• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Ambiente > Intervista a Ganapini: il dissesto idrogeologico in Italia, come prevenire (...)

Intervista a Ganapini: il dissesto idrogeologico in Italia, come prevenire le tragedie

Dopo Roma, la Liguria, l’Elba, Napoli, anche la Sicilia è andata ko a causa di una stagione di precipitazioni eccezionali che ha trovato il Paese impreparato. L’Italia è impotente davanti agli effetti del cambiamento climatico? C’è stata una sottovalutazione del rischio idrogeologico che rischiamo di pagare a caro prezzo nei prossimi anni?

Abbiamo posto alcune domande a Walter Ganapini, scienziato italiano, membro onorario dell’Agenzia europea dell’Ambiente.

Ganapini, le precipitazioni di quest'autunno hanno un carattere del tutto eccezionale, secondo statistiche e meteorologi. Può essere un primo sintomo tangibile del cambiamento climatico? Bisogna dedurne che, se il trend si confermasse nei prossimi mesi e anni, l'Italia sarebbe del tutto inadeguata a fronteggiarne le eventuali conseguenze?

“E' interessante notare che quello che succede in Italia e in Europa -ha di recente spiegato Connie Hedegaard, danese, Commissaria Ue al Cambiamento climatico- le condizioni globali stanno cambiando e, avvertono da anni, ne derivano precipitazioni più abbondanti e frequenti, alluvioni, fenomeni estremi. Le previsioni si stanno avverando".

I segnali più volte lanciati dall’ambientalismo, e confermati dalle istituzioni scientifiche coordinate dalle Nazioni Unite, circa gli effetti irreversibili ed estremi del cambiamento climatico globale in atto, sono rimasti inascoltati dai potenti. In Italia è purtroppo dato di riscontrare quasi ovunque gli effetti della scarsissima cultura della manutenzione del territorio. Basta e subito, quindi, con l’Italietta dei condoni.

Sempre la Hedeegard , alla domanda "L'Italia è in regola?", ha risposto: "Ognuno deve fare ordine in casa propria, valutando le minacce e le linee di intervento. Secondo le più recenti rilevazioni della Agenzia Europea per l'Ambiente l’Italia non lo ha fatto".

Roma, Napoli, l'Elba. Lo Stivale è andato in crisi da nord a sud. Esistono fattori comuni in ciò che è accaduto e in ciò che non ha funzionato, al di là delle differenze ovvie fra realtà metropolitane (e non) lontane fra loro centinaia di chilometri?

In Italia moltissimi sono gli agglomerati urbani cresciuti allo sbocco di valli (con a monte dissesto, abbandono ed incendi boschivi) caratterizzate da interventi di collettamento e intubamento dei corsi d'acqua di fondovalle per accrescere il potenziale insediativo, a vario titolo, in tali aree.

Spesso i calcoli progettuali delle sezioni di tali collettori non hanno considerato come, per la natura prevalente del nostro suolo collinare e montano, le piene non possano ritenersi costituite da sola acqua fluente, bensì da un "debris flow" (in gergo), un flusso eterogeneo di densità variabile, includente tronchi, detriti, rifiuti che riducono sensibilmente la sezione di deflusso. In tali condizioni, con grande facilità i tubi vengono a otturarsi, costringendo il "debris flow" a fuoruscire e riconquistare la valle secondo le modalità storiche, se non con maggiore pervasività.

Se lungo il ritrovato cammino "naturale", il "debris flow" trova barriere costituite da edifici e insediamenti, il danno si fa ingente così come il rischio di perdita di vite umane. Per tentare di mitigare il potenziale impatto delle esondazioni sugli abitati, in più luoghi, in passato si provvedeva a realizzare briglie a monte ed ogni altra azione manutentiva e di pulizia necessaria .

Oggi, purtroppo è dato di riscontrare quasi ovunque che la scarsissima cultura della manutenzione presente nelle Amministrazioni italiane ha fatto sì che tali opere ed azioni non vengano più eseguite.

Si sa che dalla Valtellina alla Sicilia si deve procedere subito a una ricognizione dettagliata del rischio paventato, per dare vita a un programma urgente di manutenzione e riassetto; 212 Comuni della Campania su 551, ad esempio, presentano rischio da dissesto idrogeologico con effetti noti come "colata di fango" potenzialmente simili a quelli registrati a Giampilieri (Messina) e, se al rischio frana si associa quello esondazione, i Comuni di cui prendersi cura divengono 464. Ancora , non si può dimenticare il Rapporto con cui, nel 2000 , l’allora efficiente Autorità di Bacino del Po calcolava in 14.000 miliardi di vecchie lire (circa 7 miliardi di Euro) l’impegno di risorse necessario per eliminare fenomeni noti di dissesto che, in area padana , potessero generare perdita di vite umane (stima che coincide con quella relativa ai costi per la eventuale realizzazione del ponte sullo Stretto)”.

Un discorso a parte lo merita la Liguria, per la gravità del bilancio in termini di sacrifici di vite umane e di danni, sia nelle Cinque Terre che nel capoluogo, Genova. In questo caso il fronte dei critici è diviso: alcuni parlano di caratteristiche del territorio che renderebbero assai difficoltoso mettere in campo contromisure davvero efficaci, altri accusano la cementificazione selvaggia. Lei come la pensa?

