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L’Aquila, C.A.S.E., case e casette: speculando sul numero per farne altre

Sebbene dopo il terremoto abbiano costruito tantissimo, si considera infufficiente quanto già ovunque e comunque realizzato. E ciò, non per far finalmente decollare la vera ricostruzione, ma per consentire altre nuove costruzioni.

Questo, oltre le dichiarazioni in TV del Sindaco Cialente e del Ministro Barca, con dati ufficiali.

Nella trasmissione “L’aria che tira – Noi speriamo che ce la caviamo” del 31-01-‘12 su La7, questo dicono:

 - il Sindaco Cialente (dal 05’,12’’): “Sì, purtroppo, [la Ricostruzione n.d.r.] è assolutamente ferma al palo. Diciamo che i 40.000 sfollati della fine del 2009 sono tuttora sfollati: o in abitazioni costruite in modo temporaneo, oppure – pensi – ancora negli alberghi.”

- il Sindaco Cialente (dal 19’,08’’): “Sì, [la Ricostruzione n.d.r.] più che andare nella direzione giusta, non va proprio, neanche sbagliando direzione. Perché non è partita la ricostruzione “pesante”, anche quella “abbastanza semplice”, quella delle case della periferia che sono i grandi condomini di una città, in cemento armato, sui quali si poteva intervenire velocemente. Le conseguenze sono: la prima, una sofferenza dei cittadini: le ripeto, abbiamo festeggiato il terzo Natale ancora negli alberghi e nelle caserme (nella Caserma della Guardia di Finanza degli sfollati) e abbiamo 12.000 persone che usufruiscono dell’assegno autonoma sistemazione, e per le quali lo Stato, ogni giorno, investe [sic] 100mila Euro, cento mila euro al giorno; questa è la prima conseguenza; la seconda, che è kafkiana, è che i soldi per la ricostruzione ci sono, sono fermi presso la Cassa Depositi e Prestiti, in un certo senso sono nel mio cassetto: cioè oltre – credo - un miliardo e mezzo, forse anche qualcosa in più.”

- il Ministro Barca (dal 26’,05’’): … “Però, non definirei “sfollati” … con tutte le critiche che si possono fare alle operazioni C.A.S.E., le persone che vivono oggi nelle case del Progetto iniziale, … è stato un progetto costoso, forse con lo stesso denaro – è stato argomentato – si poteva dare abitazione al doppio delle persone, però le persone che vivono in quelle case non possono essere definiti sfollati.” 

Ad onor del vero, ci sembra che la realtà effettivamente riscontrabile a L’Aquila in questi giorni possa differire assai da quella illustrata dagli autorevoli intervenuti alla suddetta trasmissione, almeno per i seguenti aspetti:

1° - Dai dati qui pubblicati dalla Struttura di Gestione dell’Emergenza (SGE) risulta che, al 31 genn. c.a., nel Comune de L’Aquila non ci sono più le 40mila persone sfollate, ma all’incirca 27.500 persone, così ripartite:

  • 17.287 persone in situazioni alloggiative a carico dello Stato (C.A.S.E., M.A.P., alloggi in affitto agevolato);
  • 9.851 persone con Contributo di Autonoma Sistemazione (C.A.S.);
  • 184 persone in strutture ricettive della Regione Abruzzo (di cui 173 nella Provincia de L’Aquila);
  • 177 persone nella Caserma della Guardia di Finanza a Coppito.

2° - Nel cassetto del Sindaco de L’Aquila ci sarebbe un miliardo e mezzo, ma per la Ricostruzione servono, come risulta nel Piano di Ricostruzione (nuovo simbolo de L’Aquila che era e, si spera, sarà), almeno cinque miliardi: 3,4 solo per il centro storico del capoluogo e 1,5 miliardi per le 49 frazioni.

3° - Giacché ognuna poteva accogliere non più di 80 persone, le 183 case del Progetto C.A.S.E. potevano ospitare 14.640 sfollati. Ad oggi, però, nei 4.449 alloggi di queste case, risultano presenti solo 13.130 persone. Cioè sul totale di sfollati (o, secondo alcuni attenti osservatori, di deportati) iniziali nelle 19 new town disperse in tutto il territorio comunale, ben 1.510 persone non sono rientrate nelle loro case (essendo la ricostruzione delle stesse neppure iniziata), ma risultano semplicemente altrove alloggiate. Vale a dire che il dieci per cento degli alloggi di queste c.a.s.e. sono vuoti. Oppure, se si preferisce, si potrebbe convenire di considerare che il 10% dei 900 milioni di euro utilizzati per la loro costruzione sarebbe stato inutilmente speso. Cosicché, nel novello clima di rigore, di sacrifici e d’attenzione per la spending review, un solerte funzionario (anche ex-esponente dell’Opus Dei ed ex Presidente della Perdonanza Celestiniana), prima d’abbandonare la nave della SGE, sancì il “No C.A.S.E. no C.A.S.”. Un editto emanato per non riconoscere più il contributo d’autonoma sistemazione a coloro che rifiutano d’essere “sfollati” nuovamente negli alloggi vuoti dei c.a.s.e.! In realtà, con la nuova gestione comunale della SGE in atto da tre settimane, la suddetta norma vessatoria è stata applicata su 90 persone che sono state private del C.A.S., dacché sulle 93 considerate, due sono rientrare nei c.a.s.e. ed una nei m.a.p. realizzati anche nel capoluogo.

