La morte di Cosimo Di Lauro e le responsabilità della magistratura
La morte di Cosimo Di Lauro, il boss della camorra deceduto in carcere a Milano a 49 anni, dovrebbe aprire una riflessione sugli errori commessi dalla magistratura. Un sistema giudiziario che, talvolta, si comporta in modo disumano con i detenuti.
L'uomo, che si è spento improvvisamente nella notte di lunedì 13 giugno, era lontano anni-luce dal boss arrestato nel gennaio del 2005, durante la faida di Scampia tra il clan Di Lauro e gli Scissionisti.
Il camorrista che ha ispirato il personaggio di Genny Savastano nella serie televisiva Gomorra, da diciassette anni era rinchiuso al regime del 41-bis, ma in quel regime, probabilmente, non doveva nemmeno esserci, dato che da tempo soffriva di squilibri mentali: farneticava di giorno, ululava di notte, lamentava allucinazioni e disturbi del sonno. I medici avevano anche elencato ansia, disturbi mentali e comportamenti bizzarri "come ridere a crepapelle nel cuore della notte”.
Una condizione che lo aveva costretto ad assumere massicce dosi di psicofarmaci somministrati da anni come a un paziente psichiatrico, tanto che i suoi legali avevano ritenuto che le sue condizioni di salute mentale fossero incompatibili con il carcere duro, chiedendo che Di Lauro venisse ricoverato in una struttura psichiatrica adeguata. Una richiesta respinta dal Tribunale, il quale riteneva che il giovane boss stesse simulando. Invece non stava affatto simulando. E a dirlo era stata anche una perizia di parte che aveva dimostrato come le condizioni di Cosimo Di Lauro non fossero frutto di una simulazione, ma il risultato di un lento processo di declino psico-fisico.
Una situazione devastante che il carcere duro deve aver probabilmente accentuato, tanto da portalo alla morte. Il figlio di Ciruzzo ‘o milionario, al secolo Paolo Di Lauro, è stato trovato esanime, supino sul letto della sua cella, dove trascorreva gran parte della giornata, senza alcun segno di violenza riconducibile al suicidio. Una morte sopraggiunta dopo anni in cui il boss di Secondigliano, condannato già a due ergastoli come mandante di diversi delitti commessi durante la mattanza di Scampia, era diventato l'ombra di sé stesso: non mangiava, fumava cinque pacchetti di sigarette al giorno, rifiutava le visite del suo legale, trascurava l'igiene personale.
Ora il Tribunale di Milano ha disposto un'autopsia sulla salma di Di Lauro, oltre a una perizia medico-legale e tossicologica per accertare le cause del decesso. Ha aperto anche un fascicolo a carico di ignoti per “omicidio colposo”. Un atto dovuto ma anche un gesto di incommensurabile ipocrisia, perché se il giovane boss fosse stato ricoverato in una struttura specialistica, come aveva chiesto il suo legale, forse oggi sarebbe ancora vivo.
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