• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Europa > La Casa del Terrore di Budapest: la Memoria e l’Azione

La Casa del Terrore di Budapest: la Memoria e l’Azione

"Fissato al cornicione, molto più in alto rispetto alla strada, un grande pannello in ferro traforato lascia vedere sullo sfondo del cielo grigio di Budapest la scritta “Terror Haza”. È il museo della Casa del Terrore... all'interno quello che resta delle vittime ungheresi dei regimi totalitari che hanno martoriato il paese dal 1939 in poi. La traccia dei morti per la memoria dei vivi... Perché la memoria diventi coscienza e la coscienza si tramuti in azione." 

Andrassy Utca è una delle vie più eleganti di Budapest: ampia, alberata, sempre molto frequentata, conduce dritto alla Piazza degli Eroi dove il Millennium Memorial ospita le statue dei capi delle sette tribù che hanno fondato l’Ungheria nel IX secolo.

Al numero 60 si trova un palazzo signorile, facciata ben tenuta e discreta, solo un cartello all’ingresso, prima di una rampa di scale ripide. Fissato al cornicione, molto più in alto rispetto alla strada, un grande pannello in ferro traforato lascia vedere sullo sfondo del cielo grigio di Budapest la scritta “Terror Haza”. È il museo della Casa del Terrore.

All’interno regna una calma sospesa, una cappa pesante di caldo e silenzio: nel cortile un carro armato (un T54, l’utilitaria dei carri armati sovietici) e, sulle pareti che vi affacciano, una lista infinita e muta di volti e nomi. Quello che resta delle vittime ungheresi dei regimi totalitari che hanno martoriato il paese dal 1939 in poi. La traccia dei morti per la memoria dei vivi.

La Casa del Terrore racconta con abbondanza di documenti, filmati e ricostruzioni l’intreccio di propaganda e oppressione che ha segnato la storia ungherese senza soluzione di continuità dall’invasione nazista all’asservimento sovietico: una trama fatta di rastrellamenti, prigionia, deportazione, detenzione, processi sommari, esecuzioni capitali. Un regime di coercizione e persecuzione, implacabilmente esercitato per decenni da regimi apparentemente agli antipodi.

immagine all'ingresso della Casa del Terrore

Il palazzo fu scelto nell’ottobre del 1937 come sede del partito filonazista delle Croci Frecciate e divenne nel 1944, quando il partito andò al potere, luogo di detenzione e tortura. Il cuore operativo della oppressione nazista, diretta da Ferenc Szalasi, pallida e sanguinaria imitazione magiara del Fuhrer.

Mentre nel paese si stava ancora perseguendo la Soluzione Finale ad opera dei nazisti, una parte del territorio era già sotto il controllo delle truppe sovietiche. Lo stesso palazzo al 60 di Andrassy Utca divenne nel 1945 sede della polizia politica comunista capeggiata da Gabor Peter, un sarto proiettato ai vertici del sistema e perfettamente calato nel ruolo di regista dell’oppressione.

Durante il regime nazista nella sola Ungheria furono sterminate 574.000 persone su una popolazione ebrea di 786.000: deportate nei campi di sterminio e mai ritornate, assassinate dalle Croci Frecciate nella stessa Budapest, morte di stenti subito dopo la liberazione.

Nei decenni dell’occupazione sovietica 700.000 civili furono trasferiti nei gulag e 300.000 vi morirono, 70.000 non sopravvissero ai campi di raccolta ungheresi, 100.000 furono imprigionati perché presunti oppositori, 2.000 furono giustiziati. E nella rivoluzione del 1956, iniziata come manifestazione pacifica di studenti, altri 20.000 furono sterminati.

Gli ultimi campi furono chiusi nel 1989 quando, finalmente, il Parlamento ratificò le libertà di associazione, assemblea e stampa, approvò una nuova legge elettorale che prevedeva il multi partitismo e rivide la costituzione. Le truppe sovietiche si ritirarono nel giugno del 1991.

Una contabilità terrificante in cui i morti si ammucchiano e i nomi si confondono, fino a diventare la misura (parziale) della follia umana.

