• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > La ’ndrangheta (nona parte, capitolo 3): Roma, capitale mafiosa

La ’ndrangheta (nona parte, capitolo 3): Roma, capitale mafiosa

Segue da qui.

Alcuni anni fa per, come si suol dire, tirare a campare, avevo fatto anche l'agente immobiliare. Un pessimo lavoro che non raccomando a nessuno, ma questa è ancora un altra storia.

E nell'agenzia romana dove lavoravo si recava spesso un calabrese per acquistare qualche appartamento, io ero ancora troppo ingenuo ma non nascosi la mia perplessità al mio "capo". Lui rispose con tutta franchezza e anche ridendo che quel tipo faceva molto probabilmente da prestanome per la 'ndrangheta e diceva che non gli importava nulla, anzi meno male che c'era così poteva vendere gli appartamenti, son soldi diceva.

Ovviamente me ne andai anche per quel motivo, ci si sente sporchi anche se uno non ha fatto nulla di illegale.

Vi ho raccontato questo aneddoto per farvi capire il motivo principale della facilità nel riciclare il denaro sporco: ci guadagnano tutti.

Ecco spiegato il motivo per cui qui a Roma molte attività commerciali sono in mano alla 'ndrangheta. Così come gli appartamenti: nel 2009 le fiamme gialle sequestrarono beni immobiliari di duecento milioni di euro e purtroppo, come i locali, come è andata a finire rimane una nebulosa.

Esiste un ottima legge, quella 197 del 1991, la quale impone alle banche, alle agenzie postali, agli intermediari finanziari, ai professionisti come notai e avvocati delle pubbliche amministrazioni l'obbligo di segnalare operazioni finanziare sospette. Ma non funziona per due semplici motivi.

Alcuni non collaborano per paura di ritorsioni, ma il motivo principale e più probabile è che non collaborano per timore di perdere i clienti. In sostanza per il mancato guadagno.

I questa maniera l'economia mafiosa si trasforma in economia pulita e dopo tre generazioni non è più possibile individuare la provenienza dei capitali.

A Roma ci sono dei locali importanti situati nel centro storico come il ristorante "La Rampa" #(vedi nota) che fu sequestrato per gestione 'ndranghetista ma riaperto subito dopo e ancora attivo e frequentato da molti politici. Oppure un famoso locale come Il Cafè De Paris, quello della dolce vita di Fellini.

Fu sequestrato perché scoprirono che era gestito da un barbiere calabrese, un certo Villari, il quale secondo gli investigatori fungeva da prestanome per la 'ndrangheta.

Quello che posso dirvi è che il locale è ancora attivo, personalmente ci sono andato due volte con persone diverse per vederci chiaro. La cosa certa è che a lavorarci son tutti calabresi, e non mi ha dato una buona impressione. I clienti, a parte i turisti e noi, erano tutti siciliani e napoletani.

Insomma mi ero recato due volte e per ben due tentativi nessuno dei miei compagni è riuscito a leggere il documento di licenza che per obbligo deve essere ben visibile al pubblico.

Anzi a questo punto invito tutti ad andarlo a leggere, magari sia io che i miei amici abbiamo problemi di vista.

Ma ribadisco che è tutta una nebulosa perché magari adesso a gestirlo sono calabresi onesti. Oppure lo erano anche prima perché, ripeto, non so come sia andata a finire.

Certo che è strano vedere tutti questi locali gestiti sempre da loro.

Una ragazza che conosco, qualche mese fa, si era lasciata con il ragazzo il quale era calabrese e che guarda caso gestisce un altro locale sempre nella zona di Piazza Barberini. Io ovviamente gli raccontai che in quella zona molti locali sono gestiti dalla 'ndrangheta e lei mi rispose di non ferirla ulteriormente perché qualche sospetto sull'ex ragazzo ce lo aveva. Faceva lunghi e improvvisi viaggi, e notava qualcosa di poco chiaro ma lei era innamorata e faceva finta di nulla. E infatti si lasciarono per altri motivi.

Le dissi che comunque sia meglio così, non ha perso nulla. Anzi tutto di guadagnato. E in questo caso non è la solita frase retorica.

Continua.

# La Corte di Appello di Roma (presieduta da Guido Catenacci) ha respinto la richiesta di sequestro con questa motivazione: "i legami di parentela con persone inserite in organizzazioni mafiose di per sé non possono far ritenere che necessariamente tutti i familiari appartengano a tali organizzazioni. In questa logica di parentado - scrivono ancora i giudici - possono trovare giustificazione le frequentazioni intercorse tra i tre, per comunanza di interessi e percorso di vita, e personaggi di comune origine territoriale"

Aggiungo una mia nota personale, lo sanno i giudici che la 'ndrangheta ha un legame di sangue, familiare? Lascio riflettere voi cari lettori.


LEGGI: Droga, racket, riciclaggio e appalti. Così evolve la mafia a Roma
 

Commenti all'articolo

  • Di Marzia (---.---.---.161) 10 febbraio 2011 17:10
    Marzia

    Leggendo, cresce in me il raccapriccio ad ogni rigo.
    Eppure a 55 anni suonati dovrei essere abituata anche per il lavoro che faccio.
    Non mi sono occupata come giornalista di cronaca nera e di argomenti come quelli inquietanti che descrivi, ma mi basta quanto leggo a credere il riciclaggio faccenda molto più insinuata nel tessuto sociale e civile di quanto non si creda.
    Il mio apprezzamento per quanto riveli e per la stesura precisa degli accadimenti dei quali sei stato testimone.

  • Di (---.---.---.244) 14 ottobre 2011 04:10

    ciao,confermo quanto dici,anche io spesso tra via del corso ,via ripetta e piazza barberini sono finito in locali con gestori e baristi o calabresi o napoletani,come mai,da dove arrivano tutti questi milioni di euro che servono per comprare i bar e gestirli?Sveglia GUARDIA DI FINANZA SVEGLIA!!!

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares