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L’asse Italia-Francia nella visione di Mario Draghi

Era impossibile – checchè ne dicessero i media- che Mario Draghi potesse aver accettato l’incarico di Presidente del Consiglio in una mera ottica economicistica.

 

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In effetti fin dal suo arrivo a Palazzo Chigi, il piano di ripresa economica è diventato argomento secondario, assorbito dall’agenda draghiana come ordinaria amministrazione.

L’azione dell’ex direttore della BCE è infatti orientata per la maggior parte a rifondare – o meglio a riallineare- la geopolitica italiana, intervenendo tanto nella ristrutturazione degli apparati interni, quanto nel posizionamento internazionale del paese.

Abbandonata qualsiasi velleità di flirtare con potenze rivali allo spazio di egemonia statunitense, come se l’Italia potesse fregiarsi della prerogativa di sganciarsi dalla sfera d’influenza americana motu proprio, il premier ha a deciso giocare tutto nella ricerca di una nuova centralità all’interno degli equilibri intereuropei.

Con l’uscita di Londra dagli affari comunitari, lanciata sempre più verso una visione lontana dal vecchio continente, l’Italia si candida ad essere il nuovo vertice del triangolo capace di tenere in piedi l’architettura dei rapporti europei.

É noto come lo sposalizio franco-germanico sia una costruzione artificiosa, con Parigi e Berlino impegnate a contendersi il primato nell’area, perseguendo aspirazioni politiche del tutto divergenti.

La Germania basa il suo primato regionale sulla costruzione economicistica dell’Unione Europea, rifuggendo spesso i tentativi di estendere i settori di cooperazione comunitaria.

Al contrario la Francia tenta di utilizzare il proprio potenziale strategico-militare per muovere gli equilibri europei, nell’ottica che una più stretta integrazione europea anche su settori come quello della Difesa, possa essere funzionale a perseguire le proprie velleità di potenza celandole sotto la ricerca di autonomia strategica continentale.

La reintegrazione della Germania nei consessi internazionali, al seguito dei due conflitti mondiali, è avvenuto proprio sotto il segno della rinuncia a pretese strategiche che non sconfinassero oltre l’egemonia commerciale, abbandonando qualsiasi afflato geopolitico in favore dell’egemonia di Washington.

Qualsiasi tentativo di ridisegnare gli equilibri comunitari in sensi alternativi rappresenta quindi una forte minaccia per la Germania moderna, nata sotto il segno dell’interdipendenza verso il dominus d’oltreoceano.

Il presagio che “il più tedesco degli italiani” abbia abbandonato la propria fede rigorista, tanto a livello di politiche interne che sul piano internazionale, è praticamente realtà.

Già da tempo, da quel famoso “Whatever it takes”, il tabloid tedesco Bild aveva chiesto a Mario Draghi di restituire l’elmo chiodato prussiano, che scherzosamente gli era stato regalato anni prima.

La possibilità italiana di giocare una nuova partita in Europa, complice la rinnovata centralità strategica delle proprie aree di pertinenza geografica – vedasi mar Mediterraneo- , passa per un nuovo avvicinamento con Parigi, nell’ottica di controbilanciare il primato tedesco.

Berlino ha tutto da perdere, sia a livello di egemonia interna all’Unione, sia per una concreta possibilità che il baricentro europeo si sposti nuovamente verso sud.

Draghi si trova nel momento più propizio per inserirsi in una triangolazione europea, approfittando di un rapporto franco-tedesco ai minimi storici.

La possibilità di un partenariato italo-francese passa però verso una serie di difficoltà strutturali, legate principalmente alla visione che i due attori hanno del proprio ruolo nel mondo.

La Francia può vantare infatti una coscienza nazionale ed una considerazione geopolitica di sé stessa basata sulla convinzione di dover essere una grande potenza: l’Europa, nei sogni dei cuigini d’oltralpe, è sempre stata l’ipotetica piattaforma regionale sul quale costruire la proiezione di una Francia Globale.

Già nel dopoguerra il generale De Gaulle si era fatto promotore dei primi meccanismi di integrazione continentale, nello scopo di costituire uno spazio geopolitico a trazione francese, attraverso il quale assurgere a terza potenza globale nella dialettica USA-URSS.

