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La fine delle illusioni. Come perdere, male, e non avere un progetto di alternativa

La fine delle illusioni. Come perdere, male, e non avere un progetto di alternativa

È inutile fare chissà quali giri di parole per descrivere quello che è successo. Peggio di così non poteva andare. Ieri pomeriggio parlando con varie persone, alcune molto “introdotte”, nel giro “che conta” del centro sinistra italiano mi sembrava di essere una specie di zombie. La percezione che avevo, da giorni, di quello che stava avvenendo nel Paese e che poi si è puntualmente verificata (ovvero che il centro sinistra andava a perdere e a perdere male), non trovava nessun riscontro. Tutti pensavano che se c’era qualche rischio in Piemonte, comunque la Bonino avrebbe battuto la Polverini e che De Luca in Campania era in netta ripresa (“e poi con quel blocco di voti che c’ha può puntare almeno a un testa a testa”). Poi si dava per scontata la “rotta” in Calabria.E nessuno che si ponesse la domanda: perché ricandidare l’impresentabile Loriero contro ogni logica elettorale e di alleanza? Insomma, chiunque degli esponenti del centro sinistra che sono riuscito a contattare nella giornata di ieri pensava che “si tenesse” anche se con qualche perdita sul campo.

I risultati raccontano invece una sconfitta sonora. Secca.

Non ha funzionato la Bresso e la strategia di fare la campagna elettorale solo su Torino sottovalutando il peso elettorale della provincia piemontese. E poi diciamocelo ha pagato anche la sua posizione sulla vicenda Tav, e tanto. Non ha funzionato la Bonino che è risultata troppo “tiepida”, troppo “contraddittoria” e soprattutto troppo pannelliana (o meglio, troppo condizionata dai micro tatticismi del buon Marco a cui del centro sinistra non frega assolutamente nulla ma del riuscire a far pesare – in visibilità -quel neanche 1% che rappresentano i Radicali a livello nazionale si). Non ha funzionato De Luca (era evidente fin dal momento della sua candidatura) che ha avuto solo la funzione di mettere in difficoltà la dirigenza dell’Idv con il suo elettorato e quindi di frenare l’ascesa di questo ex piccolo partito che stava mettendo in seria difficoltà il Pd. Non ha funzionato Loriero, che ha gestito il proprio mandato in Calabria senza differenziarsi di una virgola dai sui predecessori.

L’unico che ha fatto la differenza, in termini di candidatura, è stato Vendola. Che ha retto all’affaire sanità, alle tante contraddizioni della sua giunta, perfino all’arresto alla vigilia del voto del suo ex vice. Ha fatto la differenza, e infatti D’Alema ha cercato in tutti i modi di impedirgli di presentarsi.

Il “d’alemismo”, che va ben oltre la figura del “migliore” che non ne azzecca una da dieci anni ma che nessuno ha il coraggio e la forza di dirgli di acquietarsi, dedicarsi solo alla barca e a qualche visita di rappresentanza all’estero, è stato sconfitto da due lustri dalla storia, dal voto, dai fatti. Come del resto la sua proiezione speculare, ovvero il piacione e rassicurante (e spietato) gruppo che si continua a raccogliere attorno a Veltroni. Una roba, questa sconfitta, da ricondurre in buona parte alle lotte (e ai ricatti incrociati) tutti interni al Pd e al vecchio dualismo irrisolto Massimo-Walter. Poi ti stupisci che non ti votano?

Il berlusconismo è in crisi. Lo si percepisce nettamente anche dalla violenza di questa ultima fase del regno dell’imperatore di villa Certosa. Ma la capacità di Berlusconi è proprio quella di ribaltare lo svantaggio in vantaggio. Ha i mezzi (è il premier, ha una maggioranza enorme in parlamento e soprattutto ha un impero economico e mediatico senza pari nel mondo occidentale), ha la capacità (da tutta la vita, fin da quando vendeva appartamentini chiavi in mano nella periferia milanese) di spacciare per buono un sogno irrealizzabile e di smuovere gli appetiti e desideri più nascosti di molti italiani. La presunzione di successo, di impunità, di possibilità che nessuno possa mai mettere in discussione come e sulle spalle di chi hai accumulato la tua “roba”. La “roba” (che sia denaro, privilegi, impunità, donne, lussi, sfacciataggine) è il centro del sogno berlusconiano, del desiderata che sposta milioni di voti.

Questa crisi del berlusconismo sta avendo delle ricadute molto preoccupanti. Autoritarismo (ci sono dei segnali davvero allarmanti di “cedimento” anche nelle forze dell’ordine che finora si erano tenute fuori dalla violenza dei messaggi del premier e dei suoi memori anche della vergogna del G8 di Genova), e poi illegalità diffusa, piccoli gruppi di potere economici e non fuori ogni controllo, violenza a un livello mai raggiunto negli attacchi alle istituzioni e alle libertà fondamentali di uno Stato democratico. Lo scenario era ed è tale che si imponeva all’opposizione uno scatto di orgoglio, il mettere in piedi un progetto unitario e forte e soprattutto mettere in campo dei candidati credibili. Non è avvenuto. Ancora una volta.

Nonostante la manifestazione a Piazza del Popolo, nonostante svarioni e errori clamorosi da parte del centro destra (a partire dalla vicenda delle liste elettorali), nonostante il disagio e la crisi economica, nonostante la censura bulgara dell’informazione. La risposta dell’opposizione è stata quella di liste in molti luoghi impresentabili, di un’unità raggiunta solo per “costrizione”, di liste, listine e listarelle nate da scissioni nuove e antiche ormai sempre più vicine a divisioni molecolari, a cui si è aggiunto il nuovo ceto politico grillino (che ha un buon successo in Emilia e in Piemonte contribuisce in maniera determinante a consegnare il nord definitivamente alla Lega).

Che fare? In realtà basterebbe azzerare gli attuali gruppi dirigenti. Ricominciare daccapo. Senza bizantinismi, senza potentati (di interessi spesso innominabili) che si ricattino fra loro. Una testa un voto, che ci si esprima su progetti veri, condivisi. Bisogna fare un grande atto di umiltà davanti al Paese, tutti, nessuno escluso. I residuati di quello che fu il breve sogno dell’Ulivo non servono più, sono addirittura un impaccio. Poi parliamo di leader e di alleanze. Poi. Prima capiamo chi siamo.

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