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La prima guerra del football di Ryszard Kapuscinski


Nel libro “La prima guerra del football”, Ryszard Kapuscinski riporta una serie di dispacci scritti fra gli anni ’60 e gli anni ‘70 in cui le faccende piccole e medie del mondo in minore diventano grandi temi da cui partire per comprendere gli uomini e la realtà.

 

Kapuscinski sa trascinarti in giro con la sua pelle chiara senza forzare lo sguardo in nessuna direzione. E dire che scriveva da “servo di partito”. I personaggi, le situazioni, i mondi, la politica, le culture sono sempre analizzate attraverso un filtro rispettoso dell’altro, così lontano, soprattutto nel periodo in cui Kapuscinski scrive, ma per fortuna ancora così diverso da poter arricchire sotto tutti i punti di vista.

 

Una serie di dispacci del genere oggi, vedrebbero il povero cronista sbatacchiato con aerei comodi in realtà che hanno un solo sogno: diventare America. E in questo modo la cronaca si ridurrebbe a computare questo sogno pieno di sangue, violenza e soprusi. E soprattutto senza la coscienza di poter essere migliori diventando se stessi.

 

La caratteristica interessante del libro, che lo differenzia da un diario di viaggio cadenzato da lotte e guerre civili, è il contraltare “filosofico” che Kapuscinski fa intervallare alle sue avventure e alle faccende di quelle terre. In questo spazio “da scrivania” si comprende appieno il senso del viaggiare, il valore dell’apostolato dell’inviato speciale, la bellezza unica del capire gli altri. Ma soprattutto Kapuscinski si apre alla voglia vera di spiegare come ha visto l’uomo in giro per il mondo, come ha compreso con piccoli occhi la realtà comunque indecifrabile e inafferrabile, come è riuscito a vivere diventando migliore. Fare passare un po’ di questi insegnamenti su strada è lo scopo vero di un intellettuale.

 

Lo sport non rientra nei piani organizzativi dei viaggi, né nella struttura compositiva delle vicende narrate. Però lo si sente, in profondità, e soprattutto per gli occhi allenati di un lettore d’oggi. Tutte le disfide tribali che hanno insozzato e continuano a dilaniare il mondo, sono delle ignobili partite di uno sport che vuole la vita e dà in cambio niente.

 

La partita tra El Salvador e l’Honduras del 1969 che fa scoppiare la prima guerra del football richiamata nel titolo è un pretesto cretino che il potere usa sulla pelle dei poveracci spediti al fronte: gli slogan che si cantano in battaglia sono dei cori da stadio dove l’ignoranza è instillata a memoria, le schiere di soldati preparati alla guerra sono squadre da allenare al macello, i potenti che danno ordini secchi e irridenti sono allenatori terrificanti che decidono sulla vita, gli uomini di stato che credono di sapere il giusto sono presidenti assassini e voraci. Nelle parole di Kapuscinski la guerra diventa lo sport preferito dall’uomo che non merita nostalgia.

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