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Intellettuali minori (a proposito della recente polemica sui Dams e la cultura italiana)

Su l’Unità del 17 ottobre, Goffredo Fofi scrive: C’era una volta il Dams.
Ed è interessante notare come Fofi sia in grado di radiografare – o è quanto arriva al lettore medio – la situazione attuale dei Dams entrando in una sorta di antropologia degli studenti (attuali o del passato recente), nonché in un’analisi sulla ‘spendibilità’ dei curriculum universitari specifici fino ad arrivare alla definizione di una c.d. ‘cultura prodotta dai Dams’.
 
Interessante perché notevole, ampia, è la materia trattata da Fofi e da lui analizzata addirittura con troppa parsimonia di parole (non dimenticando che un Dipartimento di Arti, Musica e Spettacolo che dal precedente anno accademico ha introdotti diversi percorsi interdisciplinari, riunisce in un’unica struttura organizzativo-identitaria discipline e forme artistiche molto diverse tra loro).
 
Sempre su l’Unità, il 18 ottobre, Renato Barilli scrive: Caro Fofi, con il Dams si trova lavoro.
Barilli, che insegnò proprio nel Dams bolognese, interpreta le pesanti provocazioni di Fofi come “malumori e idiosincrasie del tutto private”. In particolare argomenta sul piano delle risultanze professionali post lauree precisando: “è nata l’accusa che un tale corso fosse una fabbrica di disoccupati, ma le statistiche lo smentiscono, i disoccupati si trovano piuttosto tra i normali laureati in lettere, per i quali si danno solo i magri sbocchi dell’insegnamento medio, mentre il damsiani rispondono in parte allo scopo per cui sono stati concepiti, trovano posto, per esempio, nelle emittenti televisive, o in biblioteche e centri civici e uffici promozionali di mostre. Investono cioè una vasta fetta di mercato del lavoro che prescinde dalle solite possibilità della scuola, anche se evidentemente le prospettive al giorno d’oggi sono magre in ogni ambito.”
 
Ma risponde anche Marco De Marinis, professore ordinario di Discipline teatrali al Dams di Bologna nonché fondatore della rivista Culture Teatrali reperibile anche on line.
 
In risposta, De Marinis articola commenti alle principali accuse di Fofi mosse ai Dams partendo da presupposti concreti, vissuti direttamente a Bologna. Nello specifico, riferendosi all’accusa di essere ‘fabbriche di disoccupati e precari’, De Marinis precisa: “In un mercato del lavoro intellettuale come l’odierno è evidente che un giovane formatosi ai nuovi linguaggi artistici e ai nuovi media, ma anche con solide conoscenze storiche (se ha messo bene a frutto il suo percorso di studi), possieda competenze più appetibili e spendibili a più ampio raggio rispetto –poniamo- a un suo collega di lettere antiche o moderne”.
Mentre sulla domanda-accusa: ‘Che tipo di cultura hanno diffuso e prodotto i Dams?’, De Marinis manifesta incredulità verso un generalismo concettuale veicolato a un dipartimento come fosse un capro espiatorio facilmente riconoscibile (tra le masse che producono cultura): “Con chi ce l’ha Fofi? Verrebbe da chiedere: ma quali docenti DAMS ha conosciuto e frequentato in tutti questi anni? Il DAMS che ho conosciuto e frequentato io (al quale in realtà mi onoro di appartenere dagli anni Settanta, quando entrai nella pattuglia di giovani arruolati da Marzullo a Bologna accanto ai tanti nomi celebri) è quello nel quale hanno insegnato studiosi e intellettuali come il regista Luigi Squarzina (scomparso pochi giorni fa), Fabrizio Cruciani, Claudio Meldolesi, Ferruccio Marotti, Franco Ruffinie, Giuliano Scabia, per il teatro; Franco Donadoni, Aldo Clementi, Mario Bortolotto e Luigi Rognoniper la musica; Adelio Ferrero, Franco La Polla, Antonio Costa per il cinema; Francesco Arcangeli, Gianni Romano, Anna Ottani Cavina, Anna Maria Matteucci e Renato Barilli per le arti visive; Martin Krampen, Mauro Wolf, Ugo Volli, Gianfranco Bettetini, Paolo Fabbri, Omar Calabrese per comunicazione, e ancora: il giornalista Furio Colombo, il grande italianista Piero Camporesi, lo scrittore Gianni Celati, il francesista Guido Neri, la psicologa e scrittrice Marina Mizzau. E tanti altri che adesso ingiustamente dimentico, compresi i docenti attuali e i numerosi giovani che, partendo dal Dams, si sono poi illustrati in svariati campi nell’ Italia negli ultimi trent’anni. “Sottocultura imbarazzante e deprimente” questa? Suvvia!”
 
