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L’Italia dei veleni, ecco come in Basilicata si muore "coast to coast"

 

La Basilicata, regione orgogliosamente anonima rispetto ai meccanismi della criminalità organizzata e da sempre definita "isola felix" nel contesto meridionale, assurge assai di rado alla ribalta delle cronache nazionali e per fatti assolutamente straordinari. Così è stato, ad esempio, in occasione del tragico sisma del 1980, capace di cancellare interi borghi dalla cartina geografica, o per l'ancora attualissimo e triste caso di cronaca legato all'assassinio della giovane Elisa Claps.

E' una terra "di frontiera", non del tutto affrancata dalle molteplici contraddizioni culturali mutuate dal proprio passato, tuttora protesa nella difficile ricerca di una completa emancipazione sociale ed economica, segnata dalle stigmate dello spopolamento e dell'emigrazione giovanile. Malgrado la Fiat, malgrado il petrolio.

 

Eppure riesce a fornire di sé un'immagine ridente e riservata, tutto sommato dignitosa. Immersa nel suo verde, bagnata dalle sue coste puntualmente brulicanti di turisti in questa stagione estiva, amorevolmente dedita a quella che ancora oggi rappresenta la sua principale opportunità di sviluppo: l'agricoltura. Malgrado la Fiat, malgrado il petrolio.

A questo punto, a chi legge verrà naturale porsi le seguenti domande: possibile che la Fiat e il petrolio (in Basilicata esiste il più grande giacimento d'Europa n.d.a.) non abbiano portato valore aggiunto all'economia di quella regione? Che i lucani non avvertano qualche pur minimo segnale di benessere per l'industrializzazione e per la presenza dell'oro nero? Da lucano, che conosce a fondo le dinamiche della propria terra, rispondo di no. E questo giudizio, espresso a malincuore, è purtroppo condiviso da molti altri miei corregionali. Anzi, a dirla tutta noi lucani più che avvertire la presenza benefica di Fiat e petrolio conviviamo da tempo con un crescente allarme sociale e con i sospetti che a quella stessa presenza si accompagnano.

E vengo al dunque, sforzandomi di schivare le fin troppo facili tentazioni complottiste e sperando di non prendermi la reprimenda di quanti ritengono che nascondere i problemi del proprio contesto familiare, sociale o geografico equivalga a un atto di amore e di rispetto. Perché è ormai da anni che la Basilicata, "coast to coast", vanta un primato nazionale di cui farebbe volentieri a meno, nella più assoluta omertà di quanti sanno e non intervengono: è la prima regione italiana per incidenza di malattie tumorali sulla popolazione locale, assieme a quelle croniche in genere e dell'apparato respiratorio. Un dato anomalo, inspiegabile se si considera appunto che la principale attività produttiva lucana è l'agricoltura e che il territorio regionale è disseminato di pascoli e verdi colline. Ma è proprio qui che compaiono i fantasmi di Fiat e petrolio.

Presso lo stabilimento automobilistico di San Nicola di Melfi è attivo il mega inceneritore "Fenice", spesso oggetto di sospetti e segnalazioni alla magistratura e alle istituzioni preposte da parte di associazioni e ricercatori indipendenti per le presunte connessioni con l'elevata presenza di polveri nell'aria circostante. In Val d'Agri, invece, dove sono dislocati gli impianti estrattivi di Eni e Shell, da sempre si registra un forte deposito di polimeri e di altre componenti chimiche e batteriche nelle falde acquifere, anche a livello superficiale, di possibile derivazione da idrocarburi.

Sui tavoli delle autorità giudiziarie lucane sono aperti diversi fascicoli, ma nonostante la stessa Arpab (l'agenzia regionale per la protezione ambientale) abbia dovuto timidamente ammettere, a seguito delle continue pressioni esercitate dalle amministrazioni locali, dalle associazioni ambientaliste e dalle organizzazioni sindacali, che "il caso potrebbe esistere", ad oggi nessun provvedimento o resoconto ufficiale è intervenuto a tranquillizzare i cittadini. E il clima storicamente omertoso fa il resto.

Per di più, sul quotidiano la Gazzetta del Mezzogiorno è stata qualche tempo fa pubblicata un'interessante relazione sulle malattie oncologiche, da cui si evince proprio l'allarmante aumento delle patologie tumorali in Basilicata, grazie ad una ricerca portata avanti da un gruppo di studiosi dell’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Istituto Tumori di Milano, sulla base dei dati forniti dai Registri regionali dei tumori e dall’Istat.

