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La pornografia necessaria (?) su Eluana Englaro

Il confine tra una dettagliata descrizione e la pornografia può essere labile, e un corpo ostentato (seppure a parole) è più potente di molte descrizioni impersonali.

Un giorno nella stanza di Eluana (la Repubblica, 10 settembre 2008) è solo l’ultima violazione della sua vita – o di ciò che ne resta, ormai un involucro incosciente. Una bambola di pezza in balia degli altri.

Quanto sta accadendo ad Eluana ricordal’autopsia dell’esistenza di una vittima per cercarne il colpevole: rovistando negli oggetti e nella sua vita personale si compie un secondo omicidio. Certo necessario, ma ugualmente odioso. Certo senza che il diretto interessato ne sia consapevole (anche nel caso di Eluana la ragazza non può accorgersi di quanto accade intorno a lei), ma ugualmente sgraziato.


L’attardarsi su dettagli personali e la dolente descrizione della sua “giornata” provocano sgomento, uno sgomento composto e rabbioso. Composto, forse, perché consapevole della “necessità” di un simile scempio.

Non basta elencare le condizioni di quanti si trovano in condizioni simili; non basta spiegare in cosa consiste lo stato vegetativo e quali siano le conseguenze – non basta perché per rendere un pugno allo stomaco una fredda descrizione ci vuole il caso umano, bisogna rendere carne e ossa le parole che annoiano in fretta. Non basta, evidentemente, perché troppo spesso si continua a dire e a scrivere che Eluana è in “coma”. O si giura che Eluana reagisce quando la si chiama.

Sebbene si comprenda pienamente l’intento di questa descrizione così prossima ad una fotografia, l’amarezza e l’ossessiva domanda sulla inevitabilità permangono e diventano sempre più insistenti ad ogni parola.

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