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Jackson e dintorni

Nessuno può dubitare della enorme importanza che negli ultimi 40 anni ha avuto il consumo di massa della musica nel formare la “cultura” dei giovani e cambiare i loro comportamenti e le loro più intime convinzioni.

Basterebbe osservare come la musica rock ha agito nello sbloccare i corpi irrigiditi dalle formalità e dalle regole della musica classica e melodica, liberando una gestualità personale, una sensualità libera da abiti e modelli costrittivi, attuando una rivoluzione sessuale ed estetica epocale, attingendo a ritmi di origine africana che hanno in sé profonde pulsioni di liberazione e di sensualità.

Purtroppo accanto a questa valenza culturale positiva, criticata dai preti come “musica del diavolo”, perché superava tutti i modelli sessuofobici imposti dalla chiesa, ben presto si è accostato, il consumo di droghe, pratica suggerita dai comportamenti personali delle rockstar, dai contenuti delle canzoni (sex-droug-and rock and roll) e dalle mode nate nelle suggestioni dei grandi concerti che veicolavano il concetto che musica e sballo vanno insieme. 

Dalla fine degli anni 60 in poi questo grande fenomeno della rivoluzione musicale è stato preso saldamente in mano dalla grande industria anglofona, che oltre a macinare profitti economici, si è resa conto che la piacevolezza delle droghe, la rivoluzione sessuale, le luci sfolgoranti dei grandi concerti, portavano i giovani sul terreno dell’edonismo e del consumismo, abbandonando per sempre impegno politico, lucidità, razionalità.

Nello stesso periodo storico, un altro grande fenomeno sociale di massa cambiava completamente pelle, lo Sport, che veniva piegato alle esigenze del capitale che ne faceva uno sfolgorante spettacolo, introduceva il denaro come sinonimo di successo, favoriva l’uso di sostanze chimiche per vincere ad ogni costo, e così fiancheggiava il modello musicale, ingabbiando la maggior parte dei giovani nella sua “cultura”.

Sfido chiunque a negare che nella formazione mentale delle ultime generazioni vi siano elementi di maggior peso delle suggestioni musicali e di quelle sportive.

La vecchia e giusta identità classista, che divideva il mondo tra sfruttatori e sfruttati, fu sgretolata da quella “omologazione culturale” che già Pasolini aveva percepito, ad opera di chi puntò sulla emozionalità, sul consumo di droghe, sul sesso, sull’avere invece di essere, sul consumismo, con il potere dei poteri che è sempre stato quello della proprietà dei mezzi di informazione.

La prova provata di queste affermazioni è che il potere politico in Italia è stato preso da un monopolista dei media e contemporaneamente presidente di una grande società di calcio.

Arrivando a Jackson e alla sua triste fine, non credo che lui abbia milioni di fans per la sua voce o per la sua presenza scenica. Credo invece che la cosa sia semplicemente identitaria, ossia che milioni di persone si identificano nella sua personalità disturbata, triste, che non vuole essere nero e che pretende di diventare bianco con innumerevoli interventi chirurgici, quindi un personaggio che sfida e cambia la natura, un personaggio dalla sessualità ambigua ed indefinita che si lascia la porta aperta a qualunque esperienza, una persona ricchissima e spendacciona, ma che da tanti miliardi non ha ricevuto felicità.

La musica, i soldi, i farmaci e le droghe di cui faceva uso, le accuse di pedofilia, le sale operatorie per diventare bianco, non sembrano il vissuto di una persona felice e il vero problema è capire come e perché milioni di persone si identifichino con questo personaggio se non arriviamo alla conclusione che vi sono milioni di persone irrazionali, infelici, sbandate, impasticcate, che trovano l’unico punto fermo in chi gli assomiglia.

Ho appreso di alcuni suicidi in suo nome e questo rafforza in me la convinzione che la musica c’entra fino ad un certo punto, e la ricerca è quella di trovare una identificazione nella sensibilità di un personaggio famoso nel totale deserto dei punti di riferimento e di valori.

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