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L’Italia alla ricerca della crescita felice

Negli ultimi giorni si sono incessantemente susseguiti gli appelli di associazioni e sindacati per riportare urgentemente l’attenzione del paese sulle imprese e sul mercato del lavoro, che negli ultimi anni hanno subito una flessione tale da riportare l’Italia indietro di almeno 15 anni sia in termini di Pil prodotto che, soprattutto, in termini di progresso sociale. Parliamo di un salto all’indietro testimoniato anche dai numeri drammatici di una crisi che ogni giorno miete circa 190 imprese-vittima che chiudono i battenti perché non riescono più a fronteggiare costi che, a differenza dei ricavi, sono rimasti quantomeno costanti, se non addirittura aumentati.

Chiaramente, questi terribili risultati appaiono la naturale conseguenza di anni di sperpero e di una trentennale assenza di politiche industriali che ci ha condannato a retrocedere sempre più da “paese industrializzato e manifatturiero all’avanguardia” a “paese vecchio e industrialmente decotto”. Se si vanno poi ad analizzare i costi che un’impresa italiana deve affrontare rispetto alle concorrenti europee, si nota una differenza incredibile a partire dalla tassazione tanto diretta quanto indiretta, che da noi colpisce qualsiasi aspetto della vita di impresa.

A titolo di esempio vi propongo di analizzare due fattori che incidono notevolmente sui costi dell’industria: lavoro ed energia.

1) Partiamo dal lavoro. Gli stipendi italiani per remunerazione sono al 23esimo posto nel nostro continente, subito dopo Spagna e Irlanda. In media ogni italiano guadagna 19.000 euro, cifra ben inferiore alla media Ocse che è di 27.110 dollari. Questo dato, poi, risulta in totale controtendenza se si analizza il costo medio lordo del salario degli italiani, che si pone al sesto posto in Europa con un impatto medio di 27.500 euro. Questi numeri evidenziano il peso del nostro cuneo fiscale che incide sul lavoro per il 47,6%. Di contro la media europea si ferma al 35,3%, a tutto vantaggio delle aziende, dei lavoratori e quindi dei consumi. Inutile dire che ci si aspetterebbe dal Governo Letta un piano di misure immediate per diminuire il peso della tassazione sul lavoro, ingiusta anche eticamente, per liberare energie economiche che potrebbero rilanciare un mercato interno ormai quasi al collasso.

2) Passiamo al tema dell’approvvigionamento energetico. Oggi l’Italia importa circa l’80% di tutto il suo fabbisogno energetico. Per quanto riguarda il gas le forniture estere arrivano addirittura al 90%. Mentre nel resto di Europa si discute saggiamente di Shale Gas, noi continuiamo a temporeggiare colpevolmente rispetto all’esigenza di una politica energetica degna di un paese occidentale, che modernizzi le infrastrutture di produzione e di trasferimento dell’energia. Un ritardo che ci lascia assorbire come consumatori privati un prezzo dell’energia elettrica pari a circa 20 centesimi per kWh, rispetto ad una media europea che è di 17 centesimi per kWh, mentre nei consumi industriali il prezzo dell’elettricità italiana supera anche i 22 centesimi, contro i 15 della media europea.

Potremmo continuare a lungo con la lista dei costi che dobbiamo iniquamente sopportare, soprattutto al Sud, dove ancor di più la burocrazia di questo benedetto paese ci costa miliardi di euro l’anno tra inadempienze, incompetenze e lentezze. Potremmo raccontare mille volte la spirale di follia che determina il fallimento di imprese per eccesso di crediti che lo Stato non onora. E potremmo raccontare ancora oggi di imprenditori che muoiono di tempo rubato da un funzionario che non sa fare il suo dovere, o di lavoratori e disoccupati che non sanno come andare avanti, il tutto mentre i nostri politici pensano a correre dietro la polemica di turno. Non solo, potremmo parlare di ingiustizie collettive e fuori dall’ordinario di una terra che conosce solo l’emergenza e non è in grado di apprezzare la banale normalità che in tanti sogniamo da anni, ma non siamo mai riusciti a raggiungere. Potremmo eccome, ma preferiamo lasciare una parentesi aperta alla speranza che le cose possano presto cambiare, anche perché ormai, come imprenditori, lavoratori e cittadini, siamo messi tutti con le spalle al muro. Quello dell’Italia odierna è l’ultimo treno per ritrovare una nazione unita che punti ad una crescita felice, e non al suicidio socio-economico di massa, con le terribili conseguenze delle quali già oggi in parte tristemente siamo testimoni...

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