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In nome dell’articolo 27 della Costituzione. Incontro sulla situazione carceraria a Treviso

Oltre ai dati e le statistiche sulla realtà carceraria italiana, ci sono i volti e le storie di chi è recluso e di chi vi lavora nelle prigioni. Enormi i problemi, una realtà di marginalità e povertà, in cui il sovraffollamento delle celle vede il nostro paese tra i peggiori in Europa.

Cosa sappiamo veramente di quello che si cela dietro le alte mura e i portoni blindati delle carceri italiane? La maggioranza dell'opinione pubblica, me compreso, ne sa poco o niente. Conosciamo tanti dati, le statistiche, le notizie di suicidi e violenze dietro le sbarre che i mass media ci sottopongono; oltre a questo ho capito che esiste anche altro, ascoltando con vivo interesse il dibattito pubblico "La situazione carceraria italiana" tenutosi all'hotel Cà del Galletto, a Treviso il 5 ottobre, organizzato da Andrea Zanoni europarlamentare dell'IDV. Esistono anche fatti positivi come il volontariato impegnato ad aiutare i detenuti, le attività lavorative dei carcerati, il mondo delle cooperative che da lavoro e assistenza dopo le scarcerazioni, le piccole grandi storie quotidiane che riguardano "loro", i carcerati e gli "altri", gli agenti di polizia penitenziaria. Anche questa parte della realtà meriterebbe un po' più di attenzione mediatica.

Preciso il mio pensiero fin da subito: chi è in carcere è perché ha commesso dei reati, per cui stiamo parlando di delinquenti. Il dibattito che ruota intorno al tema dell'indulto, rilanciato di recente dal Presidente Napolitano, mi porta a pensare che lo Stato italiano dimostra la propria incapacità doppiamente. Primo perché il quadro legislativo permette che si arresti troppo facilmente e quindi prima si riempiono le carceri. Poi si constata il sovraffollamento e le condizioni spesso disumane in cui i carcerati e il personale della polizia penitenziaria devono vivere, per cui la politica che fino a prima in larga parte si è disinteressata del problema - non si crea consenso col tema carceri - approva indulti e amnistie. Con tutti costi sociali ed economici che questo porta.

Presenti all'incontro oltre all'On. Zanoni, il Dott. Francesco Massimo, direttore del carcere di Treviso, Giovanni Borsato della Caritas, Don Marco di Benedetto cappellano del carcere di Rebibbia, Antonio Zamberlan responsabile della cooperativa L'Alternativa e Carlo Silvano scrittore che ha scritto diversi libri sul tema carceri oltre ad aver creato un blog sul carcere di Treviso. Il quadro che emerge da dati presentati pone l'Italia come maglia nera in Europa per il sovraffollamento delle sue carceri vedendoci con un tasso del 157% mentre la media UE è del 97%. Dai dati esposti da Giovanni Borsatola popolazione carceraria è di 66271 detenuti a fronte di 45.568 posti disponibili. Di questi 23000 sono stranieri, 2000 le detenute di cui circa 1400 sono straniere; 70 bambini vivono nelle carceri italiane al seguito delle madri recluse. Come ha ricordato l'On. Zanoni l'Italia non ottempera al requisito minimo di almeno 8 mq per detenuto e i richiami della UE non mancano di certo; spesso le celle ospitano il doppio dei detenuti con tutte le conseguenze di promiscuità di problemi e casi umani.

In seguito alla pubblicazione nel giugno 2011 del "Libro verde sull'applicazione della normativa dell'UE sulla giustizia penale nel settore della detenzione", Zanoni ha presentato il 13 ottobre 2001 l'interrogazione sulle condizioni di detenzione nell'Unione Europea che si è trasformata poi in una mozione votata a larghissima maggioranza dal parlamento europeo al fine di garantire i diritti fondamentali di chi è recluso e migliorarne le condizioni.

Sì ma cosa c'è dietro allora questi numeri, che storie ne escono? Solo chi è stato dentro un carcere può capire quello che si prova. Anche dal punto di vista fisico e sensoriale, gli odori e i rumori che provengono dai corridoi e celle, i volti dei reclusi e di chi li deve sorvegliare. Ed è qui che ho ascoltato la parte più interessante con la testimonianze di Don Marco cappellano a Rebibbia: nel suo reparto circa 400 carcerati di cui almeno cento sono "precauzionali" cioè tutti coloro che per il motivo della loro detenzione e per la loro stessa incolumità fisica, non possono stare assieme agli altri. Parlo di violenze sessuali e di persone che hanno fatto rivelazioni permettendo altri arresti di criminali. Ha raccontato di come è stato squadrato appena entrato dai detenuti e di come questi lo abbiano accettato fin da subito. Mentre con i ragazzi della polizia penitenziaria ci è voluto più tempo per entrare in sintonia. Il messaggio che ha voluto condividere Don Marco è quello che l'esperienza del carcere "è uno spalancarsi di mondi sempre più grandi". Dai problemi di permanenza dei detenuti fra mille difficoltà si passa poi a quello delle famiglie di costoro, possiamo immaginare le situazioni di marginalità che vi stanno dietro e poi la realtà degli agenti di polizia penitenziaria. Anche loro a stretto contatto con questa realtà ogni giorno per la loro professione ma non esenti da turbamenti, difficoltà e stanchezze. Turni pesanti per via della carenza di personale, stimata in almeno 7000 unità su un totale di circa 40000 agenti in forza ad oggi.

