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L’aborto turco

Le affermazioni del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha equiparato l’aborto all’omicidio hanno suscitato ampie proteste da parte delle femministe per le quali l’interruzione di gravidanza, permessa in Turchia fin dal 1983, rappresenta la conquista di un irrinunciabile diritto delle donne.

La questione sembrerebbe porre sullo stesso piano la tradizione islamica e quella cattolica che, non c’è bisogno di ricordarlo, esclude tassativamente qualsiasi ricorso a pratiche abortive, considerandole un vero e proprio omicidio senza alcuna titubanza.

In realtà nell’Islam le cose non sono altrettanto chiare. La materia è notoriamente regolata dalla legge islamica, la shari’a, che è - premessa opportuna - assolutamente permissiva in termini di pratiche contraccettive dal momento che l’Islam non considera la sessualità come un atto peccaminoso in sé e legittimato solo dalla procreazione come invece affermato dalla tradizione cristiana. Tanto per cominciare a chiarire qualche differenza.

In merito all’aborto la shari’a esprime effettivamente una proibizione all’interruzione di gravidanza, ma con qualche eccezione (e la cosa non è di poco conto): si ritiene infatti che l’aborto sia legittimato “nei casi in cui la prosecuzione della gravidanza prefiguri rischi fisici o di stabilità mentale della madre (si pensi agli stupri etnici delle donne musulmane della Bosnia)”.

L’autorizzazione ad abortire si fonda sull’idea del “male minore”, conosciuto nella terminologia islamica come il principio de “la cosa più importante e la meno importante”. Se è vero che abortire è vietato, è altrettanto vero che anche lasciar morire la madre è vietato; da qui il permesso di abortire il non nato - “il meno importante” - per far vivere la donna vivente, “la più importante”.

L’islam fa dunque una implicita distinzione fra la vita potenziale del feto e la vita reale della donna: per questo l'aborto è permesso nel caso di pericolo di vita, fisica e psichica, della madre, non diversamente da quanto previsto dalla nostra legge 194 che esclude l'idea che la donna abbia il 'diritto' di abortire, ma che consente l'interruzione di gravidanza in caso di "un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica" o relativamente "alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento".

Equipararlo quindi all’omicidio, come fa Erdogan, non corrisponde con assoluta esattezza alla realtà della logica islamica: se esistono cose più gravi e cose meno gravi l'equivalenza fra le due non è sostenibile; il significato reale, diverso da quello formale, è che aborto e omicidio nell’Islam sono, e restano, cose diverse.

La stessa logica vale anche per la religione ebraica in cui l’aborto è consentito entro le prime quattro settimane in casi gravi come, appunto, la salvaguardia della vita materna.

Possiamo dire la stessa cosa del cristianesimo? Mi sembra che l’affermazione corrente nella logica antiabortista non distingua affatto fra vita potenziale e vita attuale, considerandole entrambe forme di vita umana effettiva. L’embrione è, nella dogmatica cristiana, persona pienamente umana fin dal concepimento e godrebbe degli stessi diritti della donna che lo cresce nell’utero.

Il caso citato delle donne violentate in Bosnia cui - all’opposto dei giureconsulti islamici - Papa Wojitila lanciò un altisonante invito a tenersi i figli della violenza, richiama i casi scandalosamente noti di bambine stuprate a cui è stato impedito di abortire come in Messico oppure che hanno abortito, con conseguente scomunica per i medici coinvolti come accadde in Brasile o ancora in Colombia

E se qualcuno, improvvisamente illuminato da un lampo di umanità, si oppone all’inflessibilità della dottrina ecco che immediatamente scatta il richiamo ufficiale.

Naturalmente il problema dell’aborto si centra sulla definizione di vita umana o meglio del momento in cui si ritiene che inizi la vita umana. E questo vale per l’occidente come per l’oriente. Non solo le religioni si sono espresse nel corso dei millenni proponendo il loro punto di vista che ovviamente ritiene centrale la volontà di un ipotetico divino trascendente, ma anche la scienza si è più volte espressa in merito.

Non parlo solo dei due ricercatori italiani, ormai ‘australiani’ di fatto, scopritori dell’ignobile aborto post-nascita - in realtà un infanticidio mascherato - di cui ho già scritto più di una volta, ma anche di altri casi precedenti.

Secondo un noto testo di Norman Ford - Quando comincio io? - e secondo il rapporto presentato nel 1984 dalla commissione bioetica inglese presieduta dalla filosofa Mary Warnock, si sostiene l’esistenza di una forma pre-embrionale fino al 14° giorno (dalla fecondazione fino alla prima differenziazione cellulare), termine entro il quale non si può affermare l’esistenza di una vita individuale/personale, dal momento che l’embrione potrebbe ancora scindersi. 

La commissione inglese era giunta a conclusioni utili ai fini della ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma cadendo peraltro in contraddizione con se stessa dal momento che aveva anche affermato che “a partire dalla fertilizzazione i successivi processi di sviluppo si susseguono in un ordine sistematico e ordinato”. Insomma, secondo la commissione di bioetica britannica non c’è alcuna soluzione di continuità nel percorso dello sviluppo umano, a partire dal concepimento. Ma questo non impedisce agli inglesi di essere all’avanguardia nelle tecniche di ricerca scientifica sull’embrione. Pragmatismo anglosassone.

Alla fine sembra che si possa dire che alcune tradizioni culturali ed alcuni ambiti scientifici fanno dichiarazioni di principio che non rispecchiano la realtà di un pensiero in grado di ammettere confusamente una qualche differenza tra feto e neonato, ma senza la capacità di mettere a fuoco con esattezza i termini della questione.

E' stato necessario attendere la proposta teorica dello psichiatra italiano Massimo Fagioli che individua proprio nel momento della nascita l'attivazione della realtà psichica umana da parte dello stimolo luminoso, perché ci si potesse orientare con chiarezza in temi così complessi quali la differenza tra la biologia complessa, fisiologicamente funzionante, del feto e la vita psichicamente attiva del neonato. Il momento cioè della radicale trasformazione della pura biologia in realtà umana.

Definire cosa è umano e cosa non lo è ancora (o non più) diventa essenziale per affrontare le prossime sfide della scienza che sembra essere orientata sempre più verso le pratiche di sperimentazione genetica, sulle ipotesi di clonazione, sulle tecniche di fecondazione artificiale, sull'eutanasia e sul diritto di autodeterminazione dell'individuo. Parliamo di un futuro ormai prossimo su cui si giocheranno gli sviluppi della società e di temi eticamente sensibili su cui entrano in conflitto i punti di vista dei ricercatori laici, vittime spesso di un pragmatismo freddamente razionalista che li porta ad affermazioni insostenibili, e quelli fideistici, con le loro indimostrabili certezze ancestrali. Scontri dalle prevedibili ricadute politico-culturali.

Erdogan sembra orientato verso queste ultime posizioni. Non c’è da stupirsi se le donne turche più emancipate gli si ribellano contro esattamente come gran parte delle donne italiane si ribellano ai diktat della Chiesa.

Commenti all'articolo

  • Di Geri Steve (---.---.---.124) 8 giugno 2012 12:01

    L’articolo è molto interessante, ma io non credo molto all’importanza delle questioni teologiche: all’interno della stessa fede ufficiale abbiamo comunità progressiste e altre conservatrici senza grandi contrasti teologici fra loro.

    Non mi è mai stato chiaro come sia successo che l’Islam, più progressista e tollerante del Cristianesimo feudale, sia poi ripiegato in forme così reazionarie. C’è chi sostiene che sia dipeso dal fatto che, dopo il 1000, sia stata chiusa la Igtihad, cioè l’esercizio di interpretazione nelle scuole coraniche, che quindi sono diventate scuole di puro apprendimento mnemonico del solo corano, con conseguente forte decadimento intellettuale.

    Io ci credo poco che le dottrine religiose siano un unico in evoluzione: credo piuttosto che in Turchia ci siano una fazione islamica progressista ed una reazionaria, e che quest’ultima -purtroppo- stia prendendo il sopravvento.

    La modifica della costituzione turca rischia di farla diventare uno stato islamico.

    • Di (---.---.---.124) 9 giugno 2013 19:13

      é passato un pò di tempo dal tuo commento, ma volevo esprimere la stessa convinzione che il problema attuale dell’islam è appunto la cristallizzazione dovuta alla chiusura dell’ Igtihad (ovvero lo sforzo interpretativo dei sapienti dei testi sacri.) 

      Una musulmana italiana che vorrebbe tanto che l’islam tornasse ad essere la religione del libero pensiero come la definiva Averroè e faro di luce per l’umanità.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 8 giugno 2012 12:56
    Fabio Della Pergola

    Il tuo commento è molto interessante, ma non sono abbastanza addentro alla cultura storica dell’islam per fare ipotesi. Spiega meglio cosa sarebbe la "Igtihad".
    Io l’unica che posso immaginare è che l’islam "turco" fosse in origine già molto meno tollerante di quello "arabo-persiano" e che questo abbia potuto fare la differenza.

    Quanto alle questioni teologiche credo invece che abbiano e abbiano avuto molto peso nella formazione della cultura e dell’antropologia dominante; di sicuro è stato così nell’occidente cristiano, non sono così sicuro, per il motivo detto sopra, per l’islam. Speriamo che qualche esperto di cultura islamica legga e commenti...

    Quanto alla Turchia, credo che si trovi in una situazione di difficile soluzione. Sta a cavallo tra l’Europa, che non la vuole, e un Oriente islamico sempre più radicalizzato. E’ in rotta aperta con Israele e ormai anche con la Siria, ha rapporti difficili con l’Iran, è in difficoltà con l’Egitto. Non ha mai risolto i decennali problemi con i curdi e ora si trova accanto il nemico storico greco che si sta orientando verso la Russia e, attraverso Cipro, verso Israele... tutto questo ricade sulle sue scelte di politica interna che sembrano orientate verso un’islamizzazione sempre più marcata.

    Il problema di fondo però è che Islam e Democrazia come noi l’intendiamo non sono facilmente accordabili. Il mondo islamico non ha avuto rinascimento, umanesimo e illuminismo. Devono trovare una loro strada originale per superare l’islamismo. Speravo che le "primavere arabe" andassero in quella direzione, ma mi pare che siano già fallite, schiacciate fra nostalgie dittatoriali e fondamentalismo.

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