L’hub dei sogni e il Btp da rottamazione
Il governo promette o minaccia di portare in Italia un secondo produttore di auto ma è un proclama risibile, per tempi e costi. Nel frattempo, via alla rottamazione a vantaggio dei Btp people.
Il governo di Giorgia Meloni si è fatto un punto d’onore di riuscire a produrre sul patrio suolo un milione di veicoli. Attenzione: “veicoli” qui va inteso nel senso di autovetture, non anche di veicoli commerciali. Se prendiamo questo parametro ristretto, siamo molto lontani dall’obiettivo e soprattutto siamo inseriti in una spirale che pare condurre all’estinzione della produzione nazionale.
SEMPRE MENO AUTO
Secondo dati del sindacato FIM Cisl, nel 2023 in Italia sono state prodotte, tra autovetture e veicoli commerciali, 751.384 unità contro le 685.753 del 2022. La produzione di autovetture ha segnato un +8,6%, pari a 521.104 mentre quella dei veicoli commerciali ha registrato un aumento del +11,8%, con +24.280 unità prodotte, in recupero rispetto al 2022, che aveva visto numerosi stop per mancanza di materiali. Tuttavia, secondo la stessa FIM Cisl, la produzione di auto e veicoli commerciali rimane ancora inferiore dell’8,2% rispetto al 2019.
Che fare, quindi? Il governo Meloni, per il tramite del ministro per le aziende e il Made in Italy (per gli amici, MIMIT), Adolfo Urso, punta al milione di unità di auto. Recente polemica col boss di Stellantis, Carlos Tavares, che vuole sussidi non solo e non tanto alle aziende (che pure servono), bensì soprattutto ai consumatori, per compensare i costi ancora elevati della migrazione verso l’elettrico. Il governo vuole dare sussidi ad auto prodotte in Italia e lamenta lo “scarso impegno” di Stellantis.
Da qui è partita la scia polemica verso le testate del Gruppo Gedi, controllato da Exor, che è parte dell’azionariato di Stellantis, le recriminazioni contro lo stato francese che ha una quota nel costruttore globale che gli deriva da trascorsi nell’azionariato di PSA, la sfuriata di Meloni che ha ribadito che “se si vuole vendere un’auto pubblicizzandola come gioiello italiano allora quell’auto deve essere prodotta in Italia”. Sarei meno purista e più informato, visto che le Jeep Renegade e Compass, prodotte a Melfi, non sono esattamente “gioielli italiani”.
UN SECONDO COSTRUTTORE IN ITALIA
Ho già avuto modo di commentare le geremiadi sui sussidi ricevuti da Fiat nel corso dei decenni: acqua passata non macina più. Oggi siamo in una guerra mondiale dei sussidi e occorre adeguarsi, o perire, senza rivangare il passato remoto. Il governo ha quindi pensato di poter estrarre dal cilindro un coniglio spelacchiato, minacciando o promettendo di portare in Italia un secondo produttore. Lo ha ribadito anche ieri il sottosegretario al MIMIT, il leghista Massimo Bitonci.
Ora, io sono da sempre favorevole ad avere più costruttori automotive in Italia. Lo sono da parecchi decenni, ad essere precisi. Quello che mi lascia perplesso, di questi tentativi di pressione su Stellantis, è far credere che sia possibile attrarre un costruttore schioccando le dita. Pensate ai paesi dell’Est europeo, come l’Ungheria, che grazie ai corposi trasferimenti Ue hanno potuto nel corso dei lustri diventare basi di assemblaggio dell’automotive tedesca.
Oppure pensate al percorso fatto dalla Spagna, che ha sfruttato le erogazioni comunitarie per le aree depresse diventando a sua volta polo di assemblaggio europeo, mettendo a leva il marchio Seat di Volkswagen. Non a caso, nel 2022 la Spagna ha registrato una produzione di quasi 1,8 milioni di auto, trascinandosi dietro nella filiera il piccolo Portogallo, che con le stesse dinamiche di programmazione nello stesso anno era arrivato a costruire oltre 250 mila auto.
Quindi, il fattore tempo e la programmazione, supportati da fondi agevolati europei: questo è alla base dello sviluppo della produzione europea di auto. Come finirà ora, con l’arrivo dell’elettrificazione e la pressione delle auto cinesi, è da vedere. Bisognerebbe poi tenere presente che il costo del lavoro e la produttività entrano in modo decisivo nell’equazione, nel senso che la produzione di vetture a bassa marginalità mal si attaglia ad un paese che schianta pesanti oneri di sistema sui costruttori, attuali e potenziali.
