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La Strage di Piazza Fontana: il "volo" di Giuseppe Pinelli (Quarta Parte)

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Prima di addentrarci nell'interrogatorio di Pinelli, dobbiamo aver presente un fattore di non poco contro. Siamo nel 1969, sono passati pochi decenni dalla liberazione. Il nazifascismo fu sconfitto, ma i vertici delle forze militari, di polizia e giudiziarie, erano comunque occupati ancora da fascisti non pentiti.

Importante saperlo, solo così possiamo capire l'accanimento che c'era stato verso Pinelli prima, e Valpreda poi. Il capo della questura di Milano era Marcello Guida, il commissario capo era Antonino Allegra e il commissario aggiunto era Luigi Calabresi.

Marcello Guida, durante il fascismo, fu il direttore del carcere per i detenuti politici di Ventotene. Era un uomo feroce, senza scrupoli. E ce lo testimonia proprio Sandro Pertini:

"Per rivedere mia madre accettai di andare a Savona. Rivedevo la mia città dopo tanti anni (era, ricordo, una giornata di sole) di dura separazione. Giunsi al carcere e venni chiuso in una cella. Dopo circa un'ora vennero a prendermi e mi condussero in una stanza dove il capoguardia con alcuni agenti mi aspettava". "Ora" disse "potrete rivedere vostra madre". "Mi sembrò che il cuore cessasse di battere. Essa apparve all'improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L'abbracciai. Piangeva, e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente, notizie sue e della mia vita di confinato. Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Tornai in cella senza toccare cibo, pensando a mia madre. Al mattino vennero a prendermi, speravo in un nuovo incontro con lei, ma i carabinieri erano venuti a prelevarmi per ricondurmi a Ventotene. Protestai, inutilmente. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto e, tenendolo in mano, si avvicinarono in silenzio esprimendomi con gli sguardi la loro solidarietà. Il più anziano dei facchini mi prese la valigia "Ci penso io Sandro" disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: "Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano". "Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando"

E proprio Sandro Pertini,dopo la strage di Piazza Fontana, da Presidente della Camera dei deputati, andò a Milano, incontrò l'allora questore Marcello Guida, ma rifiutò di stringergli la mano. Se lo ricordava benissimo quando, da direttore del carcere, applicava con severità i già duri regolamenti.

Ho voluto raccontare anche questo aneddoto per far comprendere che l'obiettività e l'imparzialità era (e lo è, ahimè,ancor oggi) un lusso. Calabresi, quando invitò Pinelli a seguirlo in questura, aveva già le idee "chiare": erano stati gli anarchici a mettere la bomba e Pinelli era coinvolto.

Ma bisogna anche dire che la convinzione sua (e dei suoi colleghi) era suffragata dall'allora giudice istruttore Amati. Bisogna dirlo e mai dimenticarlo: tutte le operazioni di polizia sono sempre condotte assieme al Magistrato di turno (vedasi gli arresti odierni dei NO TAV). E quel magistrato era colui che indirizzò tutte le indagini verso la pista anarchica anche per le stragi precedenti come le bombe alla Fiera di Milano e alla Stazione Centrale della città.

Il Giudice Amati poi sarà colui che accoglierà senza indugi la conclusione affrettata del PM Caizzi per la morte di Pinelli: ovvero "suicidio accidentale".

Giuseppe Pinelli fu portato in questura e subì un interrogatorio inumano. Anche all'epoca, come oggi, non esisteva il reato di tortura. Peccato. Se la legge sulla tortura ci fosse stata, sarebbero stati condannati anche per non averlo fatto mangiare e dormire per tre giorni consecutivi. Invece alla fine saranno condannati solo (cosa ovviamente di non poco conto) di aver trattenuto illegalmente Pinelli per tre giorni di fila. E probabilmente anche oltre se non fosse "caduto" dalla finestra.

Nella notte fra il 15 e il 16 dicembre, Pinelli subiva l'ennesimo interrogatorio. Si trovava in quella maledetta stanza assieme al commissario Calabresi, i brigadieri Panessa, Mainardi, Mucilli, Carcuta e anche un ufficiale dei Carabinieri, il tenente Sabino Lograno. Nel corridoio c'era anche un altro anarchico fermato: Pasquale Valitutti.