E quanto ne emerge non può non preoccupare. Infatti, mentre nel resto della Penisola si riscontra una sostanziale diminuzione dell’incidenza dei tumori sulla popolazione, in Basilicata si assiste a una cupa controtendenza, con un indice di mortalità quasi raddoppiato dal 1970 ad oggi. Le risultanze sono state confermate dall’Ufficio regionale della Basilicata per le Politiche della prevenzione, nonché dall’Osservatorio epidemiologico lucano, secondo i quali "i tumori incidono notevolmente sulla popolazione della Regione, determinando una forte mortalità legata a questo male".

Stando al rapporto, nella zona dell’ex ASL 1 di Venosa (l'area di riferimento del citato impianto termodistruttore Fenice) i tumori colpiscono soprattutto i maschi, con un consistente numero di leucemie e di neoplasie alla prostata, al polmone, al retto, al colon e allo stomaco. Notevole, inoltre, è l'incremento di patologie dell'apparato respiratorio.

L'INCIDENZA DEI TUMORI MALIGNI DAL 1970

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancor più accurata si rivela un'altra inchiesta indipendente condotta da Pietro Dommarco, giornalista e dirigente dell'OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista), pubblicata la scorsa estate dal quotidiano Terra. Anche qui, i dati appaiono in tutta la loro crudezza.

Il Lagonegrese e l’area Sud (dove ci sono i giacimenti petroliferi) spiccano per l’incremento di tutte le forme di cancro, sia per i maschi che per le femmine. Nel Metapontino crescono i casi di tumori tiroidei con un abbassamento notevole dell’età dei pazienti, tra le cui possibili cause si riconoscono le radiazioni ionizzanti. Nel Basso Sinni il tumore alla mammella fa registrare un +46.9, essendo passati da un 29.1 ad un 76; sulla Collina Materana il tumore al colon è a +20.8, così come nel Basso Basento e nel Melandro per le donne; l’Alto, il Medio Basento ed il territorio del Bradano preoccupano per il tumore alla prostata, rispettivamente con un +39 (da 14.7 a 53.7), un +42.2 (da 4.4 a 46.8) ed un +46.9, poco meno di un terzo dell’incremento che si registra nel Vulture (+84.2).

Accanto a queste sedi tumorali, che colpiscono tutte le fasce d’età, i dati confermano anche l’insorgere di nuove patologie come il linfoma non Hodgking e la leucemia mieloide. Il linfoma non Hodgking, particolarmente “aggressivo” nell’area basentana (+28.7 per i maschi, +5 per le femmine), colpisce prevalentemente le persone tra i 40 e i 70 anni e le cause sono imputabili anche ad alcune sostanze chimiche, come pesticidi e solventi, presenti nelle acque e nei terreni. La leucemia mieloide non ereditaria, invece, fa registrare notevoli incrementi nella Val d’Agri (la valle dell'oro nero) e nella Val Camastra, con aumenti medi pari a 10.3. Tra le sue cause si annovera l'esposizione al benzene, sostanza contenuta nel petrolio e nella benzina. Una forma di leucemia maggiormente giustificabile in centri urbanizzati e con forte inquinamento atmosferico.

Nella stessa fetta di territorio, meglio conosciuto per le impattanti attività petrolifere e per la presenza del centro Oli Eni di Viggiano – unitamente alla Val Sarmento, al Vulture e al Melandro – anche il tasso di incidenza del tumore al pancreas (+16, +15, +17.1, +8.5, +4.6) denota disfunzioni. Per questo tipo di cancro, più raro al di sotto dei 40 anni, una recente metanalisi – condotta in 92 studi, raggruppando 23 agenti cancerogeni – circa il rischio occupazionale e l’esposizione ambientale ha inserito tra i possibili responsabili sostanze come alluminio, nichel, cromo, idrocarburi policiclici aromatici, polveri di silicio, solventi di idrocarboni alifatici e aliciclici, presenti in attività d’estrazione e di incenerimento. Le indagini epidemiologiche in Basilicata, rivolte maggiormente all’effetto e non alla causa dell’incidenza tumorale, dimostrano la presenza di fattori di rischio indotti, in un territorio dove il sodalizio tra sviluppo industriale, occupazione e sostenibilità non ha funzionato.

Ora, forse, il lettore meglio comprenderà lo stato d'animo di chi vive da vicino il dramma e la paura di una terra sempre in attesa di risposte che invece non arrivano. Malgrado la Fiat, malgrado il petrolio. E gli interrogativi sono inevitabilmente numerosi: è davvero "isola felix" la Basilicata, è la nuova e meravigliosa frontiera della produzione automobilistica, è il Texas d'Europa? Possono, in definitiva, dirsi realmente grati i cittadini lucani all'industrializzazione e ai giacimenti petroliferi?

