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La crisi ha ucciso i trend. Intervista con Giovanni Tamburi, presidente di TIP SpA

Una intervista in esclusiva con Giovanni Tamburi, presidente di TIP SpA.

 
Come in varie forme vi ho già anticipato, alla fine di giugno ho avuto l’opportunità insieme ad altri blogger (potete leggere i loro articoli sull’incontro sui loro siti, si tratta di Paolo Barrai di Mercato Libero, e di Felice Capretta di Informazione Scorretta) di conoscere ed intervistare il presidente di una società quotata sul listino di Milano: Giovanni Tamburi, presidente di TIP.

Chi è TIP? E’ una società di consulenza e partecipazioni finanziarie: dove vede delle opportunità di investimento acquista delle partecipazioni ed investe il proprio denaro. Con le sue partecipazioni acquisisce posti nel CdA delle società, contribuendo alla gestione della stessa.

Non era impossibile trovarsi dunque di fronte ad un Gordon Gekko italiano.

Invece il dott. Tamburi non potrebbe essere più diverso dal celebre personaggio interpretato (e presto re-interpretato) da Michael Douglas: niente sigari di contrabbando né postazione con più monitor, con lo sguardo che rimbalza tra l’interlocutore e l’andamento delle azioni. Niente di tutto questo. Una presentazione cordiale, una chiaccherata di conoscenza, poi l’invito a trattenersi per il pranzo, in un incontro che si è protratto per più di due ore, nelle quali prima si è parlato di TIP e della sua storia: da quando l’ing. DeBenedetti su suggerimento di Giovanni Tamburi acquistò la Buitoni (facendo un affare d’oro) arrivando alle attuali scelte di investimento di TIP, la quale en-passant il Presidente ci evidenzia che tratta con uno sconto sul NAV superiore al 30%.

Conclusa la parentesi dedicata a TIP, abbiamo espresso la richiesta esplicita di avere l’opinione di un investitore professionale sul quadro macro. Giovanni Tamburi non si è tirato indietro o nascosto dietro frasi fatte, ma anzi, ha incalzato la sedia ancor meglio e si è lanciato con entusiasmo a tratteggiare una tela a tratti con tinte fosche e a tratti con i vividi colori della speranza.

Il concetto da cui è partito è "La crisi ha ucciso i trend". Il senso di questa frase è che prima di questa crisi finanziaria bastava essere nel settore giusto per avere successo. Oggi invece occorre saper fare bene quello che si fa. Non si tratta più di cavalcare il trend giusto (gli elettrodomestici piuttosto che il tessile o l’alimentare) ma di sapere esprimere una eccellenza. E qui emerge il primo segnale di ottimismo per l’Italia: TIP investe in molte società italiane che hanno, cito, "le braccia e le gambe all’estero, ma il cervello in Italia. Perché qui non c’è produttività, non si può produrre in modo competitivo, ma c’è un talento, una genialità che altrove non è replicabile. Se l’Italia oggi è ancora uno dei Paesi più industrializzati al mondo è grazie ad Armani, a DelVecchio, a Versace ecc. sono loro che pagano lo stipendio a ciascun italiano".

Il discorso è chiaramente virato sulla globalizzazione, sulla finanziarizzazione dell’economia, sulla crisi globale… l’opinione di Tamburi è che "dalla crisi che non è sistemica (anche se Trichet invece aveva parlato proprio di crisi sistemica ndBA) ne stiamo uscendo", e che "non poteva essere altrimenti, considerando che abbiamo superato crisi enormi già in passato e che comunque non c’è una vera alternativa al superamento della crisi. Nel senso che, si paga un prezzo e si procede con il sistema esistente." Il prezzo che questo giro tocca pagare è: "impoverimento dei cittadini (salari e qualità dei contratti di lavoro peggioreranno ndBA), inflazione ma non iper-inflazione, e infine con ogni probabilità, abbiamo di fronte 100 anni o forse più di decadenza, rendetevene conto!"


Noi ce ne rendiamo ben conto, ne parliamo da mesi, fa solo un po’ specie sentirlo dire da chi è investito sul mercato per professione, credevo fosse un convincimento da blogger catastrofisti… ;-)

Secondo Giovanni Tamburi dovremmo riprendere in mano i libri del 1700 per comprendere quello che ci aspetta: non capiamo se si riferisca alla enorme e crescente disparità nella distribuzione della ricchezza o al fatto che poi quel secolo si è concluso con la Rivoluzione e la ghigliottina…

Ad ogni buon conto 100 anni sembrano davvero tanti, e viene da chiedere un chiarimento, anche su questo tema restiamo stupiti positivamente dalla risposta: "sarebbe bello, anche eticamente, che ci fosse un vero sciacquone che spazzasse via dalla sera alla mattina ciò che non va nel mercato, le aziende morenti e i crediti inesigibili, per poter ripartire su basi sane e solide; ma c’è una inerzia pazzesca: le aziende non muoiono, vengono continuamente tenute in vita, per la semplice e banale ragione che le banche non amano ascrivere a bilancio delle perdite". Occorre dunque un sacco di tempo, perché vengano diluiti poco alla volta i ’cadaveri’.

In quel tempo l’economia continuerà a muoversi, lui stesso ci ha confessato che quando uno dei suoi figli ha espresso il desiderio di imparare il cinese ne è stato felice e compiaciuto.

Come ho già scritto in altre occasioni, aprire la nostra mentalità è la via maestra. Il mondo ragiona in modo globale, dobbiamo sforzarci di farlo anche noi ed essere cittadini del mondo. I nostri legami alle cosucce domestiche, alle beghe di cortile, alle nostre piccole sicurezze, alle nostre comprovate abitudini sono tutte debolezze, limiti che ci auto-assegnamo.

L’unico modo di andare avanti è rimettersi continuamente in discussione e non smettere di lavorare su noi stessi.

Io spero, con i miei articoli, di aiutarvi ad aprirvi a ciò che succede intorno. Non limitatevi al mio blog o AV, siate assetati di sapere, di consapevolezza. La difficoltà, ma anche l’ambizione, oggi non è solo quella di trovare il modo di investire il denaro in modo proficuo (non fraintendete, continuerò a fare il consulente finanziario), ma di riuscire a vivere la vita in modo proficuo. Se deve mettersi in discussione il figlio del presidente di una società quotata, imparando il cinese per magari trasferirsi là, a maggior ragione dobbiamo farlo noi, nel nostro piccolo quotidiano. Perché quello che avverrà, e di nuovo Giovanni Tamburi ha concordato, è che di qui a qualche tempo - se staremo qui a farci dilapidare progressivamente quello che abbiamo accumulato per secoli - saremo noi a fare i camerieri in Oriente e a dire "sì signò, scusi signò" come il personaggio di Zelig.

Il nostro destino però non è segnato, abbiamo un patrimonio di know-how e di creatività, un passato da cui ’pescare’ che nessuno ci può delocalizzare. Allargando gli orizzonti e comprendendo a cosa oggi sia giusto rinunciare, potremo spendere le nostre energie non a difendere l’indifendibile, ma a crescere di nuovo.

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