L’ONU chiede d’intensificare le attività militari contro i pirati
Il rappresentante delle Nazioni Unite per il Corno d’Africa, Ahmedou Ould-Abdallah, ha chiesto maggiore impegno per contrastare la pirateria nel Golfo di Aden.
“Credo fermamente che si debbano intensificare gli sforzi concreti, quali la forte presenza marittima internazionale al largo delle coste somale, volti a marginalizzare e quindi sconfiggere la pirateria, un flagello internazionale”, ha dichiarato Ould-Abdallah.
Nel ringraziare le marine militari di Francia e Stati Uniti per le recenti sanguinose operazioni di cattura e deportazione di decine di presunti sequestratori, il rappresentante ONU ha affermato che “chi contribuisce alla presenza marittima internazionale sta svolgendo un lavoro eccellente”.
Per Peter Pham, direttore dell’Istituto di studi internazionali della “James Madison University” di Harrisonburg (Virginia), la fitta presenza navale nel Golfo di Aden sta accrescendo la possibilità che si verifichino gravi incidenti. “Penso innanzitutto ai rischi d’incidenti navali che coinvolgano una parte delle unità e delle flotte che operano in un’area relativamente stretta e dove si concentra la maggior parte dei pattugliatori, ognuno dei quali segue regole di ingaggio differenti e spesso contraddittorie”, spiega Peter Pham.
Per il docente è sempre più probabile che le numerose unità militari diventino facile bersaglio di azioni terroristiche da parte di gruppi dei sequestratori.
“Le due missioni non cooperano come dovrebbero”, afferma Seibert. “Ciò duplica gli sforzi e il disordine che ne deriva può favorire i pirati. Ogni istituzione spera di provare la propria superiorità, la rivalità UE-NATO è inutile e forse anche controproduttiva. Per coprire rapidamente e in modo efficace un’area operativa vasta e sconosciuta e dove non si può contare sull’appoggio della nazione ospitante, è vitale il coordinamento tra le forze militari. Con strutture di comando separate, le duplicazioni e le contraddizioni sono inevitabili”.
Per il ricercatore del RUSI non sono poi giustificabili i costi finanziari raggiunti dalle due missioni UE e NATO, specie adesso che “i budget per la difesa negli Stati Uniti e in Europa sono colpiti dalla crisi economica”. Di certo i numeri non danno ragione a chi ha investito ingenti mezzi nella caccia marittima ai pirati.
Secondo l’International Maritime Bureau, gli atti di pirateria al largo della Somalia sono decuplicati nel primo trimestre del 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008 (6 contro 61). Così al Pentagono e a Bruxelles si guarda con sempre più favore alla possibilità di estendere la guerra sulla terraferma.
Il summit internazionale convocato dalle Nazioni Unite il prossimo 23 aprile e che vedrà una trentina di Paesi discutere di pirateria, avrà tra i punti all’ordine del giorno la valutazione di un possibile piano d’attacco in territorio somalo.
Camp Lemonier è divenuto il principale hub logistico per le operazioni marittime nel Golfo di Aden e buona parte dei velivoli aerei di stanza nella base sono impegnati in missioni di sorveglianza anti-pirateria. Anche se alla task force USA è affidato un ampio ventaglio di interventi in un’area geografica che si estende dal Sudan al Sud Africa, la lotta per la “libertà di navigazione” ha contribuito enormemente all’accelerazione dei programmi di ampliamento e potenziamento della base di Gibuti.
Camp Lemonier è oggi la maggiore delle installazioni militari USA in Africa; con un estensione di 500 acri (erano solo 94 nel 2004), ospita piste aeree e infrastrutture da guerra che solo nell’ultimo triennio hanno comportato per il Pentagono una spesa di più di 100 milioni di dollari.
Tra cannoni ad acqua, pistole a raggi laser e fili elettrici, spuntano come funghi contractor, vigilantes super armati e tiratori scelti.
“Abbiamo aperto una filiale a Gibuti e offriamo un team di ex militari che stiano a bordo dei mercantili per 4-5 giorni, armati con carabine di precisione, visori notturni e anche qualcosa di più pesante”, ha dichiarato Biffani.
“Tra le nostre tecniche di difesa c’è l’uso di armi non letali affidate a personale specializzato, come i dissuasori acustici, da poco brevettati, che agiscono fino a una distanza di 200 metri e colpiscono l’udito fino a far male. I pirati sarebbero sotto il nostro tiro e senza possibilità di reagire. Sicuramente mollerebbero”.
“Si tratta di impiegati delle società di sicurezza che erano state incaricate dal Governo federale di transizione somalo di proteggere le coste”, scrive il quotidiano. “Non sono stati mai pagati e così si sono riciclati loro stessi organizzando corsi di pirateria applicata. Per questo servizio sono stati pagati un milione di dollari”.
“L’iniziativa finì nel nulla, ma sembra che alcune apparecchiature acquistate per quel progetto sono attualmente usate nelle spedizioni piratesche”, scrive Middleton. “Membri degli equipaggi delle navi sequestrate hanno dichiarato di aver sentito i loro sequestratori vantarsi di essere stati guardacoste”.
Sembra di assistere ad una versione somala dell’ “Apprendista Stregone”.
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