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Inchiesta sulla Valle del Sacco (Frosinone): diossina negli alimenti

Diossina. Vi dice qualcosa? A me sì. Seveso. Vi ricorda qualcosa? A me sì. Uno dei più famosi o famigerati disastri ambientali che la nostra nazione abbia mai subito negli ultimi decenni. Migliaia di persone esposte alle esalazioni di gas tossici fuoriusciti da uno stabilimento industriale per un tragico errore. Con gravissime conseguenze sugli abitanti della zona. Danni che ancora oggi sono vivi. Cose passate, direte. Andatelo a dire a quelli che c’erano. Ai ragazzi che portano ancora oggi i segni di quell’orrore. Alle persone in cui ancora oggi si riscontrano disturbi e patologie in misura molto superire alla media nazionale.


Sì va beh, ma che c’entra? Direte sempre voi. Casi del genere non se ne verificano più da tempo. Errore. Provate a fare un salto ad Anagni. Sì, la città dei papi, quella di Bonifacio VIII, schiaffeggiato a casa sua. Anagni, da anni, è anche la città schiaffeggiata dall’inquinamento ambientale e dalle tragiche conseguenze di uno sviluppo industriale selvaggio, gestito senza rispetto per l’ambiente. Con conseguenze per anni nascoste, più o meno consapevolmente. E che adesso cominciano a farsi sentire. Basta mettere un po’ di fatti in fila. A cominciare dall’ultimo. 19 luglio scorso: ad Anagni, esplode il caso diossinosimili-Pcb-metalli pesanti negli alimenti. Lo certificano le analisi scientifiche condotte in laboratorio su campioni di “uova, carcasse e penne di gallina, piume di anatre, pelo e sangue di cane”, prelevati lo scorso marzo ad Anagni in via Casilina località Quattro Strade. Le analisi erano state effettuate in seguito ad un incidente verificatosi il precedente 25 marzo. Da una ditta della zona, la Marangoni Tyre, si era verificata una fuoriuscita di “carbon black”. Polvere nera appunto, colorante per le gomme per automobili prodotte dalla ditta. La polvere si era dispersa nella zona finendo per annerire case, animali, e vegetali, della contrada di Osteria della fontana. Tanto che, nonostante le assicurazioni di assoluta mancanza di pericolo, il commissario prefettizio del comune Ernesto Raio aveva vietato con una ordinanza il consumo di vegetali della zona, fino alla fine delle analisi. Ora a distanza di mesi, le analisi hanno stabilito nel territorio preso in esame “la “significativa presenza di diossinosimili – Pcb - metalli pesanti all’interno degli alimenti analizzati". Prodotti altamente tossici, che se riscontrati in concentrazioni superiori alla norma, sono molto pericolosi per la salute delle persone coinvolte. Immediata la reazione dei cittadini che attivano un comitato per seguire da vicino gli sviluppi della vicenda. Cominciano a uscire fuori testimonianze, episodi, casi di malesseri da tempo presenti e persistenti nella zona. Comitati da tempo attivi, come Anagni Viva, dicono che “Gli ultimi dati scientifici disponibili infatti, non lasciano dubbi sulla gravità dei valori raggiunti e sulle loro conseguenze per la salute pubblica.” Si chiede un tavolo congiunto di enti ed associazioni per gestire al meglio la situazione. Ed anche il neosindaco Carlo Noto propone “analisi e verifiche dettagliate con la presenza congiunta di Arpa Lazio, Comune di Anagni, Provincia di Frosinone, Asl”. Analisi che solo nel tempo potranno dare un quadro esatto della gravità della situazione. Detto che, ovviamente, nessuno mette in rapporto le vicende della Marangoni con il ritrovamento dei “diossinosimili – Pcb” nella zona (circostanza su cui ad esempio hanno puntato le componenti Rsu della ditta che hanno ribadito come la loro fabbrica si trovi a circa 2 km dal luogo in cui sono stati fatti i prelievi che hanno dato i risultati tristemente noti), qualche considerazione va fatta. Quella dei diossinosimili non è che l’ultima vicenda in ordine di tempo, in fatto di assalto all’ambiente della Valle del sacco, tristemente ribattezzata Valle dei veleni. Nel 2005 Anagni fu per mesi sulla ribalta nazionale per l’avvelenamento di decine di animali che avevano bevuto acqua del fiume Rio della mola, un affluente del fiume Sacco. Acqua, come si sarebbe poi scoperto, avvelenata da cianuro. Tanto da provocare la morte di 50 capi, l’abbattimento di migliaia di altri animali, e la rovina economica dei decine di famiglie di agricoltori ed allevatori della zona. Nel marzo 2009 poi a Colleferro , pochi chilometri a nord di Anagni , ma già in provincia di Roma e non più di Frosinone, sono stati sequestrati dal Noe due impianti di termovalorizzatori. E sono state arrestate 13 persone ( 25 indagate nel complesso), per “associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, falso, truffa, accesso abusivo a sistemi informatici e favoreggiamento personale”. Secondo gli investigatori, c’erano “elementi di responsabilità a carico dei soggetti che conseguivano ingiusti profitti, rappresentati dai maggiori ricavi e dalle minori spese di gestione dei rifiuti che venivano prodotti e commercializzati come cdr pur non avendone le caratteristiche, qualificabili, in gran parte invece, come rifiuti speciali anche pericolosi e quindi non utilizzabili nei forni dei termovalorizzatori per il recupero energetico". In pratica, per gli uomini del Noe nei termovalorizzatori, si bruciava di tutto, non solo i rifiuti consentiti, ma anche quelli vietati perché pericolosi per l’ambiente. E, sempre per la Valle del Sacco, grida vendetta anche la situazione di decine di migliaia di abitanti di paesi come Morolo, Colleferro, Segni, Gavignano. Persone nelle quali nei mesi scorsi, in seguito ad una serie di analisi, sono state riscontrate percentuali di agenti inquinanti ( come il famigerato B-Hch un insetticida vietato dal 2001 e la cui presenza può creare effetti nel sistema nervoso centrale, oltre che provocare danni a fegato sangue e reni, ed esser cancerogena), molto superiori alla norma. Per tutti questi il futuro sarà scandito da una serie di analisi che dovranno essere effettuare periodicamente per tutta la vita. Sperando che tutto rimanga sempre silente.

Inutile alzare la voce. I dati parlano da soli. Solo una breve considerazione a margine. Tutto sembra far emergere un quadro desolante: quello di una zona, la Valle del Sacco appunto, in cui per decenni si è operato uno scambio preciso: sviluppo, lavoro, occupazione, uscita dalla povertà agricola post bellica e nascita di una società industriale; in cambio di attenzione scarsa, se non nulla, alle esigenze dell’ambente e della salute.

Si può fare qualcosa per invertire la marcia?

Ne valeva la pena?

Commenti all'articolo

  • Di Tyler (---.---.---.24) 4 agosto 2009 14:33

    Ottimo articolo.
    Io abito a 3-400 metri dal fiume Sacco e purtroppo conosco tutta la vicenda.
    Hai già detto tutto, io mi riaggancio solo alla parte finale.
    Purtroppo tutta la tutela dell’ambiente sacrificata a scopo industriale alla fine è servita a poco perché chi vive in provincia di Frosinone sa bene quanto sia tragica la situazione industriale e occupazionale.
    Oltre al danno la beffa.

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