Carlo Silvano ha letto alcuni brani del suo libro "Liberi reclusi. Storie di minori detenuti"sui ragazzi detenuti al carcere minorile di Treviso. Le storie dei ragazzi maghrebini, i quali vengono qua in Italia apposta per delinquere, del loro smistamento a Padova sulle piazze dello spaccio del nord Italia. Di come riescano a guadagnare migliaia di euro con qualche trasporto e una volta "beccati" dalla polizia finiscano in prigione, identificati subito da chi li vede arrivare come spacciatori per il loro abbigliamento griffato. Questi ragazzi provenienti da paesini poveri del nord Africa e ritrovatisi in breve tempo molto ricchi grazie alla droga, sono molto difficili da recuperare. Proporre loro un lavoro onesto ma poco remunerato non può essere attraente ai loro occhi e molti, senza problemi contano di riprendere da dove erano rimasti prima di essere stati arrestati una volta usciti. Altre storie difficili di violenza e soprusi, di morti misteriose e di suicidi sono stati ripercorsi anche attraverso la lettura del libro di Samanta di Persio "La pena di morte italiana".

Ho apprezzato l'intervento di Antonio Zamberlan, responsabile dell'Alternativa, una cooperativa di Vascon di Carbonera (TV) nata ben 23 anni fa. Una realtà lavorativa la cui missione è quella di offrire un lavoro a persone in detenzione, tossicodipendenti e persone affette da malattie mentali. Grazie anche alla collaborazione con alcune aziende del trevigiano che permettono l'inserimento di questi lavoratori. La cosa più importante che Zamberlan ha sottolineato è che grazie al lavoro non c'è la reiterazione del reato. Questo lo può dire dall'esperienza diretta nel campo: immaginiamo una persona che esce dopo il periodo di detenzione senza più legami familiari, senza soldi. Questa è la tipica situazione di chi esce dal carcere e che potenzialmente nel giro di breve tempo può ritornare a delinquere.

 

prigione

 

Il dott. Francesco Massimo, l'ultimo ad intervenire, ha posto l'attenzione sul fatto che se "fuori" la situazione non è delle migliori, "dentro" non può essere di certo migliore. Ma non per questo si deve parlare sempre e solo negativamente di ciò che avviene nelle prigioni italiane. Di certo la notizia negativa raccoglie l'interesse maggiore della stampa ma al'interno delle carceri ci sono anche professionalità e competenze nonostante i magri bilanci fiaccati dai tagli del governo. Il problema dei suicidi riguarda anche Treviso dove se ne è verificato uno negli anni 80; un problema che riguarda anche le guardie carcerarie ma che necessita di essere inquadrato in un'ottica più ampia, in una somma di problemi personali. Quindi non solo legato alla detenzione. Non necessariamente. L'episodio singolo appartiene ad ogni realtà ma non può identificare tutto. Mi ha colpito molto il racconto della morte di un'agente e di come i detenuti abbiano organizzato una colletta a favore della vedova. Questo per dire che se vi fosse un clima di maltrattamenti generalizzato, di certo i detenuti non avrebbero compiuto un gesto del genere.

Dopo aver sentito queste testimonianze di chi per professione o altro motivo respira l'aria del carcere, mi rendo conto che siamo ben distanti dall'attuazione dell'articolo 27 della nostra Costituzione:

La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

Dovere di uno stato moderno, efficiente e civile è quello di prendere in consegna chi ha commesso un reato, giudicandolo in maniera equa con un giusto e veloce processo e nel caso di detenzione, questo deve poter vivere dignitosamente in regime carcerario e avere la possibilità anche di avere una seconda chance, di essere riabilitato una volta scontata la sua pena come scritto nella Costituzione. La pratica è ben distante dalla teoria. Se pensiamo che per il solo problema del sovraffollamento, abbiamo 40 immobili incompleti in Italia che potrebbero alleviare il problema dei troppi detenuti, la situazione è sconcertante. Dobbiamo ancora progredire molto come società per attuare in pieno l'articolo 27. Il carcere è solo un aspetto di questa però: a volte chi delinque lo fa perché non ha un'altra alternativa, un lavoro o un'istruzione. Non è detto ma chiediamoci se nello scenario di crisi economica odierno, se in certe realtà disagiate del paese ma non solo questo non è ancor più vero? 

"Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni".

Dostoevskij, Delitto e Castigo

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