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Io non sto con Dunga

Io non sto con Dunga

Si fa un errore di stima quando si usa la famosa espressione: “Nel nostro paese siamo 50 milioni di CT dell’Italia”. Questo è in parte falso, perché oltre all’Italia siamo sul pezzo anche per le altre 31 squadre qualificate e per un altro numero imprecisato di nazionali a cui andrà meglio la prossima volta.
 
Proprio per questo motivo, dopo aver parlato di Maradona e Argentina, mi sembra giusto parlare anche di Dunga e Brasile, con i 23 sotto mano. Se Maradona, per me, ha motivi più che validi per le sue scelte, Dunga ha lippianamente chiuso le prospettive del suo calcio, portandosi appresso i fedelissimi, tutti usurati da campionati pessimi (vedi Kakà) o faticosi (vedi Maicon). Il punto di partenza è che il Brasile ha la difesa più forte del mondo. E su questo magari non ci piove, ma puntare tutto sull’arrocco difensivo, previo golletto da assicurare, in Sudafrica non può durare.
 
Gli schermi difensivi sono addirittura due, Gilberto Silva e Felipe Melo, lenti ogni giorno di più e faticosamente capaci di registrare qualche passaggio che faccia guadagnare campo. Tra gli 11 è obbligatorio l’inserimento di Ramires, ma non c’è comunque il regista che modera il gioco. Le mezzeali dovrebbero essere il fiore all’occhiello: Elano, quest’anno involuto sia nella fase di recupero che in quella di inserimento, Kakà, pubalgia o non pubalgia, con il passo stanco di chi ha già accelerato troppe volte, Robinho, lunatico come i suoi dribbling che in Europa non hanno fatto proseliti.
 
Un goccio di brasilianità nel motore totalmente europeo di questa squadra ci doveva essere e uno della nidiata Under 21 (Giuliano, Erick Flores o uno ancora più attaccante come Douglas Costa) poteva farsi il viaggio. L’attacco è completo ma nessuno quest’anno ha fatto sfracelli.
 
E poi c’è ancora un altro appunto, che molti contesteranno: per come è costruita la squadra e per il tipo di calciatori che giocheranno titolari a centrocampo, il non aver portato Ronaldinho è il più grande errore di Dunga.

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