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L’affare Grecia, dove guadagnano gli Hedge Funds. Ma anche la BCE

Il rischio default in Grecia ha significato un danno enorme non solo per l’economia del paese, ma per quella dell’intera Unione Europea. Non tutti ci hanno perso, anzi, alcuni hanno guadagnato - e molto - dalla crisi greca. Speculatori - si dirà - sciacalli; non solo. Anche le istituzioni si sono mosse, e l’immagine del salvataggio è forse meno limpida di quanto potremmo pensare. Una contraddizione decisamente quantificabile.

Degli Hedge Fund - o fondi speculativi - si è parlato a lungo. Ci si è focalizzati però forse su di un punto di vista sbagliato, o comunque incompleto. L’oggetto principale del contendere è stata a lungo l’idea che la speculazione finanziaria avesse portato la Grecia sull’orlo del crack, “scommettendo sul default”. Meno dibattuta è stato invece il ruolo dei fondi nel salvataggio del paese, e delle conseguenze che ciò avrebbe comportato.

Nel debito greco hanno infatti investito molti soggetti, come gli statunitensi Baupost Group e Third Person. Secondo quanto riferito da Value Walk solo Third Person avrebbe guadagnato dalla propria “scommessa” una cifra attorno ai 500 milioni, ed è inutile dire quanto l’atteggiamento dell’FMI al riguardo sia stato determinante, alimentando una crisi di panico capace di causare un successivo crollo dei prezzi, e quindi una conseguente penetrazione da parte di fondi stranieri in Grecia, ma anche in Spagna, Italia e Portogallo. È stato di conseguenza possibile acquisire asset a prezzo ridotto, una caduta che ha portato giù con sé i fondi pensionistici greci, con una perdita di valore attorno ai 10 miliardi di euro.

Il punto è infatti anche quello dei fondi pensionistici. A parlarne è proprio John Kyriakopoulos, direttore del Fondo Pensionistico Greco. Kyriakopoulos, che ha recentemente rivenduto i bonds dell’European Financial Stability Facility dichiara candidamente al Financial Times di aver “fatto più soldi degli Hedge Funds che hanno giocato con la Grecia“. Lodevole, considerato l’investimento attorno ai 100 milioni e la benedizione della banca nazionale greca e della BCE.

Mentre lasciamo Kyriakopoulos a crogiolarsi nelle proprie gozzoviglie, però giunge a svegliarci Keep Talking Greece. L’agenzia segnala infatti -rifacendosi a newmoney.gr- come i fondi speculativi si stiano riattivando, acquisendo prestiti dalle banche greche. Ne deriva in sostanza che il fenomeno della cartolarizzazione non è mai stato effettivamente messo sotto controllo.

Con essa infatti è stato possibile emettere titoli da immettere sul mercato ponendo a garanzia le proprie attività (come sono appunto i prestiti che si presume dovranno essere ripagati alla banca). Si sta riespandendo quindi un mercato - oltretutto scarsamente regolamentato - che è quello alla base della crisi attuale.

Oltre a questo però si segnala come a compiere tale manovra siano distressed hedge funds, ossia fondi specializzati in prestiti scarsamente garantiti e imprese in difficoltà. Si tratterebbe quindi di soggetti che non solo speculano tramite strumenti, ma anche in situazioni ad alto rischio (una combinazione, per capirci, che è quella dei mutui subprime, alla base del crack della Lehman Brothers). Dopo un crescendo di attività, perché muovere ora?



Ciliegina sulla torta, infatti, una legge greca protegge i proprietari di immobili dalla possibilità di essere sfrattati, se il prestito in questione supera i 180 mila euro: la legge è venuta meno col finire del 2012, ma è stata estesa fino a tutto il 2013. Un bell’affare per chi abbia denaro e tempo a sufficienza.

Fin qui privati, e si potrebbe rispondere che in fondo “non c’è nulla di male”. Un’etica che fatichiamo a condividere, ma proprio a voler tirare la corda fino al limite, è comunque logica. La vera notizia deve invece ancora arrivare, e fa gelare il sangue. È funzionamento base che la banca centrale europea gestisca la compravendita di titoli, con svariate finalità (equilibrio della bilancia dei pagamenti, del tasso di cambio, dei tassi d’interesse). Il suo compito al riguardo è chiaro: evitare fenomeni inflazionistici.

Agisce però anche tramite il rifinanziamento marginale, ossia al fine di fornire liquidità al sistema in casi di necessità. Ne deriva di conseguenza un costo, un tasso d’interesse che definiamo EONIA, strutturalmente superiore a quello di mercato, al fine di rendere la BCE realmente un prestatore di ultima istanza, e non il rifugio per qualsiasi imbecille della finanza creativa. Fin qui nulla di nuovo. Quello che lascia più di qualche perplessità è il report che la BCE ha rilasciato, rimbalzato in tutto il mondo, dal Wall Street Journal, a Il Sole 24 Ore a Value Walk. Eh sì, perché secondo i dati della banca centrale europea l’intervento in Grecia ha fruttato nel 2012 ben 500 milioni di euro solamente d’interessi, senza contare i 654 milioni dell’anno prima.

Mai come in questi tempi si dovrebbe ripetere come un tasso d’interesse non è illegale o amorale, nel momento in cui lo si pratica onestamente. È tuttavia altamente anomalo il fatto che all’interno della BCE non si sia pensato ad azzerarlo nel caso della Grecia. Non solo in virtù dello condizioni eccezionali di fronte alle quali la crisi ci ha tutti posti; è infatti di una banca centrale che si tratta: quando essa è sana il suo compito è il pareggio (dal punto di vista delle finanze interne) e la stabilità (dal punto di vista dell’economia reale).

L’aspetto interessante è invece che - come gli hedge funds - sul lungo periodo l’”aiuto” di cui la Grecia ha beneficiato si sta trasformando in un progetto in perdita. La strategia dei fondi è ovviamente quella di raccogliere i caduti di questa crisi. Dall’altra parte però si tratta di un ben preciso dettame. Secondo l’Articolo 33 dello Statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea gli utili derivati dall’attività di finanziamento viene spacchettato in due componenti: una parte va ad ampliare il fondo di riserva, l’altra è redistribuita ai membri in base alle quote.

Ne deriva che l’attuale sistema di finanziamento - in special modo se applicato in casi di crisi sistemica - funziona sul lungo periodo come uno strumento che paradossalmente agisce da drenaggio di liquidità dalle economie più deboli a quelle più forti. Se si ipotizzasse - ottimisticamente - un rientro ottimale, nel quale l’intero prestito venga restituito, l’economia della Grecia ne risulterebbe ricostituita, come è scopo e funzione di una banca centrale.

Se si aggiunge la redistribuzione però la BCE si ritrova a spingere sul lungo periodo in direzione contraria, facendo pendere la bilancia a svantaggio della Grecia. Più o meno come una famiglia in difficoltà che, dovendo scegliere se rivolgersi ad un congiunto oppure allo strozzino, si sentisse chiedere dall’ingrato parente un interesse, oltretutto difficilmente restituibile. Se dello strozzino si diffida ma se ne conosce la natura, cosa dovremmo dire di questi congiunti?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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