Se, senza ombra di dubbio, questa è la reale narrazione possibile dell’emergenza abitativa aquilana, ai suddetti amministratori (sedicenti “politici” oppure “tecnici”) possiamo chiedere perché non si curano affatto di proferire affermazioni assai mendaci (Cialente) oppure preconcette (Barca)? E per quale scopo ciò viene fatto in televisione? 

L’attuazione del Piano C.A.S.E. venne accettata dal Sindaco de L'Aquila alla sola condizione di realizzare le nuove costruzioni antisismiche (provvisorie ma "durature" e già ideate dai tecnici di Berlusconi in Protezione civile) "presso le frazioni", cioè prevalentemente lontano dal centro della città. Ovvero, in aree meno appetibili per la speculazione fondiaria. Quindi, le costosissime abitazioni super accessoriate con televisori al plasma risultarono per nulla idonee ad una permanenza prolungata di persone forzatamente allontanate dalle loro dimore molto sinistrate ed inagibili, semplicemente perché i c.a.s.e. erano – e sono - prive d’ogni elementare attrezzatura urbana. Se il Ministro Fabrizio Barca sapesse come l’esistenza delle persone residenti da quasi tre anni in queste “riserve indiane” appare così innaturale ed ancor più inaccettabile per l’assenza di tempi precisi d’un possibile rientro nelle vere dimore, le avrebbe menzionate anziché con un litote (nient’affatto per sfollati) almeno con l’eufemismo (per sfigati) già usato, per un’altra situazione, dal collega di governo di minor età anagrafica. Infatti, a 35.862 persone (circa 2,5 volte in più di quelle insediate nelle c.a.s.e. predisposte dai diversamente sobri Berlusconi/Cialente/Bertolaso) venne permesso di usufruire d’una sistemazione alloggiativa diversa. Probabilmente, questa realtà non sfugge al Ministro del Governo Monti che, dopo l’ex Sottosegretario Gianni Letta, dovrà raccordare le posizioni del Sindaco della città colpita dal sisma con quelle del Governatore della Regione nonché Commissario alla Ricostruzione dell’intero territorio teatro dell’evento tellurico. Quindi, la visione ministeriale potrebbe farsi più precisa e pertinente, magari rifuggendo dal sentito dire e recandosi sul posto, oltre che per vocazione, con occhi ben aperti.

Sicuramente, questa realtà non può sfuggire al Sindaco Massimo Cialente. Ma allora, per quale ragione egli dipinge la situazione attuale in modo non veritiero? Sappiamo solo che, nei giorni pari, egli sostiene l’esistenza dei soldi per la Ricostruzione e, nei giorni dispari, asserisce che i quattrini mancano o sono insufficienti, dopo l’onere dei puntellamenti. Dobbiamo, allora, credere che la descrizione dell’emergenza abitativa attuale, resa sostanzialmente simile a quella di tre anni fa, sia dovuta al voler accentuare un allarmismo per scopi diversi da quelli di destare una doverosa attenzione per la Ricostruzione mancata?

Insistere sul fatto che ci sono ancora persone negli alberghi ed in caserma (senza quantificarne in percentuale ed in assoluto i valori) e ripetere che altre persone costano allo Stato 100 euro al dì (senza indicare il perché), per chi riveste (ed ha rivestito) un certo ruolo nella gestione di questa emergenza appare almeno un po’ fuorviante. Forse, il gridare “al lupo, al lupo”, non serve tanto a ricostruire l’ovile per le pecorelle smarrite, quanto a costruire altre case, altri supermercati, altri capannoni che sono e saranno sempre insufficienti. Giacché così si deve urlare ovunque impera la "cultura della rendita". Laddove quella fondiaria sia in connubio con quella finanziaria. Anche, quando costruire, dove e come prima, non serve più. Semplicemente perché costruire ex novo rende meglio che ricostruire l’esistente.

Per crederci, basterebbe rivedere l’intera bellissima trasmissione di PRESADIRETTA (TERRA VIOLATA) del 29-01-2012 che, dall’inizio al 27° minuto (sui 108 in totale), illustra come “al posto di mettere in sicurezza la terra, la si sta distruggendo”. Realizzando ovunque NUOVE costruzioni prima di recuperare a dovere quelle esistenti anche se danneggiate. Ma soltanto dove e come si deve. Nella salvaguardia delle caratteristiche del suolo e dei vincoli ambientali e di sicurezza. Oltre le ragioni meramente economicistiche e speculative. Orbene, ai margini di questo discorso principale che vale per tutti i territori colpiti dal sisma o dalle alluvioni, siamo propensi a pensare che se Iacona avesse parlato solo de L'Aquila, avrebbe precisato anche altri aspetti. Forse, almeno la convinzione d’un urbanista d'altri tempi che appare inossidabile anche nell’attuale: “Non esiste ragione alcuna per tenere in vita un Piano Regolatore quando diventa indispensabile varare un Piano di Ricostruzione”. Servirebbe solo a tenere (soprattutto durante la campagna elettorale) i piedi in due staffe. Tenderebbe solo a "promettere" una ricostruzione di quanto inserito nel "piano" appena formato (ma solo annunciato, quindi, né adottato né approvato) ed a "garantire" la costruzione certa di tutto quanto risulta prefigurato nello strumento urbanistico vigente (sebbene, essendo del 1975, assai antiquato). Porta, a lasciare costruire subito di tutto per non ricostruire immediatamente quasi nulla. Porterebbe a costruire ancora prevalentemente il nuovo rispetto al poco che si dovrà ricostruire se, dopo le elezioni amministrative locali, cambiasse solo un po’ la direzione del vento.

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