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L’Italia perde posizioni tra le economie liberali

Non bastavano le analisi dell'Istituto Bruno Leoni a certificare le difficoltà dell'Italia nel promuovere le riforme necessarie a sburocratizzare lo Stato e favorire un sistema più liberale, arrivano anche i dati di uno studio del Fraser Institute di Vancouver, che posiziona il nostro paese al 70° posto mondiale nella classifica della libertà economica. 

Dal dossier emerge una realtà di fatto: i paesi più liberi sono quelli che in generale vantano una media dei redditi più elevata
 
Al primo posto della classifica infatti svettano Hong Kong, Singapore, Nuova Zelanda, Svizzera, Australia e Canada, dove i vincoli all'attività economica sono meno presenti, che si posizionano anche tra i paesi con il livello maggiore di reddito pro-capite. 
 
Ci sono anche le dovute eccezioni: ad esempio restano piuttosto indietro le ricche Norvegia e Olanda (35° e 30° posto) mentre il "liberale" Cile (7° posto) ha un reddito simile al Gabon
 
Nella zona "retrocessione" della classifica sulla libertà economica compaiono Zimbawe, Myanmar, Venezuela ed Angola, mentre l'ultimo paese dell'area Ocse è Israele (83' posto su 141). 
 
Resta proporzionale il rapporto libertà / crescita economica: i paesi più liberi hanno aumentato il Pil del 3,1% nel periodo 1990/2009, mentre quelli con più vincoli si sono arrestati in media all'1,2%
 
Anche gli Stati Uniti perdono posizione, scendendo dal settimo al decimo, su cui ha influenzato l'aumento della spesa pubblica generato dalle politiche anti-cicliche (che in generale hanno fatto arretrare diversi paesi ricchi). 
 
L'Italia ovviamente scende e passa dal 66° al 70° posto
 
Il nostro Paese ha ben pochi primati di cui potersi vantare. 
In generale regge la salute del sistema monetario (offerta di denaro, inflazione, libertà valutaria), dovuta soprattutto alla partecipazione di Eurolandia, e mantiene una relativa apertura delle frontiere (con tutti gli effetti collaterali, vedi Lampedusa ndr) accompagnate da un livello di import-export ancora accettabile. 
 
Restiamo indietro invece su altri fronti delicati: la struttura legale e la tutela dei rapporti di proprietà, i tribunali (non percepiti come "imparziali"), la difficoltà di ottenere il rispetto dei contrattiil basso livello dell'attività imprenditoriale dovuta ai troppi controlli sui prezzi, vincoli amministrativi e costi della burocrazia
 
Da non dimenticare il peso rilevante della corruzione e dei favoritismi. Anche il mercato del lavoro viene giudicato troppo rigido, quasi esclusivamente a causa delle regole su assunzioni e licenziamenti e della contrattazione nazionale
Infine, il peso troppo eccessivo del settore statale: troppe spese e troppe tasse, soprattutto le imposte sul lavoro

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