Israele e lo scontro per l’egemonia nel mondo islamico
Piccole ricostruzioni storiche.
Il potere di interdizione svolto da Hamas nei decenni ha avuto almeno due conseguenze che, con il senno di poi, potremmo definire catastrofiche: il rifiuto di Arafat nel 2000 a un accordo con l'ultimo governo israeliano a guida laburista (rifiuto che indusse un ministro palestinese, Nabil Amr, a scrivere nel 2002: "No, non ci stiamo comportando onestamente, perchè oggi, dopo due anni di spargimento di sangue, chiediamo esattamente ciò che all'epoca abbiamo respinto").
A seguire poi il rifiuto di Abu Mazen alla proposta del governo Olmert nel 2008.
Dopo oltre trentacinque incontri iniziati subito dopo la guerra del Libano del 2006, la trattativa giunse nel 2008 a una proposta che accoglieva in gran parte le richieste palestinesi, compresa l'internazionalizzazione della città vecchia di Gerusalemme e il "ritorno" di un numero simbolico di profughi, oltre naturalmente al ritiro israeliano dal 96% del territorio della Cisgiordania (con compensazioni territoriali per gli insediamenti maggiori inglobati da Israele) e al collegamento stradale esclusivo tra Cisgiordania e Striscia di Gaza.
Solo dopo quest'ultimo rifiuto - ed è lecito supporre che fu in conseguenza di esso - in Israele si è imposto in via continuativa il governo Netanyahu, la cui unica concessione reale ai palestinesi è stata l'accettazione del piano di spartizione elaborato da Jared Kushner per conto di Donald Trump nel 2020 (anch'esso rifiutato da Abu Mazen).
Hamas, come è ormai noto, non accetta trattative con Israele (salvo tregue tattiche strumentali). Basta leggersi il suo statuto. Il suo fine ultimo è un conflitto escatologico che vedrà la scomparsa della "entità sionista" fosse anche alla fine dei tempi. Il suo peso politico, già notevole alla fine del secolo scorso, induce a pensare che fu proprio il movimento islamista a impedire ai leader dell'ANP, di risolvere una volta per tutte il contenzioso territoriale con Israele. Tanto quanto il Supremo Comitato Arabo degli anni Trenta impedì la soluzione partitoria proposta da inglesi (1937) e Onu (1947) in successione.
Questa ideologia non disposta ad accordi è inestirpabile. Ma la struttura politica e militare di Hamas lo è, anche se a un prezzo altissimo per la popolazione civile di Gaza dietro e sotto la quale i miliziani islamisti si continuano a nascondere.
Benché l'ultimo rapporto Onu, pubblicato l'8 novembre 2024, affermi che dopo un anno di guerra le vittime accertate e verificate a Gaza siano solo 8.119, è ipotizzabile che il numero reale alla fine delle verifiche sarà molto più alto e vicino forse a quelle decine di migliaia che il Ministero della Salute di Gaza (Hamas) comunica, con sospetta precisione, giorno dopo giorno.
Sulla condotta della guerra, sulla ventilata accusa di genocidio, su eventuali crimini contro l'umanità indagheranno le Corti dell'Aja (sia la Cpi che la Cig) così come, è ipotizzabile, la stessa magistratura israeliana, capacissima, quando ne è accertata la colpevolezza, di mandare in galera anche i propri premier (a differenza di tanti altri paesi).
Detto questo, gli esiti dello scontro in atto saranno verificati in un prossimo futuro. Se, come sembra, Hamas uscirà dalla guerra – che ha voluto e provocato – seriamente ridimensionata (oltre che isolata) è possibile che la questione palestinese si avvii verso una qualche soluzione definitiva.
Israele può uscire dall'isolamento internazionale non solo con il rinnovato appoggio degli USA di Trump, ma anche con il refresh degli accordi di Abramo, sempre più urgenti visto il caos che si è determinato in Siria a seguito delle difficoltà di Hezbollah e dell'Iran.
Dal canto loro Turchia, Russia e Iran si avviano a uno scontro diretto, benché tramite i rispettivi alleati locali. Pericoloso proprio perché potrebbe trasformarsi in qualcosa di diverso e devastante.
L'Arabia saudita (che, detto per inciso, è il secondo importatore di armi al mondo) per ora non si espone. Ha tutto l'interesse a vedere indebolito l'Iran, ma potrebbe optare per un qualche accordo con i turchi (nonostante le velleità di egemonia sul mondo sunnita che sembrano mettere le due potenze regionali su un piano di conflittualità) determinando un nuovo Asse della Resistenza oppure decidere di incrementare gli Accordi di Abramo con Israele, benvisto dagli Usa, insieme con Egitto e Giordania.
Le opinioni pubbliche arabe non ne sarebbero certo contente (tantomeno dopo Gaza), ma le esigenze forti di un nuovo equilibrio in tutto il Medio Oriente potrebbero suggerire questa opzione piuttosto che un accordo arabo-turco tendenzialmente propenso a una nuova e molto pericolosa forma di opposizione allo stato ebraico.
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