Quella notte, secondo la testimonianza degli stessi uomini presenti, ad un certo punto Calabresi sarebbe uscito dalla stanza per portare il verbale dell'interrogatorio di Pinelli al suo capo Allegra. Ed un attimo dopo Giuseppe Pinelli volò dalla finestra. Ma anche a tanti anni di distanza, l'anarchico Valitutti, dice esattamente il contrario:

"Da questo corridoio passano, portando Pino, Calabresi e gli altri, e vanno nella stanza vicino. Chi dice che Calabresi non era in quella stanza sta mentendo, nel più spudorato dei modi. Calabresi è entrato in quella stanza, è entrato insieme agli altri, nessuno è più uscito. Io ve l'assicuro, era notte fonda, c'era un silenzio incredibile, qualunque passo, qualunque rumore rimbombava, era impossibile sbagliarsi, lui era in quella stanza. Dopo circa un'ora che lui era in quella stanza, che c'era Pino in quella stanza, che non avevo sentito nulla, quindi saranno state le 11 e mezzo, grosso modo, in quella stanza succede qualcosa che io ho sempre descritto nel modo più oggettivo, più serio, scrupoloso, dei rumori, un trambusto, come una rissa, come se si rovesciassero dei mobili, delle sedie, delle voci concitate"

In un'intervista di qualche anno fa, l'ex giudice (ora senatore, e non perdete di vista il suo legame politico perchè sarà un elemento per affrontare il ruolo del Partito Comunista che ebbe in quegli anni) che archiviò la caduta di Pinelli a causa del "malore attivo", disse : "Poi, ottenni un’altra prova sull'innocenza di Calabresi”. "Quale?" Domanda il giornalista. “La testimonianza di uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti: aveva visto Calabresi uscire dalla stanza prima che Pinelli cadesse”.

Come sappiamo, Valitutti ha detto l'esatto contrario


E acutamente, Adriano Sofri, nel suo libro "La notte che Pinelli" scrive: "Se alla sua memoria tradita la testimonianza scagionatrice di Valitutti appare così importante, deve esserlo un po’ anche nella sua versione autentica."

Ma se c'era per davvero o no dentro quella stanza, a parer mio, non fa differenza. Mi spiego meglio. L'interrogatorio era pressante e raggiunse livelli inumani. Cominciarono a provocarlo, addirittura gli dissero falsità come la pseudoconfessione di altri suoi compagni anarchici. Tutto documentato nel processo. Tanto è vero che tra le innumerevoli versioni della sua caduta, una fu che si buttò urlando:
"E' la fine dell'anarchia!". 

Tutto falso. 

Come era falso quello che disse Allegra. Pinelli era spirato da pochi minuti quando il commissario capo disse platealmente ai giornalisti (all'epoca c'era la giornalista Camilla Cederna che trascrisse tutto): 

"E' stato nel corso degli interrogatori che abbiamo avuto con lui che sono nati i primi dubbi. Dubbi che si sono tramutati in forti sospetti e in precisi indizi soprattutto quando l'alibi fornito da Pinelli circa le ore del tragico pomeriggio è crollato immediatamente. Il suo alibi era crollato...si è visto perduto"


Tutto falso, visto che raccontò minuziosamente tutta la sua giornata. La verità è che volevano ciò che desideravano sentire. E Pinelli non si arrese alle torture.

Qualcosa accadde quella notte. Personalmente ho una mia opinione, ovvero che non c'era la volontà di ucciderlo, ma di farlo parlare. E per farlo parlare (ovvero sentirsi dire ciò che volevano loro) l'hanno minacciato di buttarlo dalla finestra. E magari lo avevano pure inscenato e ci fu la parapiglia. Sì, quel fracasso di cui testimonia l'anarchico Valitutti. E poi la tragedia.

Non si spiegherebbe altrimenti il continuo cambio di versioni da parte dei funzionari. Almeno tre versioni diverse.

Giuseppe Pinelli la notte fra il 15 e il 16 Dicembre precipitò dalla quella maledetta finestra. Finì su un'aiuola che non riuscì ad attutire il colpo. Lo stesso Calbresi e gli altri (e questo lo confermò anche il giudice D'Ambrosio alla sentenza) nemmeno si preoccuparono di uscire e vedere come stava. Ci pensarono altri poliziotti a soccorrerlo. Venne portato da un'ambulanza della Croce Bianca. Ma nulla da fare: Pinelli muore senza aver ripreso conoscenza, in una stanza piantonata dalla polizia.

La moglie Licia non fu nemmeno avvertita dalla questura, lo aveva saputo tramite dei giornalisti. E allora chiamò Calabresi direttamente in questura, il quale le rispose: "Signora, abbiamo molto da fare!" Credo che Calabresi sicuramente sia stato un buon padre di famiglia, istruito, intelligente e anche sensibile. Sappiamo che fu colui che salvò Mario Capanna da un linciaggio. Ma sappiamo anche che la verità non la disse tutta su cosa accadde quel giorno. 

E chissà, forse qualcosa avrebbe anche detto. Ma fu ucciso quel tragico giorno del 17 maggio del 1972. E c'era un processo in corso.

Continua...

 

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