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La burocrazia rema contro lo sviluppo economico

Cosa non permette al nostro paese di tornare a essere economicamente fiorente? A sentir parlare buona parte dei personaggi della politica, il male è rappresentato dall’evasione fiscale, che eroderebbe preziose e ampie risorse. Questa convinzione non rappresenta la realtà. Innanzitutto perché quando si parla di fisco ed evasione si combatte sempre il cittadino comune, con sistemi di controllo che riportano alla mente gli scenari orwelliani riportati in “1984”.

Non parliamo poi degli sprechi costanti operati proprio da chi dovrebbe occuparsi di generare soluzioni alla crisi: l’Italia continua a restare sul podio delle nazioni che sperperano denaro pubblico come non ci fosse un domani. Nessuno che accenni a uno dei veri cancri a livello nazionale: la burocrazia.

Una malattia ormai cronicizzata e che non permette alcun tipo di guarigione della sofferente economia italiana. Fortunatamente, a svelarci i dati che permettono un’analisi approfondita, ci pensa come sempre la Cgia di Mestre, che attraverso l’Ufficio studi ha analizzato i dati forniti dall’Ocse che recentemente ha diffuso l’indagine campionaria, permettendoci così di scoprire costi, sprechi e mala organizzazione.

Iniziamo con un dato che fa tremare i polsi: la Pubblica amministrazione registra un debito commerciale pari a 53 miliardi nei confronti dei propri fornitori. Detto in parole povere, significa che si acquistano beni e servizi, ma il pagamento è a babbo morto. Non è tutto: lo Stato non versa l’i.v.a. alle imprese fornitrici, e pur trattandosi di una partita di giro – significa che l’impresa incassa l’i.v.a. per poi versarla al momento della dichiarazione dei redditi – poterla ottenere rappresentava una disponibilità di liquidi importante per onorare, per esempio, i pagamenti correnti.

Accade a causa della normativa sull’inversione contabile, conosciuta come Reverse Charge, che penalizza non poco imprese e professionisti. Roba da matti, perché se un’impresa non versa puntualmente i balzelli, si ritrova in mezzo a un mare di guai. Il contrario invece è considerato ammissibile.

Di contro, le imprese spendono ben 57 miliardi ogni anno per la gestione dei rapporti con la PA e questa cifra rappresenta 3 punti di PIL. Ciò significa un pesante contributo economico per le PMI che potrebbero dedicare queste risorse economiche per esempio per l’innovazione, ma anche per assumere risorse umane. Invece no: l’obolo che si deve versare al sistema statale più caro d’Europa penalizza tutti, abbattendo metodicamente l’opportunità di rialzare la testa oltre la crisi.

A fronte di tutto questo, è bene considerare un altro aspetto: i cittadini sono scontenti per l’inadeguatezza del sistema dei servizi pubblici, rappresentato dalla sanità, dalla giustizia, dalla sicurezza e dalla scuola. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria ci collochiamo al 20mo posto su base europea, anche se la situazione non è uguale in ogni regione. Sappiamo che esistono eccellenze in campo sanitario, prevalentemente collocate al nord e al centro.

Il sistema giudiziario del belpaese si colloca al 21mo posto, e non convince il 69% degli italiani che hanno sempre meno fiducia della giustizia italiana. Migliore la situazione, ma non troppo, per i settori della sicurezza - siamo al 15mo posto - e della scuola – 18mo posto in classifica – ma c’è ancora molta strada da fare per raggiungere i livelli medi europei.

L’apparato della PA, così com’è organizzato, palesemente rallenta la crescita. Perché nessuno pensa a snellirla e a semplificare? Facile: tra le pieghe tortuose di un sistema complesso, tutto si rende possibile. Mazzette comprese per sveltire una pratica. Lo so, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si piglia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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