Al più, in un siffatto paese si può pensare di sviluppare produzioni alte di gamma (e infatti accade, anche per preesistente tradizione motoristica), che tuttavia non avranno mai volumi elevati, per ovvi motivi.
SERVE TEMPO E (MOLTO) DENARO
Che fare, quindi, con la promessa/minaccia del governo Meloni? Ben poco. Vogliamo fare entrare i cinesi in massa? Possibile, ma servirebbero comunque sussidi e oneri per infrastrutturazione dei territori interessati. E quanta occupazione si produrrebbe? Ma soprattutto, quanta ne verrebbe sottratta agli impianti italiani di Stellantis? Non rischierebbe di essere gioco a somma negativa?
Il tutto in un paese che non riesce a insediare un impianto di Intel, del quale si favoleggia da un paio d’anni e che comunque avrebbe richiesto corpose erogazioni pubbliche, come fatto in Germania?
Stiamo pensando fare dell’Italia un hub (visto che il termine va di moda, ad esempio col gas) di auto in Europa? Se parliamo di auto cinesi, consideriamo che i loro produttori sono già all’opera altrove, ad esempio in Ungheria, dove la leader BYD sarebbe a un punto avanzato di negoziati col governo di Budapest.
Certo, in teoria altri costruttori cinesi potrebbero essere interessati, anche alla luce di eventuali tariffe aggiuntive anti-dumping da parte della Ue, ma non è per domani né per dopodomani, pare. E nel frattempo Stellantis, che è un player globale, potrebbe aver già fatto le valigie, in tutto o in parte.
Quindi, sbaglierò ma non vedo questa “minaccia” come reale, per motivi di costi, tempi ed effetti collaterali avversi sull’incumbent. Poi, chi può dirlo?, Meloni potrebbe sempre chiedere una mano al suo amico Elon Musk, no? Sognare costa poco, dopo tutto.
IL BTP E LA ROTTAMAZIONE
C’è poi il capitolo delle erogazioni ai consumatori. Pare che il governo italiano stia pensando a calibrare i contributi alla rottamazione non solo sulla produzione nazionale ma anche sulle condizioni economiche dei richiedenti. Oggi si terrà al MIMIT il Tavolo Automotive con all’ordine del giorno la presentazione dei contenuti del Dpcm di rimodulazione degli incentivi per l’acquisto di veicoli a basse emissioni inquinanti (Ecobonus).
Con il nuovo Dpcm gli sconti partiranno da da 6.000 euro (senza rottamazione) e arriveranno a 13.750 euro se si rottama un’auto Euro2 e si ha un Isee sotto i 30mila euro. Il contributo per l’acquisto di una vettura ibrida andrà invece da 4 a 10mila euro, e quello per per un’auto a basse emissioni dai 1.500 ai 3.000 euro.
Ecco, l’ISEE. Nella versione rivisitata dal governo Meloni per indurre domanda di titoli di stato italiani (la norma non distingue tra tutti quelli della cosiddetta white list ma sappiamo che gli italiani comprano soprattutto Btp). In attesa che la misura divenga operativa, con altro Dpcm, stiamo andando quindi verso una situazione in cui una famiglia con un ISEE sotto i 30 mila euro, costruito escludendo dal calcolo i titoli di stato sino a 50 mila euro, riceverà anche questo contributo pubblico, prelevato dalle tasche di chi paga le tasse.
Un welfare “lievemente” regressivo, che poi è il modo migliore per gettare soldi e risorse fiscali. Ma questo resta un paese al contrario, per parafrasare il titolo del best seller di un futuro politico italiano.
A proposito: ma un giorno i nostri eroi si renderanno conto che i Btp, tra aliquota fiscale agevolata e ora i punti fragola da welfare, spiazzano tragicamente l’indebitamento aziendale?
ADDENDUM: Tavares ribadisce in una intervista a Bloomberg che, per tenere in piedi il piccolissimo mercato italiano delle auto elettriche, occorre sussidiare gli acquirenti. Altrimenti, si chiude. Per la serie, “non guardarmi, non ti sento”, Urso la capisce a modo suo e gli risponde dicendo che, se l’Italia deve imitare la Francia ed entrare nel capitale di Stellantis, Tavares non ha che da chiederlo. Tavares precisa di aver già mandato a stendere il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, che chiedeva maggior produzione locale di alcuni EV a minore costo. E, soprattutto, che alla guida di Stellantis non c’è un francese ma un portoghese. Amen.
Photo by mimit.gov.it
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