Al contrario l’Italia vive di un complesso d’inferiorità latente verso i grandi d’Europa, figlio di una pedagogia nazionale che ha sempre raccontato il Bel Paese come incapace di autodeterminarsi senza supervisioni esterne.

Non è un caso che una parte del mandato di Draghi sia principalmente concentrata sul rifondare gli apparati italiani, nel tentativo di costruire un sistema-paese più efficiente e creare una nuova cultura dedita alla ragion di stato.

La possibilità di costruire partenariati paritetici non può prescindere infatti da “uno scatto di autostima” dell’Italia e di una rinnovata decisione nei confronti degli interlocutori.

L’attitudine al comando è endemica alla collettività nazionale d’oltralpe, la Francia vede sé stessa come un paese regale, destinato ad una posizione di superiorità, proprio per questo i nuovi rapporti italo-francesi si riveleranno non solo fallimentari, ma potenzialmente dannosi, se abbracciati nella solita ottica di sudditanza intellettuale e politica.

Mentre si parla già di un futuro trattato del Quirinale che sigilli la rinnovata intesa fra Francia ed Italia, le questioni irrisolte, oltre a quella legata all’ontologia geopolitica del nostro paese – di cui sopra-, sono ancora molte.

Nel tentativo di controbilanciare il primato della Germania che ha inglobato già da anni il Nord-Italia nella propria catena del valore, Parigi ha più volte dimostrato un atteggiamento fortemente predatorio verso le industrie strategiche presenti sul nostro territorio, una pratica che non può che andare verso un forte ridimensionamento se si vuole proseguire sulla strada di un partenariato.

In più anche le questione di politica internazionale vedono i due paesi fortemente distanti su aree di grande interesse: in primis sulla sponda nordafricana, dove la Libia ha segnato più volte una spaccatura nei rapporti italo-francesi.

Le due nazioni qui si sono trovate spesso ad appoggiare fronti opposti, dall’epoca di Gheddafi fino al più recente sostegno francese alla marcia, rivelatasi fallimentare del generale Haftar contro il governo di Tripoli, riconosciuto ufficialmente da Roma.

I segnali di una riapertura del dialogo anche su quel fronte iniziano però a susseguirsi, la Francia, dopo che l’ambasciata italiana è stata per molto tempo l’unica di un paese UE attiva a Tripoli, ha riaperto la sua sede diplomatica.

Come già accennato le divergenze con l’Eliseo annoverano non solo questioni di politica estera, ma anche di natura economica ed industriale: i francesi hanno più volte dimostrato un forte interesse verso le aziende nostrane (Mediset e Telecom fra le tante) e la risposta è spesso stata macchiata da un’eccessiva sudditanza verso le mire transalpine.

La formula necessaria a volgere a proprio favore la questione industriale è però insita nello stesso Draghi, che già negli anni dell’esecutivo Ciampi, come direttore del Tesoro, aveva gestito in concerto con il ministro Savona i dossier economici legati alle acquisizioni francesi.

Nell’asse con Macron l’Italia può trovare però anche la possibilità di perseguire collaborazioni virtuose, come quelle inerenti al settore dell’aerospazio, care alla Francia per questioni strategiche e per cui il Bel Paese rimane un elemento imprescindibile, potendo vantare una filiera completa dell’industria spaziale ed una knowledge tecnologica di altissimo livello.

Negli equilibri europei legati al campo dello spazio l’Italia è l’ago della bilancia e potersi fregiare di una partnership nel settore è una grande garanzia di efficienza.

L’abilità di Draghi dovrà essere quella di contenere il più possibile le velleità regali della Francia e non dimenticarsi della logica triangolare, che oggi vede sì l’Italia vicina a Parigi, nell’ottica di ottenere il più possibile dalla Germania, come per esempio evitare il passo indietro – finita l’emergenza pandemica- sulle politiche di condivisione del debito e di espansione monetaria, ma un domani potrebbe di nuovo avvicinarsi ai tedeschi per ottenere la rinuncia della Francia a pretese troppo ambiziose o tentativi non equilibrati di costruire la partnership con il nostro paese.

Foto governo.it

 

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