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L’Argentina tenta la fuga da New York

Oggi in Argentina è stata approvata una legge che potrebbe consentire al paese di uscire dalla crisi giuridico-finanziaria in cui è sprofondata nel giugno di quest'anno. Dopo il sì del Senato, anche la Camera dei Deputati ha dato il via, con 134 voti favorevoli, 99 contrari e 5 astenuti, alla legge che autorizza il trasferimento, da New York a Buenos Aires, dello sportello di riscossione dei debiti che lo stato argentino deve restituire ai creditori stranieri (tra le sedi alternative indicate c'è anche Parigi). In questo modo il governo tenta di aggirare il blocco giudiziaio imposto da un giudice americano che, di fatto, impedisce di procedere con la restituzione del debito nei termini stabiliti dagli accordi di ristrutturazione.

Dopo il drammatico default del 2001, l'Argentina ha iniziato a restituire gradualmente il suo debito grazie ad un accordo di swap sui bond 2005 e 2010 che ha coinvolto il 93% dei suoi creditori. L'accordo prevedeva una sensibile ristrutturazione del debito, con decurtazioni medie del 65% sul valore nominale. In pratica, aderendo alla proposta, un creditore accettava di riscuotere solo il 30-35% della somma che gli spettava. Per convincere i suoi creditori ad accettare le perdite, il governo aveve dovuto inserire la clausola Rufo, con la quale si impegnava, fino al gennaio 2015, a non offrire migliori condizioni finanziarie a quanti non avessero accettato l'accordo in prima battuta, i cosiddetti creditori “hold out”. E' qui è il problema.

Tra il 7% di irriducibili che non hanno voluto sottoscrivere la ristrutturazione compaiono due hedge fund, l'Aurelius e l'NML, che hanno combattuto una lunga e durissima battaglia giuridica contro il governo argentino per ottenere il rimborso del valore nominale della quota di debito nelle loro mani, pari a circa l'1% del totale. I fondi “avvoltoio” - così sono soprannominati i fondi speculativi che agiscono in questo modo - hanno acquistato dai precedenti titolari una quota del credito, a prezzi stracciati, avviando poi azioni legali per ottenere un rimborso del 100%. Una sentenza, due anni fa, gli ha dato ragione. Il giudice newyorkese Thomas Griesa, il 23 luglio 2012 ha sentenziato che lo stato argentino era tenuto a rimborsare ad Aurelius e NML 1,33 miliardi di dollari, senza sconti. Al contempo, la sentenza impediva a Buenos Aires di onorare gli impegni con i creditori che avevano accettato la ristrutturazione, bloccando i fondi necessari. Nel giugno di quest'anno, in mancanza di un pronunciamento della Corte Suprema sul caso, la sentenza è diventata operativa ponendo a rischio la prima scadenza per il rimborso del debito rinegoziato, fissata per il 30 settembre.

L'argentina si è così trovata davanti ad un bivio doloroso: non pagare i fondi avvoltoi e avviare una procedura di default tecnico che potrebbe avere gravi conseguenze su un'economia già sofferente, oppure sborsare 1,33 miliardi di dollari a favore degli hedge e esporsi al rischio che il 93% di creditori che avevano accettato la ristrutturazione facciano appello alla clausola Rufo e tornino a pretendere la totalità dell'importo. Se questo secondo scenario si concretizzasse l'Argentina si troverebbe a dover restituire 120 miliardi di dollari. Nelle casse dello Stato, però, ce ne sono solo 28.

Per sfuggire alle conseguenze nefaste del duplice scenario il Governo ha dunque proposto una legge che permetterebbe di bypassare la sentenza del giudice Griesa e di sbloccare i fondi per pagare i creditori con cui si è già trovato un accordo, spostando da New York a Buenos Aires – o in alternativa nella capitale francese – lo “sportello” per il risarcimento. La legge, dopo la prima approvazione del Senato, è stata oggi ratificata dalla Camera e adesso si attende di capire se potrà trovare efficacia. I dubbi, però, non mancano.

Difficilmente i creditori stranieri accetteranno di buon grado questo cambiamento e il governo argentino lo sa. Secondo leconomista argentino Pablo Tigani, intervistato da Le Monde, la Presidente Cristina Kirchner, con questo espediente legale, sta semplicemente tentando di allungare un po' i tempi per arrivare al primo gennaio 2015, giorno della decadenza della clausola Rufo. A quel punto, prevede l'economista, il Governo procederà a pagare per intero la quota richiesta dai fondi avvoltoio senza correre il rischio di dover riaprire le negoziazioni con il 93% dei detentori del suo debito estero.

L'annosa vicenda argentina ha riacceso il dibattito sui fondi avvoltoi e sulle regole di gestione del debito pubblico nel rapporto tra stato e soggetti creditori. Quasi in concomitanza con l'approvazione, a Buenos Aires, della nuova legge, martedì scorso l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato, con 124 voti a favore, 41 astensioni e 11 conrari (tra cui gli Stati Uniti), una risoluzione per regolamentare a livello internazionale le procedure di ristrutturazione dei debiti sovrani e per impedire ad una minoranza di creditori di bloccare le procedure di risarcimento. Anche l'ICMA, l'Associazione Internazionale dei Mercati di Capitali che raggruppa i principali gruppi bancari del mondo, si è mossa nella stessa direzione pubblicando un nuovo regolamento per evitare che si ripresenti uno scenario simile a quello argentino.

I fondi avvoltoio potrebbero andare incontro ad un futuro un po' più difficile.

 

Foto: Abayomi Azikiwe, Flickr

 

 

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