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"Juve o Milan? Meglio il Foggia" del Collettivo Lobanowski

I libri letteralmente divorati (quasi fisicamente, con relativa sfaldatura dei fogli per quelli a stampa digitale con brossura a colla) capitano poche volte. L’ultimo che ricordavo era stato “Il Diavolo e Sonny Liston” di Nick Tosches (un libro straordinario, dove la biografia del pugile mette in faccia al lettore il senso reale, e non solo le categorie, del razzismo, del furore, della povertà e del dolore), prima che mi capitasse in mano “Juve o Milan? Meglio il Foggia” del Collettivo Lobanowski di Foggia (Rainoneeditore), tre autori che scrivono dell’U.S. Foggia dal campionato di serie A 1976/77 a quello di C 2006/07.

Sulle corde della narrativa calcistica britannica e con il nume tutelare Nick Hornby ad indicare la strada, i tre autori che formano il Collettivo Lobanowski hanno tirato fuori un gioiello luminoso e imperdibile della nostra narrativa calcistica contemporanea. Tre voci distinte e per molti versi diseguali hanno messo insieme un racconto a più fili intersecanti, che cattura l’attenzione mandandoti in trance da ultima pagina e giocando soltanto sui fili del ricordo e dell’appartenenza.

Lobanowski 1
scrive della storia più datata dell’U.S Foggia con uno stile di un’asciuttezza barocca (sembra un ossimoro, ma leggendo le sue pagine viene fuori proprio questa idea di troppo e poco allo stesso tempo) meraviglioso. Sugli ingranaggi della sua normale vita di foggiano e ragazzo in quegli anni riesce a buttare nel suo racconto tutto quello che una memoria pulita ha mantenuto come segno e sintomo di passioni: dal China Martini a Carmine Gentile, dalla sorella Nina al terremoto irpino del 1980, da Maurizio Iorio a Leonid Breznev in un percorso che ricalca il Berselli de “Il più mancino dei tiri”, ma che da quest’ultimo si discosta in parte per minore classe, in parte per maggiore capacità di descrivere un tempo vissuto. In questo Lobanowski 1 aggredisce e vince il lettore: il suo farci vivere un percorso di vita magari semplice, spesso molto simile al proprio, in tanti punti poco narrativo eppure di una delicatezza storica che riesce a catapultarti nei tempi descritti e a mostrarti non il senso di quei tempi, ma il loro valore per la persona che si è adesso.

Lobanowski 2, diversamente dal primo autore, non gioca mai di rimbalzo con le sue e nostre emozioni di lettore, le prende di petto e le trascina dove non pensavamo mai di andare a finire con un libretto sul calcio a Foggia. Prendendo parte con una nettezza che al lettore, abituati al melenso “volemose bene” televisivo e soprattutto al sotterfugio strafottente della nostra società, squaderna ogni pregresso avvicinamento al testo, l’autore di questa parte rifiuta le convenzioni da bar, del tipo: Zeman è un profeta che ha estetizzato il calcio oppure quando è morto Brera ho pianto per la scomparsa del genio, buttandoci addosso opinioni sue, personali, incattivite dal pensiero differente, autoreferenziale e congelato della vulgata di paese e della Vox populi nazionale.



Riuscire a suggerirci opinioni sul vivere in società e sulla difficoltà dell’espressione del pensiero individuale, parlando di Codispoti, Burgnich e della trasferta di Avellino, è qualcosa di veramente stupefacente che Lobanowski 2 crea quasi senza volerlo, soltanto grazie ad un talento innato nel discorrere e una forza d’urto devastante delle sue e solo sue opinioni nate chissà come.

Infine Lobanowski 3, che ad una prima e vorace lettura sembra essere l’anello debole, perché si limita al cronachismo appassionato, alle vicende condite dalle storielle di periferia. Ma non è così. Insieme e forse grazie al traino delle voci che lo hanno preceduto, il suo racconto dell’ultima fase dell’U.S. Foggia in serie C è piacevole proprio per quello che è: la storia di un ragazzo che cresce professionalmente e nelle esperienze di vita attraverso lo stare dietro una squadra di calcio, domenica dopo domenica. Il racconto che può sembrare povero di spunti rispetto alla dimostrazione di forza dei ricordi e delle opinioni negli altri due autori, acquisisce invece la sua forza proprio nel riuscire a decodificare con gli occhi di chi vive e sogna nel presente quello che accade, senza forzature di colore eccessive né aneddotica spicciola che ogni giornalista cerca di piazzare in un racconto per renderlo accattivante.

Resta un racconto fatto di piccoli quadri di vita, senza la lode dell’esaltazione cafona né l’infamia della veduta ristretta.
Un libro che davvero consiglio a tutti di trovare da qualche parte e leggere subito.
Una piccola critica finale: signori del Collettivo Lobanowski non abbiate paura di scrivere quello che più vi piace. Non pensiate che per parlare di amore, di una doccia, del mare, del dolore, di un paio di sandali e della vita ci sia bisogno sempre del paravento U.S. Foggia. Siete degli (Lobanowski 3 è soprattutto un giornalista sportivo coi fiocchi a dire la verità) scrittori che possono parlare di tutto quello che la testa fa passare. Non crediate di farla franca con due storielle sulle partite dei rossoneri.

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