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La legge bavaglio e le nuove azioni di lotta in una società a regime mediatico

 
La CGIL partecipa alla manifestazione contro la legge sulle intercettazioni. Cosa c’entra il lavoro con la liberta di stampa, cosa c’entra il lavoro con le limitazioni delle intercettazioni?
 
Le ragioni del coinvolgimento dei lavoratori in queste tematiche sono tante. Le censure sulle manifestazioni e sugli scioperi. Il taglio di fondi all’editoria con perdita di posti di lavoro. La priorità data, con la legge bavaglio, ai problemi del premier rispetto ai problemi dei lavoratori. Ma il dato di congiunzione più rilevante è la legge sulle intercettazioni o legge bavaglio che esautora il controllo dell’opinione pubblica sulle problematiche dei lavoratori. Per la verità il bavaglio è da tempo operante nei media italiani. La legge è solo la ciliegina sulla torta, la formalizzazione di un’attività censoria che agisce a 360 gradi con forme e modalità diverse. Il riferimento perciò non investe solo l’attività censoria quotidiana che sottrae con il silenzio, conoscenza e valore politico ai problemi, alle condizioni e alle lotte dei lavoratori, ma anche a quell’attività di manipolazione che conferisce rilevanza a questioni di interesse del premier, a prescindere dalla rilevanza oggettiva.
 
Rispetto a tutto ciò non è sufficiente la manifestazione di oggi primo luglio 2010, è necessaria un’azione di lotta quotidiana capace di toccare gli interessi e le tasche dei padroni del vapore, degli imbavagliatori.
 
La protesta dei precari, le cifre della crisi, i siti delle centrali nucleari, hanno certamente rilevanza politica, eppure non sono diventati casi politici. Perché?
Le ragioni sono semplici.
 
Non son diventati casi politici, perché nascosti nelle pieghe dei tg e di molti giornali, non hanno avuta una comunicazione adeguata alla loro importanza, e come tali sono stati esclusi dal dibattito politico.
 
Ieri la politicità del fatto era naturalmente conseguente alla sua capacità di coinvolgere interessi e passioni, oggi non è più così. E d’altra parte se ieri la conquista per i più deboli di qualche diritto, dipendeva dall’intensità della lotta, oggi nessuna conquista dei diritti sociali può essere praticata senza il timbro politico.
In una società mediatica la timbratura politica dei fatti è affidata alla comunicazione. In una società a regime mediatico, tale potere appartiene al soggetto politico che ha il monopolio informativo e quindi il potere di decidere ciò che è politico e ciò che non è politico, di dettare l’agenda mediatica, di stabilire i temi di cui la politica si deve occupare.
 
E tutto ciò è un bene o un male per la nostra democrazia? E’ indubbio che quando temi fondamentali dell’azione politica non diventano oggetto di dibattito, di proposte e di soluzioni, il campo di azione della politica risulta ridotto, circoscritto, limitato. Se poi tale limitazione di dibattito, di analisi, di dialettica politica, investe -come dimostrato dallo strappo di Fini- il partito di maggioranza, allora vuol dire che viviamo in una democrazia malata.
 
Si può continuare così? Può essere il silenzio la risposta dei soggetti politici e sindacali a quest’andazzo di cosa? Non è forse meglio farsi sentire, sviluppare un’azione di contrasto all’occultamento dei fatti e delle iniziative politiche? Occorre al riguardo prendere coscienza che la battaglia politica non può essere limitata ai meri fatti, ma anche a come essi vengono comunicati, giacché è la comunicazione che trasforma un fatto in un fatto politico.
 
E allora su questo terreno va portata la lotta, dove la controparte non è il padrone della fabbrica ma gli editori dei massmedia a livello nazionale e a livello locale, e gli obiettivi sono la visibilità delle lotte e dei diritti, che è essenziale per la loro conquista.
 
E così per conquistare visibilità e valore politico alla loro azione sindacale, i lavoratori della Vinl’s di Portotorres, una società chimica in amministrazione controllata, sono diventati protagonisti di un reality reale all’Asinara, ”l’isola dei cassaintegrati” che è diventato il palcoscenico della loro lotta. Una protesta che ha conquistato siti web, speciali in radio e tv, articoli sui giornali, addirittura una canzone. Nella stessa direzione si collocano le lotte dei lavoratori che si arrampicano sulle gru, sui cornicioni delle fabbriche ecc. Insomma la lotta sindacale conquista la visibilità per conquistare spessore politico, e porre quindi le premesse per la risoluzione dei problemi dei lavoratori. Ma in un regime mediatico, la visibilità non è sufficiente ad assicurare il successo alla lotte sindacali e a quelle politiche.
 
