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"Io non posso dimenticare". Perché Ambrosoli non poteva commemorare Andreotti

L'11 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli, avvocato incaricato di liquidare la Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona, viene assassinato a Milano da un killer della mafia su mandato dello stesso Sindona, criminale, piduista ed uomo di fiducia dell'allora presidente del consiglio Giulio Andreotti

Il 9 settembre 2010 quest'ultimo, in un'intervista a Giovanni Minoli durante il programma "La storia siamo noi", dichiara che Giorgio Ambrosoli "è una persona che, in termini romaneschi, se l'andava cercando".
 
Il 7 maggio 2013 il consiglio regionale della Lombardia commemora la morte del Senatore Andreotti con un minuto di silenzio. Il consigliere e coordinatore del centrosinistra Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, lascia discretamente l'aula
 
Basterebbe mettere in fila questi tre avvenimenti per rendersi conto che la polemica, che infuria da ieri, non ha motivo di esistere. Le frasi di Roberto Maroni ("Non è stato un gesto elegante nei confronti di un politico che ha segnato la storia d'Italia"), o della pidiellina Lara Comi (protagonista di uno scontro in tv con Massimo Cacciari) purtroppo non sono "scandalose", se non per la scandalosa ignoranza che denotano. Sono le frasi di due persone che non conoscono la storia d'Italia. Che non sanno, evidentemente, chi fosse Giorgio Ambrosoli, perché sia stato ucciso, perché viene considerato, unanimemente, "un eroe"
 
È' morta una persona", afferma Lara Comi, visibilmente scossa dallo sfogo di Cacciari che le dà dell'ignorante. Non è morta una persona; ne sono morte due. Una, nel 1979, a 45 anni, dilaniata da 4 colpi di pistola sparati a bruciapelo mentre faceva il proprio dovere. L'altra, nel 2013, a 94 anni, nel proprio letto, con una fedina penale resa immacolata da prescrizioni e insufficienze di prove. 
 
Ha ragione Cacciari: "Si informino". Leggano un solo libro sulla recente storia di questo Paese. E non necessariamente "Qualunque cosa succeda", il libro che Umberto Ambrosoli ha scritto su suo padre, che pure li aiuterebbe a capire molte cose. Leggano almeno - se i libri sono troppo démodé - l'intervista che Ambrosoli figlio a rilasciato oggi a Repubblica. Basta quella, da sola, a spiegare un gesto che si vorrebbe far passare per irrispettoso, mentre davanti al quale bisognerebbe provare un enorme rispetto. Ed anche, magari, un po' di vergogna.
 
E quindi, Ambrosoli: come lo risolve questo conflitto tra l'uomo e l'istituzione?
 
"Non è una scappatoia: le istituzioni sono fatte di persone e quindi, nonostante tutto il rispetto dovuto davanti alla morte di una persona, nonostante sia il primo a ritenere giusta la commemorazione di un uomo delle istituzioni, io non posso dimenticare cosa ha rappresentato Andreotti nella storia di mio padre Giorgio".
 
L'ha fatto per onorare la sua memoria?
 
"Ma caspita, l'ho fatto anche per me stesso. Ho un dovere nei confronti della mia, di coscienza. Non posso dimenticare quello che è stato soltanto per un ipotetico dovere istituzionale. Il comportamento che, per sua stessa ammissione, Giulio Andreotti ha avuto nella vicenda che ha condotto, in ultimo, alla morte di mio padre, non dice tutto di lui. Può avere fatto cose meravigliose nella sua vita. Ma è chiaro che per me quella conta, quel lato oscuro che ho vissuto sulla mia pelle".

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