Uscendo dalla Casa del Terrore si ha la sensazione sconcertante che qualcosa si sia perso nel corso delle vicende umane, che l’ideologia, per quanto folle e distorta, abbia smarrito se stessa per piegarsi alle storture degli uomini. Che le scelte politiche, indipendentemente dalla matrice che le sosteneva, siano servite a realizzare quello che l’ambizione e la smania di potere dei singoli reclamavano.

I regimi totalitari del nazismo e del comunismo, tradizionalmente avversi uno all’altro, hanno portato gli uomini nei medesimi abissi e li hanno affrancati dalle proprie bassezze sostenendo che lo Stato doveva guidare la nazione verso un futuro radioso, anche con il controllo totale dei sistemi pubblici e delle vite private. Semplicemente il primo ha identificato l’ostacolo da eliminare nelle etnie (polacchi, ebrei, zingari), il secondo si è accanito sulle classi economiche (borghesi, intellettuali, contadini).

Di fatto nazismo e comunismo si sono intrecciati nella ideologia e nella sostanza, in uno scambio di affinità elettive e aiuti materiali; hanno condiviso paradigmi, obiettivi e strategie perseguendo ciascuno il proprio predominio senza disdegnare i modelli di riferimento dell’altro, in un percorso inesorabile di annientamento della libertà e rimozione della coscienza.

Entrambe le ideologie hanno avuto l’ambizione di creare l’uomo nuovo e per questo hanno ripudiato la natura umana nella sua essenza più intima: l’hanno combattuta, rinnegata e schiacciata. Con la tracotanza di chi si arroga il diritto di plasmare il destino altrui.

In questi anni stiamo cercando di recuperare la memoria delle stragi naziste perché “non accadano più”, di dare voce a chi ancora può raccontare per ammonire chi, invece, deve ancora agire. Vogliamo imparare dagli errori del passato per non ripetere le nefandezze di chi ci ha preceduto. La memoria, in effetti, può essere uno strumento formidabile di accrescimento della conoscenza e di maturazione della coscienza, individuale e collettiva. E tuttavia…

La memoria ci rende forse meno sprovveduti, ma non ci rende in alcun modo più saggi e, soprattutto, non ci mette al riparo dagli errori che potremo ancora compiere.
E’ un primo passo fondamentale, un po’ come le lettere dell’alfabeto per chi vuole imparare a leggere, ma è appunto solo uno strumento: che, se chiuso nei propri confini, rischia di impantanarsi nella celebrazione di facciata e nella commemorazione fine a se stessa. In un trionfo estemporaneo e sterile di sdegno, compatimento, risentimento e pietà.

La storia ci insegna che gli errori umani travalicano le ideologie e gli schieramenti per annidare nell’intimo della volontà individuale i più grandi egoismi e le peggiori aberrazioni. Che gli orrori sono compiuti da uomini con la complicità, tacita o dichiarata, di altri uomini pronti a mettere da parte se stessi in nome della grandezza altrui. O della propria miseria. Che la paura e l’inazione di molti possono spianare la strada alla ambizione di pochi: non necessariamente folli, ma certamente e spesso lucidamente avidi.

La memoria dovrebbe, più di tutto, accendere nella coscienza individuale una scintilla di consapevolezza: del proprio ruolo nella trama della storia, del potere sconfinato delle proprie azioni e della responsabilità immensa che ne scaturisce.

Le storie del passato dovrebbero renderci attivi e partecipi, oltre che immensamente sdegnati. In modo che il talento, la capacità, la volontà di ognuno possano essere i tasselli di una crescita collettiva tangibile ed efficace. Senza che nessuno possa esimerci dal dovere di preservare una coscienza limpida e di esercitare, ogni giorno nel presente, un ruolo attivo, come individui, cittadini, membri di una comunità.

Perché la memoria diventi coscienza e la coscienza si tramuti in azione.

 Laura Taraborrelli per “Segnali di Fumo – il magazine dei diritti umani”

NOTA Il disegno pubblicato nell’articolo e quello in home page sono 2 riproduzioni dei settantanove disegni realizzati da Thomas Geve, un ragazzo di 15 anni deportato nel campo di Buchenwald (i disegni originali sono conservati nel museo «Yad Vashem», l’ente nazionale per la memoria degli eroi e dei martiri della Shoah, di Gerusalemme).

 

 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità