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L’ultimo respiro di J.G.Ballard

Lo scrittore originario d’Albione, mostro marino delle nostre postmoderne psicosi é morto una domenica dell’ Aprile 2009 all’età di 78 anni.

La guerra a Shanghai e gli anni difficili passati all’ombra dei fili spinati nei campi giapponesi si impressero come cicatrici sulla sua anima. Una sorta di rivelazione sul costume umano e su come esso possa apparire orribile e terrorizzante. Un’esperienza originale e irripetibile da cui Ballard trasse, ancora in giovinezza, la ragnatela per uno dei suoi sogni di scrittura più belli e giustamente celebri: "L’impero del sole", indilmenticabili appunto - e del libro e del film di Steven Spielberg (1987), i cocenti tramonti atomici e il volto scarno e espressivo dell’immenso prigioniero John Malkovich.

Ballard ha ritrovato le altezze del cielo domenica, lasciando Londra, in seguito a un male dannato che se l’è portato via dimorando e passando per la sua prostata.

Nato al sole e sotto la pioggia di Shangai nel novembre del 1930, figlio di un industriale tessile, vide prima la tempesta della storia sfiorargli le spalle fanciulle nel 1941 a Pearl Harbor, e fu internato poi dagli invasori giapponesi in uno dei tanti famigerati campi del secondo conflitto bellico.

Di ritorno in terra d’Albione nel 1946 trova l’estasi nera del cuore di fronte ai passaggi urbani divorati dalla guerra, ai cementi, alla polvere, alle calcine, la bellezza delle rovine, tracce epidemiche della distruzione e del sinistro massacro.

A Cambridge studia medicina, non diventa psichiatra come da suoi desideri ma giornalista e nel 1956 compare il suo primo racconto lungo dal titolo fortemente lynchiano "Prima Belladonna" ambientato in una costa marina fatta di materiale di sogno e incubo: vi recitano artisti blasés, sciocchi e oziosi e eccentrici, una comunità di ingenui pervertiti che ricorda il mondo disperato e affascinante del Fitzgerald di "Tenera è la notte" e "Il grande Gatsby".



Questo primo volo letterario reca già con sé il vento delle future ossessioni letterarie per le costruzioni megalitiche e i condomini anonimi del era postmoderna, gli appartamenti senz’anima e i codici di identificazione.

Il suo sense of humour tipicamente surrealista e il suo amore per le periferie dell’arte. Per più di dieci anni J.G. collabora con New Worlds, intramontabile rivista di fantascienza e avanguardia, e inventa di fatto la nuova onda della fiction fantascientifica, colma di utopie, deliri e saccheggi avveneristici: seguono - a forza - i nuovi emblematici romanzi: "Vento dal nulla" (1961) e "Deserto d’ acqua" (1962), i suoi primi; ma è con " Terra Bruciata" (1964) e "Foresta di Cristallo" (1965) che approda alle terre del mito, in particolare del genere letterario del romanzo catastrofico e della fanstascienza apocalittica.

E’ il 1969 tuttavia l’anno dello stupore: la "Fiera delle atrocità" il suo capolavoro mette sul tavolo verde della follia tutte le possibili combinazioni e le follie arbitrarie di ogni logica psiconevrotica, un ritaglio ininterrotto di intuizioni e meditazioni da Jarry a Burroughs, suo inconfessato maestro.

Tutto a dissolversi con "Crash", macedonia amara di sesso e pericolo automobilistico, di lamiera e sangue. Lo scandalo del romanzo non tarda a creare i suoi adepti: sarà Cronenberg nel 1996 a dar vita alle estroversioni sesso-meccaniche dello scienziato maledetto Vaughan e dei suoi accoliti da fiera. Ballard terminerà le sue auscultazioni psicopatologiche con "Il paradiso del diavolo" (1994), una stimmate al fanatismo pseudoreligioso dei movimenti ecologisti.

"Miracle of Life", la sua, più o meno immaginaria, autobiografia apparsa nel Regno Unito a inizio 2008 (e non ancora sortita in Italia) doveva essere il suo ultimo libro. Tuttavia poco prima di morire elaborò il piano di un diario a due col suo medico curante, colui che l’accompagnò giusto alla soglia della morte.

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