Il padrone del vapore non si limita a sottrarre visibilità e quindi politicità alle iniziative e ai fatti degli avversari, ma concede e spazi informativi visibilità alle iniziative e ai fatti che intessono la propria linea politica. Determina dunque uno squilibrio informativo che non si misura solo in termini quantitativi, ma anche in termini qualitativi, in relazione alla continuità, completezza e rilevanza della copertura mediatica e quindi ai tempi di presenza sui massmedia di un’azione politica rispetto ad un’altra, al rilievo dato alla stessa, alla quantità e varietà delle trasmissioni o degli articoli con cui viene diffusa.
 
Occorre dunque lottare per un riequilibrio informativo e quindi contro l’enfatizzazione informativa delle ragioni del privilegio e l’occultamento della lotta politico/sindacale. E d’altra parte in ogni momento i padroni del vapore, possono chiudere i riflettori. E ciò è prevedibile per tutte quelle iniziative politiche, lotte sindacali che danneggiano gli interessi politici del padrone. Ma questa è solo una faccia della medaglia, quella che riguarda il ruolo dell’editore e quindi la sua attività a favore del politico. L’altra riguarda il ruolo del politico e la sua attività a favore della sua azienda. Un ciclo virtuoso che si autoalimenta.
 
Il conflitto di interessi ha due facce. La lotta deve dunque investire entrambi gli aspetti del problema.
 
In particolare occorre rompere il nesso sinergico tra interessi politici e quelli economici del politico/editore. Una sinergia che nasce dall’immedesimazione nello stesso soggetto del ruolo di politico e di quello di editore, e per la quale il politico si pone al servizio dell’editore, e l’editore al servizio del politico. Il primo utilizzando il potere politico per tutelare gli interessi aziendali, il secondo utilizzando il potere mediatico per supportare il potere politico. Il politico va posto di fronte ad una scelta: tutelare gli interessi politici e sacrificare quelli economici oppure sacrificare gli interessi economici e tutelare quelli politici. Non si può consentire che il politico editore possa tutelare, con il potere mediatico, suoi interessi politici senza pagare dazio.
 
A tal fine bisogna prendere coscienza del fatto che se i lavoratori, i cittadini, hanno bisogno della tv per la visibilità delle loro azioni di lotta e iniziative politiche, anche la tv ha bisogno dei lavoratori e dei cittadini. Ne ha bisogno come utenti per aumentare l’auditel, come consumatori per incrementare il fatturato delle aziende che fanno pubblicità, come controparti negli spazi informativi, ospiti e soggetti da intervistare. Lo sciopero della visione di uno o più canali, lo sciopero dell’acquisto di prodotti pubblicizzati nel canale o nella trasmissione contestata, l’assenza della controparte nelle trasmissioni informative, sono azioni che procurano danni per l’oggi e per il domani. Se non si è in grado di assicurare il rispetto dei contratti pubblicitari si perde affidabilità e quindi clienti. Cosi l’assenza della controparte nei programmi informativi li delegittima agli occhi dell’opinione pubblica e li rende irrealizzabili. Gli effetti negativi sul valore del titolo azionari sono facilmente immaginabili.
 
Il telecomando, lo sciopero dell’acquisto, la partecipazione ai programmi, sono strumenti di lotta, occorre utilizzarli, ma in forma organizzata.
 
Lo sciopero mediatico è utilissimo per rompere il nesso sinergico tra interessi politici ed interessi economici, se usato in maniera più articolata, più finalizzata rispetto a quanto è stato sperimentato nel passato,quando si è preteso di operare con scioperi permanenti e generali, destinati al fallimento in una società abituata e affezionata a determinati canali, a determinate trasmissioni. La tempistica, le modalità, le procedure devono essere quelle proprie dello sciopero. E dunque una piattaforma rivendicativa in cui sono fissati gli obiettivi e gli strumenti per conseguirli, la richiesta alla controparte (Rai Mediaset) di un tavolo di confronto, la trattativa ed eventualmente lo sciopero.
 
Azioni di lotta mirate, possono forse produrre risultati non ottenuti nel passato, e quindi spazi informativi adeguati all’importanza dell’azione politica che si vuol rendere visibile. Spazi che si misurano in termini di continuità, completezza e rilevanza di copertura mediatica.
 
Il coinvolgimento dei lavoratori dipendenti delle aziende editoriali appare quanto mai necessario atteso che gli effetti negativi delle azioni di lotta possono ricadere su di essi. Non possiamo innescare una guerra tra poveri, ma nemmeno è possibile desistere dalle azioni di lotta.In queste come in altre situazioni, la conciliazione di interessi contrastanti tra i lavoratori sta nella solidarietà, che non è solo una buona azione, ma nasce anche dalla consapevolezza, che limare il potere degli editori/politici significa anche rendere i lavoratore dell’editoria più forti. La libertà di stampa e soprattutto l’autonomia dei giornalisti non è qualcosa che riguarda solo i lettori, ma anche tutti i lavoratori del settore. E così la sconfitta o la vittoria di un’azione di lotta sindacale non è qualcosa che riguarda solo i lavoratori del comparto interessato.
 
Un cammino in salita che la sinistra e tutta l’opposizione non hanno nemmeno avviato.

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