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La "fine delle ideologie" e l’ideologia del pensiero unico

 

 

Nel 1992, il politologo statunitense Francis Fukuyama elaborò la teoria della fine delle ideologie nel suo bestseller "La fine della storia e l'ultimo uomo". 

Nel libro, la storia dell'umanità è descritta come un unico processo di evoluzione e progresso che termina alla fine del XX secolo con il raggiungimento della "società ideale", fondata sull'ordinamento liberaldemocratico, sulla globalizzazione e appunto la fine di ogni ideologia, considerata un retaggio del passato.

Per paradosso, questa stessa teoria è servita da giustificazione a un'ideologia, l'ideologia del "pensiero unico", e non rappresenta altro che un'attualizzazione del pensiero positivista, e sopratutto delle idee di Auguste Comte. Secondo Comte, la società umana nella sua evoluzione, passa necessariamente per tre fasi: quella teologica, quella metafisica ed infine quella positiva in cui la razionalizzazione sociale deve essere totale.

In questa ultima e definitiva fase l'essere umano è descritto come un essere totalmente razionale e libero vincolato solo alle leggi della scienza, che viene considerata come infallibile, in barba ai principi stessi della ricerca scientifica. La fede nell'infallibilità della scienza enunciata da Comte, porrà le basi per il cosiddetto scientismo, un'ideologia che paradossalmente risulta antiscientifica proprio nelle sue basi.

Per quanto critica verso le religioni, la filosofia positivista si basa sulla creazione di una nuova religione organizzata, quella che il suo fondatore Henri de Saint Simon chiama il "nuovo cristianesimo", religione che dovrà essere imposta tramite la creazione di un nuovo ordine politico e sociale che si rifaccia al passato sistema medievale, dove però al posto del sistema feudale avremo la tecnocrazia guidata dalla nuova "aristocrazia" fondata sul potere economico e scientifico, che sarà legittimata in quanto detentrice dello stesso sapere scientifico, che stando alla visione positivista indica la "verità assoluta". 



Per quanto si voglia adogmatica e interamente basata sulla scienza, l'ideologia positivista risente molto degli influssi della filosofia idealista, sopratutto di Hegel, e la stessa legge delle tre fasi comtiana è molto simile alla dialettica hegeliana. Inoltre entrambe sono basate su una visione deterministica della storia, e sull' idealizzazione di un determinato periodo storico, che sia presente o sopratutto ipotizzato in divenire.

Sia i positivisti e gli idealisti, ma anche gli ideologi del "pensiero unico" moderno considerano la propria visione del mondo come l'unica possibile e la propria visione ideologica come l'ultima tappa auspicabile della storia, lo scopo ultimo e quindi la fine dello stesso progresso umano, nel nome stesso del progresso.

Già Marx aveva criticato il "mascheramento" ideologico presente dietro la concezione finalistica della storia portata avanti dagli apologeti del sistema capitalista industriale (tra cui i positivisti), che vedevano la propria società come la migliore possibile e il fine ultimo del progresso. Egli aveva indicato queste posizioni come parte di una visione della realtà "inquinata" dall' ideologia, ovvero il modo di vedere proprio della classe dominante "spacciato" come assoluto.

In questo caso, la stessa visione della realtà portata avanti dagli apologeti del "pensiero unico" è altamente ideologica, in quanto assolutizza un determinato sistema, che viene considerato come l'unico possibile e il migliore che si possa avere, sancendo in questo modo la "fine della storia", mentre spesso la storia non procede sempre in modo lineare e questo determinato periodo storico che viviamo non è detto che sia l'ultimo possibile auspicabile o il migliore, come viene propagandato ideologicamente dalle elitè (culturali come economiche o politiche) dominanti.

 

di Salvatore Santoru

Questo articolo è stato pubblicato qui

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