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Joyland: i fantasmi del tempo di Stephen King

Una certa nostalgia si è fatta strada, scavando sottili cunicoli, nella mente mai stanca del “re del brivido”. A partire da 22/11/63, per continuare con La leggenda del vento, dolceamaro capitolo extra della saga fantasy de La torre nera, Stephen King ha deciso di non nascondere la malinconia trasmessagli dal trascorrere del tempo. Anzi: vi si è immerso, dando forma a pagine connotate da una maturità semplice, da una saggezza diretta, bagnate da atmosfere vintage e da un vivo senso del ricordo.

Joyland, appena pubblicato in italiano, come sempre, dalla Sperling & Kupfer (pp. 352, € 19,90), si colloca lungo questo percorso in maniera lampante, e per più di una ragione.

Storia di Devin Jones, studente ventunenne alle prese con la prima ferita al cuore - “the deepest”, come recitano detti e canzoni popolari -, l’ultima creazione di King prende il nome dal luogo in cui si svolge la quasi totalità della sua azione: un luna park. Joyland è un rifugio per adolescenti, un’alcova di salvezza e di momentaneo riscatto, proprio come in Adventureland (Mottola, 2009) e Benvenuti a Zombieland (Fleischer, 2009); ma, a differenza di quest’ultimo, senza non-morti putrescenti alle calcagna.

I pericoli da affrontare sono altri e tutti, eccetto uno, esulano dalla sfera del sovrannaturale. Il primo di questi è l’ansia di guarire: la paura del tempo che non passa e non aiuta a sotterrare i segni della delusione prima che il futuro arrivi. Ma c’è anche e soprattutto la difficoltà d’adattamento a un microcosmo chiuso, ad un’inedita realtà sociale e lavorativa, transitoria eppur severa, internamente regolata da un rigido sistema di norme, da riti di iniziazione veri e propri.

King si mostra conscio del sentire giovanile rispetto a un’epoca e a un futuro da lui visti e vissuti in prima persona – i primi anni Settanta – e riesce a dar l’idea, come in parte già aveva fatto scrivendo Cuori in Atlantide, di molte cose: a cominciare dalla pulsante inquietudine di quel decennio, oscillante fra l’incertezza e la sfida, la paura e la rabbia, la ribellione intesa tanto come fuga quanto come coraggio indomito nell’affrontare i problemi della vita e del mondo. Joyland è, sì, un’oasi spazio-temporale dove rifugiarsi e prender fiato dalle ansie incombenti del vivere quotidiano, un luogo che “vende divertimento” e coloriture folk, nonché una fonte di facile guadagno per studenti poco abbienti; è anche, però, il punto focale in cui tutti i nodi vengono metaforicamente al pettine, e dove la reazione agli stimoli deve essere veloce, adeguata, pena l’esclusione dal nuovo contesto e un mesto ritorno a origini ormai troppo lontane e inappaganti.

Il giovane protagonista del racconto si è preso il suo tempo, ma ha da imparare a gestirlo in modo personale, a viverlo da solo. La pausa dalla vita è vita anch’essa, forse più della precedente: il difficile inserimento nella complessa rete di relazioni del posto straniero è fonte d’ansia, di preoccupazione, come di crescita; imparare i “trucchi del mestiere” è un mettersi in gioco nel regno dei giochi. Un tòpos che ha fatto il suo ritorno mediatico in un decennio critico – sebbene in termini differenti – almeno quanto lo furono i Settanta: il nostro. E che King si diverte ad intrecciare con narrazioni parallele, di peso uguale o minore, per conferire alla scrittura la sua inconfondibile aura magica.

Perciò, dopo l’acuta e colorita caratterizzazione sociale della comunità di Joyland, dei suoi codici – la “parlata” tipica degli addetti ai lavori – e dei suoi personaggi, King rientra nelle vesti di re del brivido scoccando la freccia del mistero, unico spunto di soprannaturalità presente nel libro. La vicenda di Linda Gray, ragazza trovata morta nel tunnel dell’orrore del parco tempo addietro, il cui assassino non fu mai identificato, rappresenta un pretesto tanto per il protagonista della storia quanto per chi ne sfoglia l’avventura. Il fantasma di cui è vociferata l’esistenza è un deus ex machina che spinge Devin Jones a procrastinare la partenza e il lettore ad addentrarsi con curiosità fra le sue gesta, ad interessarsi ai rapporti intessuti dal ragazzo con gli altri abitanti del luogo, fisico e narrativo, finora descritto.

Viene così realizzata una commistione di realismo e di fantastico, di storia di vita e d’irrealtà per certi versi vicina a quella del precedente capolavoro Il miglio verde – sebbene da questo distante anni luce per intensità e densità semantiche.

Al pari di quello e di Duma Key, da cui Joyland riprende simbolicamente l’ambientazione della spiaggia come luogo di incontri decisivi e di sedimentazioni mnemoniche, quest’ultima opera di King è la messa in forma scritta di una transizione, di una crisi e dei suoi traumi, ma anche dei suoi effetti positivi in termini di comprensione. La crescita del singolo è mostrata nella veste di un travaglio costituito da riflessi e da ripercussioni attuati tramite e a ridosso degli altri individui. E se ne fa testimone l’io narrante, con i suoi continui salti da un tempo all’altro, dalla matura visione a ritroso di un sessantenne fino a quella, confusa e in medias res, del ventenne travolto dagli eventi raccontati.

La poetica kinghiana del ricordo, dell’“ultima volta” che si identifica solo a posteriori, dei distacchi silenziosi della vita; tutto questo è infuso in Joyland con un’insolita e lineare pacatezza, con la calma del saggio che sa di cosa parla e vuole solo motivarne l’espressione. Così il thriller diventa mastice che tiene insieme il discorso e si scioglie, frettolosamente, quando il discorso ha esaurito il suo dire.

Perché, come fa notare giustamente l’editore americano Charles Ardai: “Joyland è un giallo deduttivo [whodunit]” che reca nel cuore “una storia sul diventare grandi e diventare vecchi, e su coloro che non ci riescono perché la morte sopraggiunge troppo presto”. Ed è di fronte a questa dichiarazione d’umana impotenza che la soluzione del mistero, come uno spettro, scompare, lasciando il posto alla voce più intima di King, alla sua anima romantica, spogliata da ogni genere.

 

di Francesca Fichera

 

 

Letture

Stephen King, Cuori in Atlantide, Sperling & Kupfer, Milano, 2000.

Stephen King, Duma Key, Sperling & Kupfer, Milano, 2008.

Stephen King, Il miglio verde, Sperling & Kupfer, Milano, 2008.

Stephen King, 22/11/63, Sperling & Kupfer, Milano, 2011.

Stephan Lee, Stephen King novel 'Joyland' officially announced, EW.Com, 30/05/2012

http://shelf-life.ew.com/2012/05/30/stephen-king-joyland-hard-case-crime/

 

Visioni

Greg Mottola, Adventureland, 2009.

Ruben Fleischer, Benvenuti a Zombieland (Zombieland), 2009.

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