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 Home page > Tribuna Libera > L’aggressione a Fassina. Colpa anche del Pd

L’aggressione a Fassina. Colpa anche del Pd

Fassina è stato insultato e spintonato dagli operai dell’Alcoa, che hanno visto nel responsabile economico del PD l’esponente di una casta che ha rinunciato a fare politica, che ha abbandonato la centralità del lavoro. “Non vogliamo politici”, ripetevano gli operai, e meno che mai i politici che hanno lasciato soli gli operai. Quanto dolore in quegli insulti e quanta disperazione, quella che toglie ogni freno, impedisce ogni razionalità e accomuna tutto e tutti. Quanta rabbia in quella aggressione, la rabbia di chi avverte sulla sua pelle, l’amarezza della solitudine, la delusione di chi si sente abbandonato da un partito in cui aveva riposto fiducia.

Il sogno di un PD dei poveri, dei licenziati, dei cassa integrati, è andato ad infrangersi sugli scogli di un riformismo sterile, figlio del pragmatismo e non di un ideale, di una passione politica, di una linea di pensiero. Il PD è troppo impegnato nella contabilità montiana per accorgersi del dramma dei minatori del Sulcis, dei lavoratori dell’Alcoa, della desertificazione industriale di un’intera regione. E corazzato da questa insensibilità, il partito non avverte questo dolore e questa disperazione, neppure i segnali di pericolo che da essa provengono, il pericolo di una violenza frutto di tante ingiustizie, di diritti calpestati, di sogni infranti, di vite spezzate, ma anche del populismo dei soliti furbi che, per qualche voto in più, contestano accusano, ma non propongono. E tutto ciò ha segnato il vuoto tra la politica e il mondo del lavoro, tra il PD gli operai e la realtà dei lavoratori. Una distanza cosi grande che non può essere colmata, neppure da un uomo di sinistra di questo partito, quello che più si è battuto per i lavoratori .

Il fatto è che Fassina milita in un partito fondato sull’assurda pretesa di mettere insieme PCI e DC, laici e cattolici integralisti, chi appoggia gli operai e chi appoggia Confindustria. Un partito che in nome di questa pretesa, ha rinunciato a far politica, ha accettato senza batter ciglio, le peggiori ingiustizie contro i lavoratori. E così succede che Fassina paga per tutti. Paga per Renzi che appoggia Marchionne, per Letta che appoggia Monti, per Bersani che dice e non dice. A nulla valgono il suo sostegno alla FIOM, la sua battaglia per dimissionare Monti, il suo appoggio alla proposta della Camusso per un intervento pubblico nell’economia.

Fassina paga per un amalgama non riuscito, per una linea non chiara del suo partito, in bilico tra laici e cattolici, tra operai e imprenditori. Ma Fassina paga anche per colpe sue, perché, uomo di sinistra, non ha avuto e non ha il coraggio di abbandonare un partito che non è più di sinistra.

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