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La Sardegna non si rassegna! Incontro con Padellaro e Telese

E’ questo il titolo che Antonio Padellaro decide di dare alla conclusione dell’incontro tenutosi a Cagliari domenica all’hotel Mediterraneo, ultimo appuntamento nell’isola del viaggio de Il Fatto Quotidiano dopo le conferenze di Porto Torres, Sassari, Alghero e Nuoro.

La Sardegna non si rassegna! Incontro con Padellaro e Telese

Hanno scelto la Sardegna, quest’isola abbandonata e orgogliosa, per iniziare il giro di presentazione per le regioni italiane del giornale più fastidioso delle edicole d’Italia. Chissà perché questa scelta, forse per le origini di Luca Telese, giornalista nato a Cagliari nel 1970, o se per la sensibilità di un direttore, Padellaro, cosciente dello stato in cui si trova questa terra, emblema del malessere nazionale e da tempo in lotta per un diritto al lavoro sistematicamente negato a migliaia di famiglie sull’orlo del baratro.
 
Un appuntamento in cui i due giornalisti hanno fatto quasi da sfondo ai numerosi interventi che si sono succeduti durante l’intera conferenza. Dà il via Telese che parla dell’isola terra di finte vacanze, di un’Asinara come la Pandora di Avatar, con 60.000 persone collegate sulla pagina web dei lavoratori della Vinyls rinchiusi nell’ex super carcere che una volta ospitava i boss della mafia. Ma parla anche di informazione e della difficoltà incontrata come conduttore di Tetris nello scontrarsi col sistema della par condicio che non permette di nominare i politici e in cui gli ospiti hanno fatto le capriole per evitare il nome del Premier, definito di volta in volta “il capitano del Milan”, “il proprietario del lettone di Putin” o “quello basso”.
 
Il direttore de Il Fatto Padellaro, discorre sulla scelta coraggiosa di fondare un quotidiano, in concomitanza con la grave crisi dell’editoria, senza l’aiuto di finanziamenti pubblici, e dei suoi lettori di sinistra e di destra che chiedevano solo alla redazione di non accettare la pubblicità dei partiti; ma anche dell’opportunità che il giornale ha di fare scelte autonome, non essendo dipendente da padroni di nessun genere. Una testata definita “giustizialista” ma di cui si dice profondamente orgoglioso in quanto “meglio essere la gazzetta delle procure che la gazzetta dei delinquenti”. Si discute delle notizie viste come ostacoli che vanno dribblati e ancora di lavoro. Un invito particolare ai politici affinché si rechino all’Asinara (non come luogo di detenzione) e soprattutto ai sindacati, “che andavano a palazzo Chigi a firmare contratti che non andavano firmati”.
 
La parola passa agli operai dell’Alcoa, con l’intervento di Massimo Cara: “Come Il Fatto ha il suo slogan (noi non ci rassegniamo), anche noi abbiamo il nostro: non molleremo mai”. Parla di piazze in cui si combatte con la polizia per salvaguardare il posto di lavoro, del problema dei costi dell’energia che fanno sì che la loro azienda scappi non essendo conveniente investire in Italia. Son stati costretti a occupare l’aeroporto di Elmas e il Ministero del lavoro, loro, lavoratori in un Sulcis-Iglesiente con il 35% di disoccupati, lavoratori dell’Alcoa che in quella zona sfama 2000-2500 famiglie. Difendono un’occupazione che mette a rischio la loro salute, in fonderia si respirano sostanze cancerogene: “l’Alcoa non fa dolcetti, inquina, e fa quasi ridere che stiamo difendendo questo posto di lavoro”. E a proposito di inquinamento non può fare a meno che parlare di turismo e delle bombe lasciate dalla NATO in fondo al nostro mare, che chissà quante sono ormai.
 
L’Alcoa cede la parola al professor Giovanni Loi, docente di Diritto del lavoro, che esordisce ricordando Che Guevara e il suo “chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso”. Racconta di una Sardegna terra di conquista e impossibilitata a fare delle scelte autonome (“abbiamo creduto alle lusinghe di chi è venuto dal mare e ci ha venduto dei vetrini colorati”) e non risparmia i traditori che abbiamo al nostro interno né il sistema del precariato che “è un’umiliazione che corrompe moralmente un popolo”.
 
