’opera perché a questo punto il Maestro è morto». Puccini fece ricorso a raccolte di melodie cinesi autentiche, come pure al carillon in possesso dell’amico barone Fassini. Il musicista seppe inoltre ideare soluzioni timbriche nuove e suggestive, al tempo stesso violente e ricercate, rinforzando il settore orchestrale delle percussioni cui aggiunse svariati idiofoni (xilofono, glockenspiel, campane tubolari, celesta ecc.).

Inedita importanza, rispetto alla produzione pucciniana precedente, hanno anche le scene corali, che a più riprese sottolineano la tragica condizione delle masse sottomesse a un potere folle e ferito. Ai tre dignitari Ping, Pong e Pang e ai loro commenti disincantati e cinici è, invece, affidato il compito di alleggerire la tensione mortale, dominante in gran parte dell’opera, e di riportare l’azione entro una prospettiva di condivisibile ragionevolezza.

Turandot è la storia del viaggio iniziatico di Calaf, principe senza regno e senza sorriso – spiega la regista Cecilia Ligorio – caduto all’interno del misterioso mondo della crudele principessa. Ma l’opera di Puccini appartiene in pieno al Novecento, epoca nella quale il livello di complessità della narrazione si articola e si sviluppa in maniera esponenziale: ecco che al percorso di Calaf si intrecciano anche il viaggio di Liù e quello di Timur. Tutti però gravitano intorno al personaggio più ‘enigmatico’, quello di Turandot, la principessa di gelo. Essa stessa, attraverso l’incontro con Calaf e Liù, sarà obbligata ad affrontare il suo proprio viaggio interiore verso il cambiamento.

È un capolavoro – commenta il direttore d’orchestra Francesco Ivan Ciampa –. Si potrebbe dire che con Turandot (cui affiancherei anche i Dialogues des carmélites di Francis Poulenc) si chiude il grande arco dell'opera, nel senso più puro del termine. Per descriverla vorrei partire da una riflessione: Turandot ha dei tratti in comune con il resto della produzione di Puccini. Egli ha sempre ricercato soggetti, storie, situazioni particolari che rendessero unica l'opera che stava scrivendo. Nel caso di Turandot, che nasce da una fiaba (e già questo permette molta libertà nella fase di realizzazione), credo sia l'unica opera che si svolge nell'arco di un'intera notte, cominciando al tramonto e giungendo all'alba con l'ultimo enigma. Ovviamente ci sono altri titoli che si svolgono in una cornice simile, ma sono tutti atti unici. Invece qui si tratta di un'opera in tre atti che si sviluppa quasi letteralmente in tempo reale. Penso che Puccini, nelle sue varie composizioni, volesse scrivere la sua musica come se fosse lo svolgimento della vita reale. Lo si può vedere chiaramente nel secondo quadro della Bohème, e non solo lì. Lui riesce a focalizzare l'attenzione sull'elemento della storia, ma non dimentica che intorno esiste una vita che scorre, con tempi e velocità differenti. La stessa cosa accade in Turandot. Ovviamente l'opera non dura tutta la notte, ma per gli spettatori l'effetto è quasi lo stesso. Attraverso la musica, i tempi, i ritmi, Puccini cercava di esprimere la vita nel suo svolgersi.

Nel cast dell’allestimento della Fenice spiccano per i ruoli principali la presenza del soprano Saioa Hernández, nel ruolo della principessa di ghiaccio, in sostituzione di Maria José Siri per indisposizione; del tenore Roberto Aronica in quello del principe ignoto Calaf; di Selene Zanetti in quello di Liù; e di Michele Pertusi in quello di Timur. Nel cast anche Marcello Nardis nel ruolo dell’imperatore Altoum; mentre Simone Alberghini, Valentino Buzza e Paolo Antognetti interpreteranno rispettivamente Ping, Pang e Pong; infine Armando Gabba sarà il mandarino. Il Coro del Teatro La Fenice, preparato da Alfonso Caiani, sarà affiancato dal Piccoli Cantori Veneziani istruiti da Diana D’Alessio.

L’opera va in scena con sopratitoli in italiano e in inglese.

Foto Teatro La Fenice/Wikimedia

 

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