I centri abitati delle Cinque Terre , Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore, sono stati riconosciuti dall'Unesco, nel 1997, Patrimonio Mondiale dell'Umanità. E allora come mai si è verificato il disastro idrogeologico del 25 ottobre scorso che ha interessato rovinosamente un’area di circa 10 x 40 Km dalla costa tirrenica fino allo spartiacque appenninico? Fino al secolo scorso, finché ha prevalso il genio ingegneristico contadino, gli abitati erano separati dagli alvei dei torrenti sviluppandosi in destra e sinistra orografica.

Poi è arrivata la “modernità”, l’epoca delle comodità, dello sviluppo economico… Ingegneri non contadini hanno pensato bene di coprire gli alvei torrentizi per ricavare, al di sopra, una comoda strada di penetrazione, spesso l’unica strada dell’abitato. Grazie a questi interventi sono state create le premesse per il disastro del 25 ottobre scorso. Certamente la pioggia caduta è stata tanta, troppa per poter essere assorbita dal terreno e smaltita dagli alvei coperti.

Si innescano fenomeni erosivi diffusi e conseguenti frane che coinvolgono enormi volumi di terreno e di substrato alterato sradicando anche gli alberi d’alto fusto che insieme con detriti vari e massi si trasformano in pochi minuti in colate detritiche e flussi fangoso-detritici velocissimi (da 30 a60 km/hin relazione alla morfologia della valle e degli alvei strada). Immancabilmente i flussi veloci colmano la parte coperta dell’alveo, ostruendola in parte con tronchi e detriti, per cui le strade sovrastanti si trasformano improvvisamente in torrenti impetuosi che travolgo autovetture e tutto quello che si trova lungo la loro strada.

Secondo il prof. Franco Ortolani, ordinario di Geologia, direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio all’Università di Napoli Federico II "l’evento del 25 ottobre scorso ha evidenziato che i corsi d’acqua (alvei-strada e fiumi) necessitano di sezioni fluviali di gran lunga superiori a quelle che l’ingegnere non contadino gli ha forzatamente imposto per creare i presupposti di una antropizzazione e urbanizzazione rispettosa solo delle leggi fatte dall’uomo ma non di quelle della natura”.

A Genova sotto accusa ci sono le autorità e il mancato allarme alla popolazione, almeno in termini tali da evitare il dramma che s'è verificato. Le istituzioni, fra le altre cose, hanno replicato che gli avvertimenti dei tecnici non lasciavano presagire una situazione come quella alla quale abbiamo poi assistito. Le procedure della pubblica amministrazione sono sufficienti per prevenire morti e feriti, di fronte ad alluvioni di questa violenza?

E’ evidente che occorre una nuova organizzazione in grado di fare scattare un sistema di allarme idrogeologico immediato che deve essere attivato nelle aree urbane e nel territorio interessato da infrastrutture di importanza strategica dopo pochi minuti che i vari pluviometri distribuiti sul territorio hanno iniziato a registrare una pioggia eccezionale tipica dei cumulo nembi.

Un problema di strategica importanza è costituito dalla necessità di trattenere l’enorme volume di detriti che viene trasportato verso valle lungo gli alvei causando, spesso, il totale intasamento degli alvei stessi e delle strade nell’area abitata. Lungo le aste torrentizie, a monte dell’abitato, possono essere realizzate adeguate briglie selettive, naturalmente con piste di accesso per la necessaria e periodica rimozione dei detriti, capaci di trattenere ciascuna alcune migliaia di metri cubi di detriti e tronchi d’albero.

Altro problema da risolvere è evitare che gli autoveicoli parcheggiati, di solito, a monte dell’alveo vengano trascinati dai flussi e trasportati fino all’imbocco degli alvei coperti e lungo la sovrastante strada causando seri problemi per l’incolumità dei cittadini e danni ai manufatti e agli esercizi commerciali dell’area urbana. I parcheggi devono essere vietati lungo le strade in prossimità degli alvei e ubicati in posizione sicura rispetto alle inevitabili esondazioni dei flussi.

Un ulteriore tema, da risolvere, è rappresentato dai gravi danni che talvolta i flussi detritici causano ai primi manufatti ubicati nella parte alta degli abitati dove l’alveo si immette nell’area abitata, sono quelli più esposti all’impatto di blocchi rocciosi e di tronchi d’albero che possono sfondare le pareti esterne e provocare una escavazione alla base delle fondazioni.

Lo smantellamento della copertura degli alvei non risolverebbe i problemi dei danni ai manufatti e alle attività economiche dal momento che gli eventi idrogeologici causati dal transito dei cumulo nembi raggiungono potenze eccezionali.

Secondo il prof. Ortolani, l’unica soluzione sarebbe l’abbattimento di alcune file di costruzioni confinanti con l’alveo in modo da ripristinare una adeguata sezione torrentizia in grado di smaltire in sicurezza le portate di acqua, fango, detriti e tronchi d’albero che sistematicamente si innescano nelle aree soggette al transito dei cumulo nembi”.

Il capo della Protezione civile con alcuni interventi sulla stampa ha sottolineato che, oltre alle autorità, è la popolazione a dover acquisire un maggior grado di consapevolezza di ciò che sta avvenendo. Questa consapevolezza c'è, nella società civile, o troppi anni di sottovalutazione delle problematiche ambientali hanno disabituato i cittadini ad essere sensibili e preparati su questo piano?

Per ora si può solo migliorare il sistema di controllo degli eventi piovosi con una previsione e conseguente sistema di allertamento e messa in sicurezza dei cittadini. La diramazione di bollettini è inutile se il potenziale pericolo non viene fatto assimilare dai cittadini che devono essere informati e devono sapere cosa fare perché lo hanno già sperimentato in ripetute esercitazioni, quando le autorità locali lanciano gli avvisi in maniera capillare ed efficace.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares