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L’avventura dei libri di testo

Sì la scuola è una tragedia

L'avventura dei libri di testo

Sarebbe interessante osservare il mutare della scuola italiana, seguendo i libri di testo.
 
I libri di testo sono, com’è ovvio, specchio dei molti cambiamenti che avvengono in ogni istituzione scolastica.
 
I libri di testo per esempio assecondavano e sostenevano il desiderio dell’Italia mussoliniana di fascistizzare i giovani fin dalla più tenera età. Ma il controllo su di essi viene spesso tentato: fino a poco tempo fa si è pensato di rivedere soprattutto i libri di storia.
 
Il controllo su questi libri è il controllo sulla scuola, il tentativo di orientare comunque gli studenti verso un certo tipo di pensiero e di opinione.
Orientare gli studenti vuol dire orientare il futuro d’una società, è importante sottolinearlo, vuol dire programmare in un certo modo quel che sarà!
 
So di una scuola privata in mano a Comunione e Liberazione dove per esempio di Giordano Bruno si deve parlare, ma certo non se ne parla, non dico bene, ma nemmeno con un minimo di equità storica. Se Giordano Bruno dopo più di 400 anni fa ancora paura figurarsi fatti più recenti. La novità di cui scriverei ora è però questa: esiste un nuovo tipo di controllo sui libri di testo, anche se forse controllo non è il termine esatto. Veniamo ai fatti.
 
Comincia col secondo quadrimestre nelle scuole italiane la sfilata dei rappresentanti di libri di testo. Lavoro non sempre gradevole, fatto di lunghe attese degli insegnanti; di ascolto delle loro lamentele sui libri e non; del bisogno di vendere un prodotto cercando di concedere meno copie omaggio possibile; da qualche anno fatto anche di libri che continuano a cambiare per inseguire: i docenti, l’attenzione degli studenti e ovviamente le riforme (innumerevoli, almeno così pare agli insegnanti e ai rappresentanti di libri).
 
Quest’anno nel presentare il libro ai docenti di matematica di un Istituto Tecnico Industriale (uno di quegli istituti che dovrebbe sfornare diplomati di alto livello e di cui abbisogna l’industria italiana… così dicono gli imprenditori orfani di cotali diplomati), il rappresentante mostra un volumetto parlando per gli ITIS di “matematica leggera”. L’insostenibile leggerezza dell’essere? La leggerezza in confronto alla pesantezza come direbbe Calvino?
 
No, forse piuttosto il fatto che le case editrici hanno preso atto delle trasformazioni del programma attuate nella riforma delle superiori. Ma allora è questo il propagandato potenziamento delle materie tecnico scientifiche? Introdurre la matematica (scienza base per tutte le altre) leggera?
 
Non dico sia solo colpa del ministero dell’istruzione (o del Tesoro? C’è una certa confusione da qualche anno a questa parte), sicuramente la matematica che si fa oggi negli ITIS è leggera per forza perché gli allievi non la studiano, non la capiscono, non prestano l’adeguata attenzione.
 
Piccola digressione: l’attenzione è parola chiave di Simone Weil insegnante; l’attenzione è il requisito necessario insieme alla curiosità di qualsiasi avventura educativa sia dell’insegnare che dell’apprendere, ma è anche la chiave di volta per vivere il più possibile una vita degna d’esser vissuta. Una vita attenta alla vita, io direi.
 
Torniamo alla leggerezza della matematica, che non è una matematica rigorosa, ma divertente, ma interessante è una matematica più facile, meno approfondita, meno ricca. Il controllo sulle menti è in pieno regime, ma non occorrono particolari censure ecc. basta alleggerire le materie così anche la materia grigia si alleggerirà senza scandalo politico. (sulla stessa linea è la diminuzione di un anno dell’obbligo scolastico).
 
Tornando alla parabola dei libri di testo. Fino a qualche anno fa in certi ITIS (ne sono testimone) si usavano libri di italiano che oggi non si usano più nemmeno nei licei.
 
Se sono “scomparsi” forse è perché sono desueti, però c’è un altro motivo, e questo è un altro tassello. Non sono solo gli studenti che non capiscono (ci sono i libri di storia già paragrafati capito?), ma anche ahimé i neo laureati. Cioè i nuovi laureati, alla faccia di master, scuole di perfezionamento, ecc. (tutte a pagamento) non sanno usare gli strumenti didattici per eccellenza i libri di testo, non li capiscono, non sono attrezzati.
 
Non voglio offendere nessuno, figurarsi, né dire “ai miei tempi”, dico che la colpa non è solo dei neolaureati, che spesso si rendono conto delle loro lacune; allora forse è delle università, soprattutto quelle piccole, decentrate, che hanno bisogno di laureare per avere fondi e sopravvivere (me l’ha detto un docente di una di queste università, non inferisco nulla), in questo caso però non è nemmeno del tutto colpa di queste università, scatole cinesi anche qui. Il problema dei problemi è la mercificazione del sapere, la scuola gestita come un’azienda, la mala gestione, gli sprechi e un insieme di concause interne ed esterne alla scuola che coinvolge troppi fattori, troppi da elencare qui e ora.
 
Il punto è come si risolve questo problema, non mettendo in condizione di usare strumenti più completi e complessi, ma semplificando. Ecco, al contrario dell’attenzione weiliana, la semplificazione. Ne parlano talvolta i giornali, semplificare tutto, ripeterlo finché non entri nella zucca.
 
La scuola ancora resiste, anche questi neolaureati che qualche volta, pur essendo dottori di lettere, fanno errori d’ortografia e hanno una scrittura contorta ahimè, resistono; sul campo poi ci mettono entusiasmo, voglia di fare e imparano, alla fine sono ammirevoli.
 
La scuola resiste e resisterà, secondo me, anche alla semplificazione, ma a quale prezzo ora è difficile dirlo. Io che invecchierò sempre di più, però, mi chiedo: chi mi curerà?
 
Spero di finire nelle mani di alcuni ex studenti eccellenti che anche in Italia ci sono, l’importante è che non siamo emigrati all’estero per cercare una carriera e un futuro migliori.
 
P.S. E’ notizia recentissima che sono rispuntati i particolari criteri di scelta dei candidati alle regionali della PDL. Che c’entra con la matematica, l’italiano, la storia ecc. ecc. leggeri? C’entra, perché il criterio non sarà la preparazione culturale tanto meno politica, ma l’avvenenza. E dunque l’unica soluzione è forse questa: far studiare solo i brutti, i belli non ne avranno bisogno. Ma i brutti diranno: “A che pro studiare se tanto sono brutto?” Studia, chissà magari diventerai chirurgo estetico e conquisterai il mondo.
 
La matematica sarà leggere, ma l’avvilimento pesa!

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