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La libertà delle donne e quella delle Femen

Le at­ti­vi­ste di Fe­men sono sbar­ca­te, con ca­no­ni­ca pro­te­sta a seno nudo, al fe­sti­val del ci­ne­ma di Ve­ne­zia per la pre­sen­ta­zio­ne del do­cu­film a loro de­di­ca­to, Ukrai­ne is not a bro­thel, di Kit­ty Green.

Un film che la re­gi­sta ha po­tu­to gi­ra­re pro­prio per­ché par­te­ci­pa­va di­ret­ta­men­te ai loro ge­sti di­mo­stra­ti­vi e che mo­stra an­che gli aspet­ti con­tro­ver­si del mo­vi­men­to. In par­ti­co­la­re il ruo­lo am­bi­guo di Vik­tor Svya­tskiy, tra gli ideo­lo­gi die­tro le quin­te del mo­vi­men­to, che sen­za pro­ble­mi ri­ve­la: “Ho crea­to un grup­po per ave­re del­le don­ne. Spe­ro che gra­zie al mio com­por­ta­men­to pa­triar­ca­le loro ri­fiu­ti­no quel si­ste­ma che rap­pre­sen­to”.

A det­ta di Sa­sha Shev­chen­ko, una del­le mi­li­tan­ti più in vi­sta, Svya­tskiy or­mai da un anno non fa più par­te del­le Fe­men: “Quan­do le Fe­men han­no co­min­cia­to ad es­se­re più po­po­la­ri ha pen­sa­to di po­ter pren­der­si più spa­zio, for­se per­ché è un uomo. Ave­re a che fare con una per­so­na come lui ci ha fat­to ca­pi­re an­co­ra di più quan­to sia ne­ces­sa­rio com­bat­te­re il pa­triar­ca­to. Non sia­mo più sot­to il suo fol­le po­te­re, ora la­vo­ria­mo fra don­ne”.

Le azio­ni di­rom­pen­ti e pro­vo­ca­to­rie del­le Fe­men, an­che con­tro la re­li­gio­ne in­te­sa come si­ste­ma di do­mi­nio pa­triar­ca­le e ma­schi­li­sta del­le don­ne, han­no de­sta­to lo scon­cer­to di tan­ti, an­che tra le fem­mi­ni­ste. In più, que­sti aspet­ti le­ga­ti alle di­na­mi­che in­ter­ne e alle stra­te­gie su­sci­ta­no for­ti e le­git­ti­mi dub­bi tra co­lo­ro che cal­deg­gia­no una pre­sa di co­scien­za del­le don­ne. Ad ago­sto Ami­na Ty­rel (vero co­gno­me Sboui), la gio­va­ne tu­ni­si­na che ave­va po­sta­to im­ma­gi­ni a seno nudo con­tro l’i­sla­mi­smo pa­triar­ca­le, si è pub­bli­ca­men­te dis­so­cia­ta dal­le Fe­men ac­cu­san­do­le di “isla­mo­fo­bia” e di non chia­ri­re da dove ve­nis­se­ro i loro fi­nan­zia­men­ti.

femen-venezia

Dal can­to no­stro, es­sen­do alie­ni a fa­ci­li esal­ta­zio­ni e aven­do il “vi­zio” del­la co­scien­za cri­ti­ca, tem­po fa par­lan­do del­le stra­te­gie mes­se in cam­po del­le fem­mi­ni­ste ara­be ab­bia­mo mes­so in evi­den­za come il “me­to­do Fe­men” fos­se for­se me­dia­ti­ca­men­te ef­fi­ca­ce — quan­to­me­no per at­ti­ra­re su di sé le te­le­ca­me­re — ma mol­to pro­ble­ma­ti­co. So­prat­tut­to nel mon­do mu­sul­ma­no, dove può ge­ne­ra­re un ef­fet­to boo­me­rang.

In par­ti­co­la­re la po­si­zio­ne cri­ti­ca del­la scrit­tri­ce Jou­ma­na Had­dad, che di cer­to non si può tac­cia­re di bi­got­ti­smo, ci era sem­bra­ta mol­to lu­ci­da. Di cer­to è au­spi­ca­bi­le che le don­ne, spe­cie in cer­ti pae­si come quel­li ara­bi, fac­cia­no sen­ti­re la loro voce nel ri­ven­di­ca­re di­rit­ti. Tut­ta­via, azio­ni giu­di­ca­te ec­ces­si­ve e la man­can­za di tra­spa­ren­za su al­cu­ni aspet­ti pos­sno non gio­va­re al­l’e­man­ci­pa­zio­ne fem­mi­ni­le e pre­sta­no il fian­co a dif­fu­se cri­ti­che.

Se qual­co­sa può in­se­gna­re la que­rel­le sul­le Fe­men, è che l’u­so del pen­sie­ro cri­ti­co e l’a­zio­ne lai­ca del­le stes­se don­ne pos­sa co­mun­que con­tri­bui­re a far usci­re dal­l’om­bra del “pa­dre pa­dro­ne” il mo­vi­men­to, per una mag­gio­re ef­fi­ca­cia ge­ne­ra­le pro­prio di que­ste lot­te. Il mon­do ha un di­spe­ra­to bi­so­gno di don­ne che si im­pe­gni­no per la li­ber­tà del­le don­ne.

 

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