A leggere le cifre delle indagini scientifiche e dell'Istat, i sospetti e le diffidenze della gente si legittimano ulteriormente; sentimenti che stanno sempre più tramutandosi in rabbia e indignazione. Perché sono troppe le famiglie lucane che hanno pianto e continuano a piangere un morto per tumore. "Coast to coast". E non sono bastati anni di denunce e di silenzi imbarazzanti, di proteste e di ricerche, per portare alla luce la Basilicata nascosta. Perché forse c'è qualcuno che vuole tenerla in questa condizione di ingenuità ed illusione.

Uno dei più strenui attivisti dell'annosa battaglia per la tutela ambientale, per la legalità e per la salute dei cittadini è Maurizio Bolognetti, responsabile dei Radicali lucani, che ha appena pubblicato il libro-dossier "La peste italiana. Il caso Basilicata", nel quale è raccolto il suo enorme lavoro d’indagine sulle contraddizioni e le reticenze che si annidano nel territorio lucano, corredato da articoli di stampa. Il messaggio di fondo del volume è che siamo di fronte a uno scenario che ha l’imprimatur della politica, e magari delle organizzazioni criminali che hanno fatto della Basilicata una piccola cassaforte dove ripulire il denaro sporco e dove riversare i propri traffici illeciti e inquinanti (nei mari, nei fiumi, nei laghi, nel terreno) comprando la compiacenza di settori dell'imprenditoria e il silenzio delle istituzioni stesse.

Perché, come si legge nella prefazione del libro scritta dal giornalista Carlo Vulpio, "Una regione con 131 comuni e nemmeno seicentomila abitanti, ricca di acqua, di gas, ora anche di petrolio, con le montagne innevate e il mare caldo, le campagne generose di grano, viti, ulivi e colture pregiate è un luogo perfetto dove creare un feudo, in cui pochi signorotti comandano e tutti gli altri ubbidiscono, subiscono, o nel migliore dei casi si adeguano".

Il quadro generale che emerge dal lavoro di Bolognetti è assai devastante: discariche al collasso che rilasciano nel terreno il percolato, l’inceneritore Fenice che ha inquinato la falda acquifera del fiume Ofanto, controlli ambientali carenti e dati nascosti nei monitoraggi, sorgenti inquinate e siti di bonifica di interesse nazionale (come Tito scalo e Ferrandina) non bonificati. E ancora: inchieste su reati ambientali che vanno in prescrizione o che scompaiono tra i faldoni nelle Procure, i controllati che si fanno controllori attraverso il collaudato meccanismo del clientelismo politico. Con l’inquietante mietitura di vite umane da parte dei tumori in costante aumento.

C'è poi la questione delle acque, con la recente denuncia di Goletta Verde sull'inquinamento a Nova Siri del Canale dove sfocia il depuratore, e della foce del fiume Basento a Bernalda, senza dimenticare il disastro causato alla costa jonica dalle "navi dei veleni". Le autorità, dopo l'uscita dell'inchiesta di Bolognetti e come puntualmente fanno a seguito di ogni denuncia, tendono a minimizzare gli allarmi, fedeli al copione del "tutto a posto" mutuato dalla politica di governo nazionale. E a quell'odioso meccanismo del "fango" e della delegittimazione morale che subito scatta per colpire il "mistificatore" di turno che cerca di portare a galla le magagne del sistema.

Un meccanismo di cui è stato vittima, ad esempio, il tenente della Polizia provinciale di Potenza Giuseppe Di Bello, quando denunciò l’inquinamento degli invasi lucani; gesto che fece scattare una inchiesta giudiziaria non a carico della ditta privata che aveva "drogato" le analisi delle acque, bensì contro lo stesso Di Bello, sospeso addirittura dal servizio per "rivelazione di segreto d'ufficio". E' l'Italia di oggi: il criminale diventa vittima, e chi si batte per la verità si trasforma in carnefice.

"La Basilicata
- scrive Bolognetti - viene presentata sui depliant turistici come un Paradiso naturale. In realtà è deturpata e sventrata da crimini contro il territorio e l’ambiente di ogni tipo. Sullo sfondo, un quadro terrificante di connivenza tra chi commette i crimini e chi dovrebbe sorvegliare". E di continua morte fra i cittadini inermi e inconsapevoli. E' uno dei motivi che hanno indotto l'associazione Libera di don Ciotti a organizzare proprio a Potenza, nello scorso marzo, la giornata nazionale della memoria per le vittime delle mafie. Perché in Basilicata, la criminalità organizzata per uccidere non ha bisogno di sparare.

LA VIDEOINCHIESTA DI CURRENT "RIFIUTI CONNECTION"

Scarica il dossier sull'incidenza tumorale in Basilicata

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