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Italia assassina. Rapporto UE rivela: "Ha lasciato morire 63 migranti in mare"

È il 26 marzo del 2011. Sopra il Mar Mediterraneo elicotteri e caccia da guerra della Nato volano verso la Libia per la caccia a Gheddafi. Nel frattempo, proprio dalle coste di Tripoli, un barcone con 72 migranti a bordo salpa alla volta di Lampedusa. Con la guerra in atto il controllo delle coste da parte delle autorità libiche salta del tutto e per migliaia di persone è l'occasione della vita per raggiungere l'Europa. Non solo per assicurarsi un futuro decente, ma anche per fuggire dai bombardamenti, che intanto si sono fatti incessanti. Anche l'Italia, che con la Libia aveva avuto un rapporto di stretta collaborazione, partecipa alle operazioni belliche: sia con frequenti ricognizioni aeree, sia offrendo le basi alla partenza dei bombardieri.

Tra i 72 viaggiatori del piccolo battello ci sono 50 uomini, 20 donne e due neonati. Vengono imbarcati quasi con la forza da trafficanti di esseri umani senza scrupoli. L'imbarcazione è piccola: per ricavare maggior spazio i "contrabbandieri" riducono al minimo le scorte di cibo, carburante e acqua: ogni centimetro può essere utile per "battere cassa", intascare il denaro del viaggio. 

I dettagli del viaggio sono raccapriccianti. Dopo appena 18 ore di navigazione il carburante finisce. La nave è in mare aperto, non si vede la terra, il "capitano", un eritreo che vive in Italia, chiama soccorsi. Il primo Paese a riceverli, obbligato a intervenire, è l'Italia. Dopo poche ore un elicottero volteggia sulle teste delle 72 persone e le lancia dei biscotti e qualche bottiglia d'acqua. Infine promette che ripasserà presto per soccorrerli. Non accadrà mai.

Passano i giorni, continuano le richieste di soccorso. Nel frattempo le già misere scorte terminano del tutto. Due navi da pesca navigano poco distante dalla barca alla deriva. Passano, guardano il mucchio di carne nera, indovinano gli sguardi stremati. E se ne vanno. I giorni trascorrono. Al decimo la metà dei 72 "passeggeri" è morta. Le richieste di soccorso continuano ed è certo che, sin dall'inizio, il messaggio disperato di aiuto sia arrivato alle autorità competenti, comprese quelle italiane. Quelle libiche infatti non possono far nulla a causa della guerra.

Anche una portaerei transita vicino al vascello. I sopravvissuti, ormai pochi e allo stremo delle forze, vedono chiaramente marinai affacciarsi e guardarli. Distinguono i binocoli e le macchine fotografiche. I marinai della portaerei li immortalano come animali da circo, parlottando tra loro. Finito il "tour turistico" la portaerei non si degna di soccorrerli, ma tira dritto e se ne va. 

Nei pochi che riescono a sopravvivere la speranza lentamente si spegne. Sono soli, in mare aperto. La fame e la sete li sta decimando. Dopo 15 giorni, scortati da una nave, riusciranno a raggiungere le coste libiche. Dei 72 salpati per l'Italia, 62 sono morti. I dieci sopravvissuti vengono immediatamente arrestati. Uno di loro morirà presto in gabbia a causa della mancanza di medici. Gli altri nove riusciranno a fuggire dopo giorni di galera. 

Questa storia non è il frutto della fantasia cinica di un romanziere. La ha riportata un rapporto diramato ieri dalla Commissione Europea. Sotto trovate il documento integrale, in lingua inglese.

"Secondo una Commissione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) - si legge nel documento - la mancata reazione alle richieste di soccorso e l’“assenza di responsabilità” per la ricerca e il salvataggio fanno parte di una “serie di mancanze” che hanno portato alla morte di 63 persone in fuga via mare dal conflitto in Libia, nel corso di una tragica traversata durata 15 giorni nel mese di marzo 2011".

 


Il rapporto è stato realizzato in particolare da Tineke Strik (Paesi Bassi, SOC) ed è stato presentato ieri a Bruxelles dalla Commissione migrazioni, rifugiati e sfollati. Le conclusioni affermano che "la responsabilità di queste morti è segnatamente imputabile alle autorità italiane incaricate delle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, alla NATO, ai paesi le cui navi transitavano nella zona in questione, alle autorità libiche e ai trafficanti senza scrupoli".

I dettagli della disgrazia sono stati raccontati dai nove sopravvissuti. La Commissione d'inchiesta ha ritenuto credibili le loro testimonianze. "Sono state perse - rivela il dossier - diverse occasioni di salvare le vite delle persone a bordo dell’imbarcazione”. 

Il dettaglio del tragitto effettuato dall'imbarcazione è nell'illustrazione in basso. Il documento invece ricostruisce tutta la sequenza dei 15 giorni di deriva.

Con la lettera A è indicato il punto in cui la barca si è fermata doppo 18 ore di viaggio. Il B indica il luogo in cui l'elicottero ha avvistato la barca, lanciando biscotti e acqua. Sempre nel medesimo punto il telefono satelitare del "comandante" è finito in mare. La lettera C indica il raggio entro il quale la nave si è mossa (8 miglia nautiche) dopo la fine del carburante. La lettera D, invece, specifica il luogo in cui la barca, ormai alla deriva e spinta dalle correnti e dai venti, è stata recuperata dopo 15 giorni. 

 
Una lettera del Comando Nato datata 27 marzo 2012 (sotto il documento) accusa le autorità italiane di non aver dato seguito alla richiesta di soccorsi pervenuta, specificando che la nave più vicina all'imbarcazione di migranti era l'italiana Borsini.

Dopo la condanna per i respingimenti di circa un mese fa, un'altra pesantissima accusa per l'Italia, giudicata prima responsabile per la morte di 63 migranti in mare aperto ai quali sono stati negati i soccorsi. Le altre forze Nato, tuttavia, non possono scaricarsi di ogni responsabilità, visto che sarebbe stato impossibile, nel "via vai" di navi, aerei ed elicotteri verso la Libia, non accorgersi della barca di migranti alla deriva. Il Governo Italiano prenderà provvedimenti? Verrà fatta chiarezza o tutto, ancora una volta, finirà nel dimenticatoio? La Commissione Europea ha stimato che ben 1.500 sono i migranti morti nel Mar Mediterraneo nel 2011.

 

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