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La corruzione italiana, i traffici illegali sul territorio palestinese e gli abusi edilizi portoghesi

Al convegno organizzato dal Dipartimento e della Facoltà di Sociologia della Federico II di Napoli, in occasione della presentazione del volume “Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell’illegalità” curato da Gabriella Ribaudi e uscito per Bollati Boringhieri, sono stati presentati tre lavori interessanti: Beatrice Hibou, ricercatrice del CNRS (Centro di studi francese), ha illustrato attraverso delle immagini l’architettura dell’edilizia illegale delle periferie di Lisbona. L’incremento della lottizzazione dei terreni da parte della criminalità, con la vendita di case abusive a tutte le classi sociali, ha spinto alle regolarizzazioni avvenute attraverso leggi successive che hanno confuso i confini tra metodi legali e illegali, fino al punto in cui non è più possibile distinguere le diverse procedure con l’effetto che “illegalitè comme norme” diviene appunto normalità.

Cedric Parizot invece, ricercatore francese del CNRS di Gerusalemme, ha presentato uno studio intitolato “The economy of separation between West Bank and Israel” sui traffici illegali emergenti tra i criminali israeliani e palestinesi, che approfittano della degradazione dei rapporti tra i due popoli per poter commerciare nelle zone meno sicure e che non hanno una legislazione ben definita. I traffici, che iniziano dal porto di Ashdad per poi diramarsi tra le enclavi palestinesi e israeliane, riguardano il commercio di alimenti, d’abbigliamento, di tecnologia e di medicine, spesso provenienti dalla Cina. Tutto ciò provoca per le piccole imprese presenti sul territorio, l’impossibilità di competere con i bassi costi dei beni importati illegalmente dai trafficanti, frenando cosi lo sviluppo dell’intera economia.

L’ultimo lavoro è stato presentato da Stefano Consiglio, presidente del Dipartimento di Sociologia della Federico II, sul fenomeno della corruzione in Italia. Le cifre sono sconcertanti: per la classifica della “corruzione percepita” secondo la Trasparency International Association, l’Italia è al 41esimo posto; per la Corte dei Conti la corruzione costa allo Stato 60 miliardi di euro all’anno (circa il 2% del Pil) e il 48% dei reati legati alla corruzione avvengono in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. Anche se il professor Consiglio lamenta la disponibilità di pochi dati in proposito, il giro d’affari per quanto riguarda un’organizzazione criminale come la ’ndrangheta, con riferimento alle attività corruttive, è stimato a 5.730 milioni di euro annui. “Quello che bisogna fare per studiare approfonditamente l’economia delle organizzazioni criminali è accettare la complessità dei confini sfumati tra legalità e illegalità, allargare la visuale oltre i confini geografici tradizionali, riconoscendo una rete che coinvolge una pluralità di attori come politici, cittadini, amministratori e imprenditori”, spiega il professore.
 
Un documento della Direzione Nazionale Antimafia, pubblicato nel 2008, dice che “la ’ndrangheta è una presenza istituzionale, è partner necessario per ogni impresa che si sia aggiudicata un appalto pubblico”.
 
Vengono poi proposte al congresso tante soluzioni per contrastare le organizzazioni criminali: il superamento del proibizionismo per le droghe, che romperebbe il circolo vizioso narcotraffico -presenza dell’illegalità nell’economia - controllo del territorio e indebolimento del tessuto economico -condizionamento degli enti locali; l’investimento in risorse ulteriori per la giustizia e le forze armate; il rafforzamento della presenza militare e sociale dello Stato per controllare il territorio; la modificazione delle modalità di acquisto della pubblica amministrazione.
 
Aggiunge poi il prof Consiglio con amarezza che “lo scudo fiscale recentemente approvato di certo non diminuirà il riciclaggio”.

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