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L’Italia due mondi, aspettando la parodia della caduta del Re

 

Scende in piazza il mondo della scuola e dell’università così come quello della cultura e dello spettacolo. Scende in piazza la Cgil il 27 e non è una manifestazione qualsiasi. Dopo quella della Fiom di alcune settimane fa sarebbe impossibile. Centinaia di manifestazioni locali e proteste in tutto il Paese: per il lavoro, per i diritti. Sono ancora su una torre dopo 17 giorni i migranti a Milano. Altri arrivano a cucirsi la bocca con ago e filo in un Cie a Torino. Scende in piazza L’Aquila per chiedere la ricostruzione che non è mai davvero partita dopo il fiume di denaro sperperato in quartieri satellite senza senso se non per le note di bilancio. Un migliaio di persone sono andati a gridare la loro solidarietà ai magistrati di Palermo che si stanno occupando delle inchieste sui rapporti fra mafia e politica e sulla trattativa fra un pezzo dello Stato e Cosa nostra. Inutile dire che da un momento all’altro riesploderà la rivolta in più punti della Campania. Napoli, e tutta la regione, si è trasformata in una polveriera. Scende in piazza perfino il Pd l’11 dicembre. Sarebbe facile ironia far intendere che non ci sono più abituati. Ma tant’è, andiamo avanti.

Intanto il Paese è inchiodato nello psicodramma del governo e nella tragedia del padrone della maggioranza che si avvicina alla fine del suo ciclo politico. Un tragedia goffa e grottesca, come se andasse in scena una parodia di Ciccio e Franco del Re Lear di William Shakespeare. Anche “la ministra più bella del mondo”, l’ex soubrette Mara Carfagna, sembra intenzionata a uscire sbattendo la porta dal governo e dal Pdl. Il premier per cercare di tranquillizzarla al telefono ha fatto più di un’ora di ritardo al vertice Nato. La cosa non ha fatto scalpore più di tanto visto che ormai i leader stranieri si sono abituati alle uscite di quel simpatico intrattenitore di Silvio. O forse, più semplicemente, hanno tirato un sospiro di sollievo non vedendolo arrivare. Niente gaffe e siparietti e scherzi da caserma. Almeno per una volta.

Ma torniamo alla Carfagna. Dice, Mara, che ormai il partito non è più riconducibile alle origini berlusconiane. Che a guidarlo sono il trio Verdini, Cosentino, La Russa. Se n’è accorta solo ora? E ringrazi, Mara, che il braccio armato, Bertolaso, è andato in pensione. Per ora, temiamo.

A proposito di Bertolaso, continuo ad avere difficoltà a capire se i complimenti e i ringraziamenti fatti all’inossidabile Guido da Legambiente siano stati una garbata presa in giro o se dicevano sul serio. Se poi qualcuno quella dichiarazione me la spiega…

Intanto non si capisce chi voglia davvero le elezioni oltre alla Lega e a Vendola. La Lega vuole fare il pieno al nord sulle spalle del Pdl. Vendola sa di poter correre per le primarie ma anche di non avere struttura e tempo per reggere ancora per molto l’attesa. Se non si andrà presto al voto Vendola rischia di arrivare al traguardo delle primarie logorato. Se si dovesse andare a un governo tecnico, o peggio a un governo di centrodestra a guida Tremonti o leghista, Vendola rischia davvero molto. Rischia di essere tagliato fuori dai giochi e rischia di non riuscire a prolungare la spinta di consensi che dalla Puglia lo ha scagliato sulla scena nazionale. L’unica sua possibilità, e forse lo sta già facendo, è quella di ricompattare le tante anime disperse della sinistra e ridare spinta a quell’area del 10% liquidata dal porcellum e dalle divisioni.

Vendola fa paura. Fa paura ai centristi. Fa paura al Pd che non ha ancora un leader credibile da candidare come premier. Fa paura perfino a Di Pietro, perché la radicalità razionale di Vendola rischia di cancellare i successi di consensi dell’Idv ottenuti fra i cosiddetti “movimenti” della cosiddetta “società civile”. Altro che 8% per Tonino. Con Vendola sulla piazza, il partito dell’ex magistrato del pool Mani Pulite sarebbe costretto a fare i conti con le azzardate campagne acquisti degli ultimi anni. E con quella base soprattuto di giovani che da tempo mugugnano contro la gestione paternalistica del partito del “gabbiano”.

Ma anche qui, il gioco prolungato di una politica tutta centrata sul palazzo e sull’autoreferenzialità – anche nell’opposizione – divarica a dismisura la doppia realtà di questo Paese sfinito da 16 anni di promesse e realtà camuffate, di propaganda da televendita e di imposizione di un progetto culturale, quello del berlusconismo.

C’è un Paese che è davvero convinto che l’emergenza dei rifiuti sia stata risolta da Berlusconi e che la monnezza a Napoli la scarichino i comunisti di notte. C’è davvero un sacco di gente che crede sul serio nel miracolo de L’Aquila. Come che noi italiani siamo stati i più bravi in Europa a reggere la botta della crisi economica mondiale. Perfino i leghisti sono più scettici verso i propri leader dei militanti/clienti/ elettori del Pdl. C’è un mare di gente che pensa sul serio che la magistratura sia un’associazione eversiva che vuole fare una sorta di golpe attraverso i tribunali. È questa l’Italia che dobbiamo capire, che dobbiamo inquadrare, che dobbiamo sconfiggere. Culturalmente. Con la ragione. Mentre questo Re Lear impomatato si avvia al tramonto.

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