C’è un rumore di fondo, a mio avviso, che già dal primo articolo di Fofi infastidisce i ragionamenti e che lega inevitabilmente l’attuale condizione culturale italiana con la formazione e il voler distinguere continuamente, ossessivamente, tra intellettuale e intellettuale attribuendo ‘gradi d’importanza’ a seconda di una serie di fattori che investono ogni forma d’arte. Uno di questi fattori pare (anche dagli articoli proposti) essere il curriculum universitario, il percorso formativo post diploma. Come a sottintendere che il laureato Dams sia meno intellettuale del laureato ad esempio di Lettere Antiche (pur essendo entrambi curriculum della stessa facoltà). Ma, anche evitando paragoni seppure esemplificativi comunque spiacevoli e ingiusti, dietro alla polemica tra culture prodotte, precariati alimentati alla fonte e competenze omologate e scadenti (in un terreno già dibattuto in altri contesti da Pasolini, se non fosse che in questo caso c’è una precisa individuazione dei ‘colpevoli’ tra le masse di intellettuali, artisti, creativi e pensatori uscenti); il disagio, la frustrazione palesati da Fofi sembrano avere radici più lontane.
 
Risposte assolute, definitive, non ce ne sono.
Si possono, però, aggiungere due precisazioni.
 
Le critiche mosse da Fofi arrivano proprio nel momento in cui statistiche prestigiose riconoscono all’Università di Bologna e, nello specifico, alle facoltà umanistiche, posizioni rilevanti: la hit parade delle migliori università colloca l’Ateneo nel capoluogo dell’Emilia Romagna come la prima facoltà italiana al 174° posto, e nella QS World University Rankings 2010 le discipline umanistiche bolognesi si posizionano al 46° posto.
 
Numeri e dati a parte, sarebbe opportuno che si sapessero anche le attuali condizioni in cui professori e studenti sono costretti a vivere all’interno dei diversi percorsi Dams. Senza andare troppo lontano o scivolare nelle facili generalizzazioni, proprio alle lezioni di ‘Storia del teatro e dello spettacolo’ tenute dal professor De Marinis dal 5 ottobre scorso a Bologna, studenti, assistenti e insegnante, fanno i conti con aule ‘prestate’ dai Dipartimenti di Matematica e Fisica dalle capienze e strumentazioni tecniche inadeguate all’insegnamento (posti mancanti, acustica resa difficile per non dire proibitiva quando i microfoni non funzionano, grandi difficoltà nell’uso di supporti visivi). Il tutto si traduce in corse dal luogo (il triangolo piazzetta Morandi-Barberia-Zamboni) dove si tiene la lezione precedente per accaparrarsi un posto (ma anche: file fuori dalle aule in attesa di entrare appena terminata la materia scientifica), disagi nel seguire la lezione e nell’impostarla da parte dell’insegnante (il resoconto sopra riportato è esperienza diretta a mero titolo esemplificativo di una situazione ramificata in molti insegnamenti - n.d.r.)
Non che evidentemente di tutto questo si possa render responsabile Fofi o una certa dinamica intellettualistica contemporanea. Evidentemente, no.
Ma chi attribuisce ai Dams una formazione ‘minore’ per non dire ‘peggiore’ nell’ampia sfera delle ‘menti pensanti tra discipline artistiche e intellettuali’, non può – allo stato attuale dell’università pubblica – fingere di non sapere come questa formazione – oggi – viene fruita e con quali ostacoli pratici, concreti, si scontra.
 
Colpire, circoscrivere, è di solito operazione più semplice che affondare nelle complesse e controverse ragioni del vivere quotidiano nonché delle cause multiformi di degradi, incertezze e carenze. Che la cultura italiana arranchi, non è ‘cosa nuova’. Né lo è il disagio, l’ammissione ad ampio spettro tra forme d’arte differenti specialmente in una situazione universitaria come quella che si sta vivendo in Italia ormai da un mese e oltre.
 
Ciò nonostante, in considerazione dei frequentanti i Dams e dei tanti professori, ricercatori, assistenti, che vi operano, sarebbe auspicabile rispolverare almeno una sana e trasparente consapevolezza di ‘cosa’ esattamente si vuole colpire, 'perché' ma soprattutto 'dove' porta tutto questo (se da qualche parte si vuole andare).
 
 
Concludendo, vale la pena di notare la dinamica (nel pezzo di Fofi quanto soprattutto in un più ampio contesto socio-culturale italiano) che addita in modo più o meno evidente l' intellettuale minore arrivandoci con operazioni a volte anche laboriose e complesse di lessico, semantica, logica e dinamica d'un evidenza non sempre chiara.
Scrive Fofi nel pezzo sopra citato (attribuendo così in un colpo solo la negazione - sottocultura - e additando le cause dirette di tale attribuzione): "Una sottocultura imbarazzante e deprimente, di cui ritengo sia responsabile un ceto pedagogico che ha semplicemente sostituito alle pedanteria dei vecchi professori di estetica una involuta ma “artistica” allegria cresciuta su se stessa, figlia di quei teorici dei Settanta che esaltavano il nuovo e si avvoltolavano fuori sincrono nelle proprie chiacchiere"
 
Tra letteratura, culture e altre forme artistiche, non è ancora giunto l'eco della dichiarazione affermativa univoca: l'intellettuale maggiore [o 'alto', elevato] è.
Non si afferma.
Si nega.
E negando si allude a una dichiarazione identitaria implicita. Tu non sei (io sono) oppure (io faccio parte del tal sistema, ho acquisito le tal competenze per essere...)
 
 
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Credit photo: Portico del Dams di Bologna.

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