Gli succede sul palco Giorgio Melis, direttore dell’Altra Voce ed ex direttore de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna, nonché ex direttore editoriale de Il Giornale di Sardegna: “Lo Zimbawe ha deciso di ritirare gli ambasciatori da Roma perché non vuole essere paragonato all’Italia”! Melis cita Cossiga che aveva avvertito che “Berlusconi farà della Sardegna il canile di Arcore”, ed “è successo, il capobranco oggi si chiama Cappellacci”. Quel Cossiga che, ricorda Melis, aveva detto che “Berlusconi ci mangerà l’anima” e infatti oggi “abbiamo bisogno di un esorcista”. Ovviamente il pensiero non poteva che volare alla “figura morale di Berlinguer, al quale anche quelli che non erano di sinistra si inchinarono”. E a L’Unione Sarda, quel giornale per cui a lungo aveva lavorato e ora testata del padrone che trascorre le vacanze a villa Certosa; e non resiste nel ricordare la massoneria che capeggia nella giunta regionale.
 
Poi arrivano sul palco le donne. La prima ad intervenire è stata Sabrina Locci, insegnante alla scuola primaria, che fa notare come la scuola “è pubblica e va oltre destra, sinistra e centro. Si regge sulla buona volontà degli operatori interni e delle famiglie”. La Locci cita il problema della sicurezza nelle scuole, parla delle ispezioni ministeriali da cui a Quartu solo due scuole risultarono in regola, e che, una volta iniziati i lavori di messa in sicurezza degli istituti non a norma, si è trovata a svolgere le sue lezioni tra operai, rumori e polveri. Ricorda di quando hanno fatto le prove antincendio e una volta aperti gli idranti scoprono che non c’era acqua. Le scuole stanno ancora aspettando i fondi ministeriali per pagare supplenti, carta e gesso. L’unico grazie in conclusione del suo discorso non può che andare alle famiglie.
 
La seconda è una docente universitaria che si occupa di comunicazione. Si fa memoria alla censura subita costantemente dall’ex governatora Renato Soru, mai intervistato da L’unione Sarda del Zuncheddu distruttore di coste (ma finito sul Times), mai inquadrato dalle telecamere durante la visita di Benedetto XVI nel capoluogo sardo, e recentemente prosciolto dal pm Daniele Caria per aver operato in maniera corretta nella difesa di Tuvixeddu, la più grande necropoli fenicio-punica esistente nel bacino del Mediterraneo, data in pasto agli speculatori edilizi tra cui il più grande accusatore di Soru in tribunale, il costruttore Gualtiero Cualbu, che nel sito storico vorrebbe mettere in piedi il campus per gli studenti universitari. La professoressa non può far altro che affidare le sue speranze nella circolazione delle informazioni sulla Rete, sì, è solo internet a far sperare un po’.
 
Arriva il turno di Piergiorgio Tianu di “Altra Agricoltura” e della sua speranza di un’unione con gli operai in lotta per sconfiggere il sistema capitalistico; cede il microfono a Pietro Pischedda che scaglia tutta la sua rabbia sui sindacati che trattano coi padroni americani che patteggiano in tribunale per evitare il carcere, che negli Stati Uniti con i tangentari è molto duro.
 
Ma il momento più toccante lo regala sicuramente Laura Pisano dell’“Associazione Altra Cicogna” che parla dei problemi dell’ospedale microcitemico e dà voce a quei “20 bambini che fanno la chemio in 23 metri quadrati”.
 
Improvvisamente dalla vetrata della porta che dà sul giardino compare uno striscione con una scritta bianca su sfondo viola. Le parole scritte sopra son di Sandro Pertini: “La politica si fa con le mani pulite”. Lo tiene un uomo con un’agenda rossa in mano. Come quella di Paolo Borsellino. E in effetti, una volta che la parola torna ai due giornalisti de Il Fatto, le citazioni si susseguono, ognuno fa sue le parole di grandi uomini del nostro passato.
 
Telese cita Pintor: “Non fare sconti a nessuno”! Padellaro cita Gramsci: “La verità è rivoluzionaria”. Legge una poesia del Belli, quella di “Io so io e vvoi nun zete un cazzo”, con chiaro riferimento al sovrano di Arcore e ai pasticci delle liste elettorali, la cui vicenda risulta oltremodo ridicola, tanto che spera che tutto si concluda con “una risata vi seppellirà”. Una signora puntualizza: “O una retata”…
 
Insomma, un incontro ricco di argomenti e di voci, voci di una terra troppo spesso umiliata, e che spera che le parole conclusive del direttore non siano soltanto un bel titolo da prima pagina. Perché, in fondo, chissà se poi è vero che “la Sardegna non si rassegna”. E’ bello crederci ancora.

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