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Intercettazioni di mafia: trema il Palermo Calcio

Terremoto attorno al Palermo Calcio. Ma non si tratta di scandali legati a combine o intercettazioni per arbitraggi favorevoli. Zamparini si è improvvisamente reso conto di dove è andato ad operare: ovvero la Palermo dei Lo Piccolo che, nonostante l’arresto dei due capi famiglia (Salvatore e Sandro), continuavano a fare affari milionari utilizzando, sembra emergere dalle indagini, condotte dai sostituti procuratori Gaetano Paci, Domenico Gozzo, Francesco Del Bene e dall’aggiunto Alfredo Morvillo, che i canali attraverso i quali i boss arrestati lo scorso 5 novembre riciclavano il denaro di provenienza illecita per reinvestirlo nell’economia legale fossero quello del classico settore immobiliare e delle costruzioni, fra cui una lottizzazione a Chioggia, in provincia di Venezia, per un investimento di 8 milioni di euro. Ma al centro dell’attenzione del clan e degli affari anche l’azienda del patron Zamparini. Fra gli arrestati, infatti, anche persone a lui strettamente vicine: Giovanni Pecoraro, ex responsabile del settore giovanile del Palermo, e Marcello Trapani, noto avvocato nonché procuratore di diversi giovani calciatori, finiti in manette con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (con estorsione aggravata) e associazione mafiosa. Secondo i pm siciliani, i due intimidivano il club per conto del clan Lo Piccolo, che aveva interesse a infiltrarsi negli affari della società, nell’ambito, per esempio, del progetto di costruzione del nuovo stadio.

Il presidente ha dichiarato a caldo: “Sia io che tutto il mio staff abbiamo sempre operato con la massima trasparenza: sono contento che da questa inchiesta della magistratura emerga con chiarezza che la Palermo calcio è una società “pulita”, amministrata da persone per bene".

Figarebe centrale negli affari del clan sarebbe stato il legale di fiducia, l’avvocato Marcello Trapani, nominato difensore legale dalla famiglia Lo Piccolo dopo il loro arresto. Ma l’avvocato aveva già incontrato la famiglia mafiosa in altre occasioni, documentate dalle intercettazioni audio e video nell’abitazione e nell’ufficio del legale. In una di queste Trapani consegna a Calogero Lo Piccolo - il più piccolo dei figli di Salvatore, arrestato lo scorso gennaio - un giubbotto antiproiettili, oltre i “pizzini” dei capi in carcere con le indicazioni di cosa fare e di come portare avanti gli affari di famiglia.



Altra figura centrale della vicenda, anche se non indagato, è Rino Foschi, ex ds del Palermo e allontanato qualche mese fa dal focoso e intemperante presidente del Palermo. Per capire cosa stesse succedendo, e la gravità dell’infiltrazione del clan nella società, è necessario capire che ruolo coprisse il ds e in che situazione si fosse trovato grazie ai rapporti con i due arrestati oggi. Le intercettazioni hanno consentito di capire che Trapani sarebbe stato uno degli ispiratori dell’invio, risalente al dicembre 2006, di una testa di capretto mozzata al ds rosanero. E quest’ultimo era già stato più volte oggetto di esposti anonimi concernenti la sua presunta vicinanza alla mafia. "Mi viene la pelle d’oca se ti dico quello che ho fatto per te...Un mese fa mi hanno licenziato - urla al telefono Foschi, parlando con Trapani, nell’estate 2006 - per colpa tua e di Pecoraro... Grazie a delle lettere anonime... Incredibili, sono andati da Grasso a Borrelli, a mia insaputa, mi hanno preso nel mezzo e fatto un culo come un paiolo... per sostenere che io sono in società con te e con Pecoraro". Questa l’intercettazione resa pubblica oggi di una telefonata fra Foschi e Trapani che chiarisce anche le ragioni per cui Zamparini lo abbia allontanato dalla società.

Dopo l’estromissione di Foschi i due arrestati di oggi avrebbero tentato in più modi di rientrare in qualche modo nel circuito del Palermo Calcio. Perché, secondo quello che hanno dichiarato gli inquirenti: "L’associazione mafiosa interviene, come sempre, a mezzo dei suoi colletti bianchi, come Pecoraro e Trapani, per consentire in maniera incruenta ed apparentemente indolore la gestione di interessi criminali. In questo modo a poco a poco cercando di guastare il corpo sano della società calcistica".

Dall’indagine è emerso anche che il boss Lo Piccolo era interessato alle opere di riqualificazione del porto di Chioggia, appalto per un importo di circa 8 milioni di euro. Per questo motivo i pm della Dda di Palermo hanno disposto, in Veneto, perquisizioni negli uffici della società “Petra”, costitutita nel 2007, e nelle abitazioni di un imprenditore locale, un militare della Guardia di Finanza e un commercialista di Palermo, ritenuti prestanome del boss Lo Piccolo.

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