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L’inutile (?) austerità espansiva

È sempre possibile che un intervento sul bilancio pubblico di segno restrittivo risulti poi accompagnato da un’evoluzione dell’economia peggiore di quanto inizialmente previsto. È questo di certo il caso dell’Italia nel 2012: se confrontiamo le previsioni su cui era basata la politica del Governo un anno fa con i risultati conseguiti, è evidente un andamento dell’economia peggiore del previsto. Ma ciò significa che si erano sottovalutati gli effetti recessivi di quella politica.

Una delle ultime domande che ci siamo posti in Italia ed in Europa al tramonto del 2012 e la stessa che ha continuato a tenere banco e polemica nel 2013, tanto tra cittadini, quanto tra accademici, politici ed economisti, è stata quale fosse la reale possibilità che politiche di austerità (severe fiscal contractions) avessero, anche nel breve periodo (cioè mentre venivano realizzate) effetti espansivi sul reddito, tesi battezzata nella ricerca scientifica come: “austerità espansiva”. Teoria che promuove politiche di taglio del deficit e del debito pubblico per rispondere a una crisi finanziaria da debito eccessivo, come è quella attuale in molti Paesi del mondo, Italia compresa.

Quindi come evidenziato anche dallo studio del capo economista del FMI Oliver J. Blachard, i costi in termini di reddito nazionale perduto che si manifestano quando l’austerità si realizza, cioè si riduce il deficit pubblico, aumentando le tasse (come maggiormente accaduto in Italia) e/o riducendo la spesa, spesso superano di molto i benefici nel breve periodo.

Tre aspetti sembrano ancora utili, soprattutto con riferimento alla realtà del nostro Paese per valutare i reali effetti di una politica di austerità:

1) Separare ciò che riguarda la congiuntura (recessione, ripresa); e il trend (depressione, crescita).
 Nel nostro caso, ciò significa distinguere ciò che si fa da un anno all’altro, da ciò che cambia in modo radicale lo scenario complessivo e soprattutto prevedibile in futuro.

Nel primo caso, parliamo di austerità; nel secondo caso parliamo di risanamento, che è cosa ben diversa: si raggiunge una nuova posizione di equilibrio relativamente stabile, e non ce ne preoccupiamo più. Il dibattito sui costi, maggiori o minori, delle politiche di austerità non va quindi confuso con i benefici – che nessuno ha messo in dubbio – di un risanamento della finanza pubblica.

2) È sempre possibile che un intervento sul bilancio pubblico di segno restrittivo risulti poi accompagnato da un’evoluzione dell’economia peggiore di quanto inizialmente previsto. È questo di certo il caso dell’Italia nel 2012: se confrontiamo le previsioni su cui era basata la politica del Governo un anno fa con i risultati conseguiti, è evidente un andamento dell’economia peggiore del previsto. Ma ciò significa che si erano sottovalutati gli effetti recessivi di quella politica.

3) Il terzo aspetto, molto importante, e che è stato sottolineato dal Bollettino della BCE (Dicembre 2012, pagg. 88-92) riguarda le altre condizioni da cui dipendono i “costi” della austerità e sono:

a) La necessità di un quadro di riferimento di lungo periodo;

b) La credibilità di un paese, che comporta una favorevole reazione dei mercati finanziari, una riduzione dei “premi al rischio” e quindi una riduzione dei costi economici e sociali del risanamento;

c) La preferenza per interventi di riduzione del deficit pubblico concentrati sul lato della spesa più che sulla tassazione;

d) Anche in connessione con il punto precedente, l’importanza che non siano ridotti gli investimenti pubblici, che più contribuiscono alla crescita.



La conclusione di tutto ciò, è evidente: i costi che dovremo sopportare per rientrare in una posizione di debito sostenibile dipendono molto da noi. Cioè dalla credibilità dell’impegno del Governo; dalla cura con cui definisce la migliore strategia (tenendo conto sia del breve sia del lungo periodo); dalla coerenza con cui la realizza. Se la “austerità espansiva” sarebbe nel nostro caso una favola, è anche vero che una buona parte dei costi del “risanamento mancato” degli anni scorsi non è imputabile al resto del mondo.

Quindi - e questo vale soprattutto per gli impegni che in questo momento pre-elettorale, molti candidati e partiti stanno prendendo con gli italiani - non si deve assolutamente sottovalutare un punto fondamentale: la serietà di chi si candida a governarci e a risanare questo povero e straordinario paese, o correremo il rischio di pagare un prezzo assai alto per le nostre ormai povere tasche e forse anche per le nostre (ormai ridotte al lumicino) speranze.

 

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